Giulio Cesare

 

 

 

Giulio Cesare: Flavio Oliver, controtenore
Cleopatra: Elena de la Merced, soprano
Cornelia: Ewa Podles, contralto
Sesto: Maite Beaumont, contralto
Tolomeo: Jordi Domènech, controtenore
Achilla: Oliver Zwarg, basso
Curio: David Menéndez, basso
Nireno: Itxaro Mentxaka,  soprano

Orquestra Simfónica & Cor del Gran Teatre del Liceu
dir. Michael Hofstetter
regia: Herbert Wernicke

TDK (2 DVD, 2005)

 

 

Guardando questo dvd, verrebbe da chiedersi se e quante volte l’orchestra e i cantanti abbiano provato insieme lo spettacolo. Troppo spesso, infatti, questi ultimi vanno fuori tempo e a nulla servono i tentavi per cercare di recuperare la situazione, che anzi, spesso, vanno a discapito dei virtuosismi canori: non è certo un bello spettacolo vedere gli esecutori adattare le arie nell’intento di tornare in sincronia con gli strumentisti!

L’ensemble strumentale, diretto da Michael Hofstetter, non si comporta certo bene: a partire già dalla sinfonia iniziale ci si rende conto che gli strumenti non vengono esaltati nella giusta maniera e che il contrappunto viene completamente affossato. Inoltre, l’orchestra non riesce ad evocare le giuste atmosfere e, a volte, sembra quasi volersi sbrigare nell’esecuzione. A titolo d’esempio si possono citare “Nel tuo seno, amico sasso”, in cui non viene per nulla sottolineato il tragico dolore di Cornelia, e “L’empio, sleale, indegno”, che l’orchestra esegue ad un velocità troppo elevata per permettere a Jordi Domènech di starle dietro.

Proprio dal controtenore spagnolo, piuttosto popolare tra i suoi connazionali ( vanta anche una collaborazione con Fabio Biondi e il primo premio all’International Singing Competition di Vinas dell’anno 1997), viene la prova canora più sentita e personale. Questi è dotato di un timbro gradevole ed esegue le arie di Tolomeo in maniera singolare. Specialmente nel da capo di “L’empio, sleale, indegno” si ravvisa una buona capacità di “improvvisazione”, che, al primo ascolto, può lasciare spiazzati, ma che, alla fine, rende giustizia alle doti del cantante, uno dei pochi che sfoggia una prestazione all’altezza della situazione. Nonostante gli inconvenienti causati dalla conduzione dell’orchestra, riesce in quest’aria a recuperare bene il tempo, proprio grazie alla sua particolare esecuzione canora. Al di là delle imposizioni del regista, che lo costringono addirittura a baciare il capo mozzato di Pompeo, l’interpretazione del personaggio è la più riuscita di tutta l’opera: il carattere lascivo del sovrano egizio viene esaltato prontamente dalle espressioni del volto ed il conflitto con la sorella Cleopatra emerge in maniera evidente. In una rappresentazione in cui la teatralità e la recitazione sono quasi del tutto assenti, la prova di Domènech è l’unica nota di colore dell’intero spettacolo.

Tutt’altro che teatrale, invece, è la prova di Flavio Oliver, controtenore spagnolo tra i più blasonati del momento, impegnato nel ruolo di Cesare. Nonostante costui vanti una preparazione a livello di recitazione quasi da professionista del palcoscenico, che gli permette di tenere la scena con facilità, non riesce a far emergere né la componente eroica del suo personaggio, né tanto meno quella più ricca di pathos, facendo cadere nel dimenticatoio componimenti come “Alma del gran Pompeo” o “Aure, deh, per pietà”.

Fin dalla prima aria ( “Presti omai”) ci si rende conto che le sue scelte esecutive non saranno delle più felici: infatti, egli spezza le agilità in maniera fin troppo netta, facendo perdere al canto barocco il suo fascino. Ed è davvero un peccato, perché  questo controtenore è dotato di un timbro limpido e cristallino, di una buona tecnica e di una pronuncia invidiabile ( d’altronde è nato a Brescia ed è perfettamente bilingue). Anche per quanto riguarda le variazioni nei da capo, non si produce mai in qualcosa di spettacolare o complesso, limitandosi a qualche semplice abbellimento o a salire di registro. Inoltre, non c’è mai una volta in cui non sia fuori tempo e spesso rinuncia a qualche virtuosismo in più per recuperare il distacco che lo separa dall’orchestra. Tuttavia, non lo si può davvero condannare per questo, dal momento che la mancata sincronia tra orchestra e cantanti rappresenta una costante in questa rappresentazione.

Si tratta dunque, purtroppo per noi, di una prestazione non esaltante, ma, vorrei sottolinearlo, mai scadente: si parla pur sempre di un cantante tra i più apprezzati. Certamente, mi sarei aspettato di più da una star come lui…

Chi, invece, per quanto mi riguarda, è risultata insopportabile è la contralto Ewa Podlès ( che tra l’altro interpreta Polinesso nella blasonata registrazione dell’Ariodante diretta da Minkowski), cui è assegnata la parte di Cornelia. Il suo debutto in scena non è dei più felici, costretta a cantare col viso coperto da un drappo nero: quanto di più dannoso per una cantante che tende a scurire molto la voce. Ed è un vero peccato, perché in “Cessa omai di sospirare” dimostra di poter fare molto meglio, mimica a parte ( strabuzzare gli occhi mi sembra davvero esagerato).

L’altra contralto, Maite Beaumont, invece, mi è rimasta particolarmente impressa. Nessuna delle arie di Sesto è interpretata in maniera superba, ma ognuna viene cantata in maniera semplice e corretta. Pochi sono gli abbellimenti, che si esauriscono in un semplice prolungamento delle vocali finali di alcune parole, ma l’esecuzione è controllata, priva di sbavature ( eccezion fatta per quella vera e propria catturata dall’impietoso cameraman alla fine dell’esecuzione di “L’angue offeso”…) e risulta, quindi, molto gradevole. Anche il suo bel timbro contribuisce a realizzare una prova che, paragonata a quella di altri interpreti, è da incorniciare. Tuttavia, anche in questo caso il gesto teatrale viene relegato in un angolo, limitato a qualche atteggiamento di stizza o a qualche sguardo inferocito.

Delle interpreti femminili, però, quella che si guadagna la palma della migliore prestazione è, a mio parere, Elena de la Merced, la Cleopatra della situazione. Costei lascia ( o le viene permesso di lasciare) un po’ più di spazio all’interpretazione scenica, risultando piuttosto convincente in quei frangenti in cui è richiesta una particolare vena patetica. Le arie sono eseguite in maniera ottima, anche se avrei gradito un controllo migliore sull’emissione degli acuti, a volte troppo esplosivi. E’ davvero un peccato che siano state impietosamente eliminati componimenti come “Tutto può donna vezzosa” e, udite udite, “Venere bella”: sarei stato davvero curioso di sentire la sua interpretazione di questi pezzi, che, a mio parere, dovrebbero essere presenti in ogni allestimento del Giulio Cesare.

Tra i due bassi, David Menèdez ( Curio) e Oliver Zwarg ( Achilla), è sicuramente quest’ultimo che offre la prestazione migliore, risultando più convincente e dotato di maggiore tecnica. Può sembrar strano che si possa fare un confronto tra le prove vocali di questi due personaggi, ma, ahimè, di tutto è stato capace il regista, Herbert Wernicke, persino di attribuire a Curio due celebri arie del Rinaldo, cioè “Vieni, cara, a consolarmi” e “Basta che sol tu chieda”, eseguite in maniera poco brillante. Non contento di questo, però, il regista infierisce anche sull’aspetto scenico, costringendo Achilla ad inscenare un buffo spogliarello durante “Se a me non sei crudele” e trasformando “Dal fulgor di questa spada” in una marcia militare.

Se il cast non fa gridare al miracolo, la vera nota dolente dello spettacolo è, senza ombra di dubbio, la regia, che colpisce a tradimento lo spettatore quanto più può. Tanto per cominciare, la scenografia è spoglia, priva di qualsiasi abbellimento e, in certi frangenti, assente. Il tutto è limitato a un divano, qualche poltroncina e dei pannelli in cartone piantati sul terreno a mo’ di labirinto. E non basta certo la nave dalla quale scende Cesare a trasformare il palcoscenico da vuoto a ben allestito.

L’inizio dell’opera è, poi, quasi fastidioso, con un coccodrillo ( molto realistico) in scena che intimorisce Cesare e lo costringe a iniziare una sorta di corrida con questo rettile ( chissà, magari nel tentativo di ingraziarsi il pubblico spagnolo…). Un Cesare, che, attraccata la nave, non esita a lanciare in malo modo mantello e corona d’alloro in terra. Quello stesso Cesare che, in seguito, non gradirà lo scempio che Cleopatra farà del suo bel lauro.

Tuttavia, se di scempio si vuol parlare, non si può tacere il trattamento che viene riservato all’”alma del gran Pompeo”: in barba alle parole del vincitore delle Gallie ( “Per dar urna sublime al suo cenere illustre, serbato sia sì nobil teschio”) il capo del condottiero romano rimane in scena quasi fino alla fine della rappresentazione, passato di mano in mano, preso a calci e, addirittura, baciato da Tolomeo in persona!

Che dire, poi, della decisione di introdurre arie tratte da altre opere ( 2 dal Rinaldo, 1 dall’Orlando e 1 dal Tolomeo) a discapito di quelle proprie del Giulio Cesare? E come si può non notare la mancanza d’equilibrio e di filo logico dovuta al taglio di numerosi recitativi, che, a volte, vengono addirittura manipolati?

Scandalose, a mio parere, sono, inoltre, le modifiche introdotte nell’opera: “La giustizia ha già sull’arco” diviene un improbabile duetto tra Nireno e Sesto, “Quel torrente che cade dal monte” viene eseguita in maniera scialba da Nireno ( la soprano Itxaro Mentxaka), Cleopatra viene privata delle arie “Venere bella” e “Tutto può donna vezzosa”…per non parlare poi di Achilla che risuscita e di Tolomeo che canta “La morte a chiamar…Stille amare” dopo esser stato decapitato!

Ciò di cui, però, non mi capacito è il comportamento del regista nei confronti dei personaggi: a che pro cercare di porre in risalto quelli minori con buffe trovate ( Nireno diviene un interprete e, addirittura, regge dei grossi cartelloni in cui si danno, credo, delucidazioni agli spettatori su quanto accade) quando esistono già elementi in grado di conferire loro una certa autonomia?

A conti fatti, dunque, credo che ci si trovi di fronte ad un prodotto deludente, mal realizzato anche sotto il punto di vista tecnologico ( perché mai l’audio non dovrebbe essere sincronizzato con il video?), degno quasi di rimanere sugli scaffali, se non fosse per la valida interpretazione di Jordi Domènech.

 

 

 

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A cura di  Gentario

 

www.haendel.it

 

Ultimo aggiornamento: 17-10-21