Di una composizione classica, il Bagno delle ninfe di Diana, opera di Girardon, rappresenta delle giovani ragazze nude che giocano nei bordi di una riviera. 

Charles Le Brun le ha associate a due a due, secondo una lontananza regolare dando l’impressione che l’azione si sta svolgendo. I corpi sono sensuali, a volte provocanti, ma l’insieme suscita un’impressione di leggerezza e di spensieratezza. 

Separato dalla scena tramite il bacino, lo spettatore non può che ammirare da lontano, come se le ninfe appartenessero ad un altro mondo che non sarebbe da turbare. Questa messa a distanza è rafforzata da un velo d’acqua argentata che offusca il paesaggio e confonde queste nudità scintillanti nella luce. 

Tale è anche la lezione che viene evocata del mito di Diana sorpresa dal cacciatore Atteone: essendo interdetta al semplice mortale la vista del corpo di una Dea, Diana, furiosa, punì l’imprudente trasformandolo in cervo. La morale è dunque l’onore, ma la composizione invita ugualmente colui che la contempla a penetrare più profondamente il sottobosco del viale d’Acqua bordato dalle fontane dei marmocchi, e allontanarsi dalla luce per piombare nell’universo di una foresta popolata da Ninfe, governata da Diana, Dea della natura selvaggia. 

La parte Nord del Giardino forma un contraltare all’Universo apollineo dell’aiuola del Sud e dell’Orangerie, la linea di divisione tra i due domini della Luna e del Sole passano simbolicamente attraverso il bacino di Latona, madre appunto di Diana ed Apollo.

A cura di

Arsace da Versailles e Faustina da Versailles

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