Il Processo al Re

Sala della Convenzione

Martedi 15 gennaio 1793

Dall’ 11 dicembre 1792 i deputati continuano a discutere sulla sorte del cittadino Luigi Capeto, ex Re Luigi XVI, sotto accusa per tradimento verso la Nazione e per cospirazione contro le libertà pubbliche. È finalmente giunta l'ora delle supreme decisioni. Il presidente della Assemblea, Vergniaud, legge alla Convenzione le tre fatidiche domande, alle quali ogni deputato dovrà rispondere per appello nominale, e motivando il proprio voto.

« È colpevole Luigi XVI? » Su 749 deputati ne sono presenti 720; 693 votano « colpevole »; 27 i voti dispersi.

Il giorno 16 dicembre 1792, viene po­sta la seconda domanda: « La decisione adottata dalla Convenzione nazionale dovrà essere ratificata dal popolo? » È l'estremo tentativo per salvare il Re ricorrendo al voto popolare della provincia. Questo è il risultato dello scrutinio:

424 contrari al referendum popolare, 287 favorevoli, 12 astenuti.

Sono le ore 18,30; si passa immediatamente alla votazione della terza questione, la più importante di tutti: « Quale pena dobbia­mo infliggere a Luigi Capeto? »

Le dichiarazioni di voto si susseguono, in un crescendo di suspense, fino alle ore 19 del giorno seguente.

Il primo deputato a prendere la parola è Mailbe: « Voto per la morte, ma nel caso la morte venisse votata a maggioranza, chiedo se non sarà utile e politico rinviare il momento della esecuzione ».

Marat, David, Saint-Just e molti altri sono per la condanna immediata: « Morte entro le 24 ore! ».

Danton: « Voto per la morte del tiranno! ».

Robespierre dichiara: « Il sentimento che mi costrinse a domandare invano alla Assemblea Costituente l'abolizione della pena di morte è lo stesso che mi spinge oggi a chiedere che tale pena venga applicata al tiranno ».

Robespierre con il discorso del 3 settembre 1792 aveva già posto la questione in termini nettamente politici, ma egli fece propendere tutti per la morte del Re, smuovendo anche gli indecisi: “Non si deve fare nessun processo. Luigi non è imputato, voi non siete giudici. Voi non siete e non potete esser altro che uomini di Stato e rappresentanti della Nazione. Non dovete emanare alcuna sentenza pro o contro un uomo: da voi si attende soltanto un provvedimento di salute pubblica, un atto di carattere provvidenziale in favore della Nazione”.

Robespierre ebbe l’ardire di pronunciare anche queste seguenti parole:

“Io pronuncio con dolore questa verità fatale. Il cittadino Luigi Capeto deve morire perché viva la patria viva”.

Filippo Egalité (ex Orléans, nel piccolo riquadro qui a sinistra), il cugino del Re:

«Unicamente preoccupato del mio dovere, convinto che tutti coloro che hanno attentato o attenteranno alla so­vranità del popolo meritano la morte, voto la morte! ».

Manca un solo voto per avere la maggioranza assoluta sulla condanna a morte.

Si alza a parlare l'avvocato Voulland, nervosissimo. Dice: « È la terza volta che la salvezza della mia patria mi spinge a pronunciar­mi per la pena di morte, e spero che questa sia l'ultima. »

Alle ore 21 il presidente Vergniaud dà lettura della sentenza: « La pena che la Convenzione nazionale pronuncia contro Luigi Capeto è quella di morte ».

L'indomani, su richiesta di alcuni deputati si procede a uno scrutinio di controllo; su 721 votanti 387 sono per la morte senza condizioni, 334 per la detenzione o la morte con rinvio.

Il 19 gennaio 1793, di mattina, con 380 voti contro 310 la Convenzione respinge la richiesta di rinvio dell'esecuzione.

Luigi Capeto ormai è del boia.

L'ex Re indirizza alla Convenzione la richiesta di un rinvio di tre giorni alla esecuzione, per potersi preparare a morire. Il rinvio viene rifiutato.

Chiede allora di poter vedere la famiglia “quanto vorrò e senza testimoni”.

Permesso accordato: Il 20 sera il condannato si in­trattiene con la moglie e i figli fino alle ore 22 e 15; poi si ritira nella sua stanza, va a letto e si addormenta.

Nel frattempo i muri di Parigi si tappezzano di proclami che invitano il popolo al grande spettacolo: “L'esecuzione di Luigi Capeto avverrà domani, lunedi 21, sulla piazza della Rivoluzione, ex piazza Luigi XV°, tra il piedestallo e i Campi Elisi. Luigi partirà dal Tempio alle otto di mattina in modo che l'esecuzione possa compiersi per mezzogiorno.”

21 gennaio 1793: per l'ultimo giorno del Re « Parigi si è vestita a lutto » come dirà più tardi un realista; ha appena smesso di piovere, le strade sono avvolte in una fitta nebbia.

Luigi viene svegliato alle 5 dal fedele cameriere Cléry, si veste, ascolta la messa, invia alla Regina (che non ha il coraggio di rivedere per l’ultima volta) il suo anello di fidanzamento; poi consegna il suo testamento al commissario Baudrais, si mette il cappello in testa ed esce.

Fuori si vedono schierati oltre 10.000 uomini armati, più di 1.300 gendarmi a cavallo che circondano la carrozza del Re: impegnati a salvaguardare il Re nel tragitto per sopprimere ogni tentativo di qualche azione estrema: infatti, si era diffusa la voce che il famigerato barone De Batz volesse tentare di uccidere il proprio Re per evitargli l’onta del patibolo.

 E’ proprio per questo motivo che la passeggiata del Re viene affrettata, e la carrozza parte veloce: è in Pizza della Rivoluzione con ben 2 ore di anticipo.

Ecco dei Testimoni che raccontano in modo differente il giorno della caduta della Monarchia

Leboucher – Realista

“ I carnefici erano in numero quattro…. Indossavano pantaloni corti e l’abito alla francese come l’ha modificato la rivoluzione: portavano dei cappelli a tricorno su cui erano puntate grandi coccarde tricolori. Essi decapitarono il Re senza togliersi il cappello!”

L’abate Edgeworth de Firmont, che condusse al palco il Re:

“Il Re si slacciò il colletto, aprì la sua camicia e la accomodò con le sue mani…. E quando i carnefici vollero legargli le mani, protestò: “Non acconsentirò mai! Fate tutto ciò che vi è stato ordinato, ma voi non mi legherete!”. Ma poi tornato calmo disse: “Fate ciò che volete: berrò il calice fino alla feccia” ”.

Rouy – repubblicano:

”Arrivato al patibolo, Luigi Capeto fu consegnato ai boia, che lo afferrarono, gli tagliarono i capelli, lo svestirono e gli legarono le mani dietro la schiena. Poi lo fecero salire sul palco dove, invece di andarsene dritto alla ghigliottina, rifilò una gomitata al boia che aveva accanto, e lo spostò, tanto da poter avanzare sino al bordo del palco dove manifestò il desiderio di pronunciare un discorso ai cittadini lì astanti, nella speranza che le sue parole sarebbero riuscite ad impietosirli e a fargli ottenere la grazia…. Allora Santerre, capo della guardia Nazionale, comandò ai tamburi di rullare ed ai carnefici di ottemperare agli ordini. L’ordine fu immediatamente eseguito: i boia afferrarono Luigi Capeto e lo trascinarono alla tavola fatale. Mentre lo legavano, egli pronunciò ad alta voce queste parole: “Sono perduto, muoio innocente: perdono la mia morte ai miei nemici, ma saranno puniti!” Appena finite queste parole, la lama vendicatrice piomba sulla sua testa colpevole e la separa dal corpo”.

Sono le ore 10.22 del 21 Gennaio 1793

A cura di

Arsace da Versailles