MANFRED HERMANN SCHMID  

Professore ordinario dell’Università di Tubingen, curatore fra l’altro di una serie di studi mozartiani: i suoi interessi spaziano dal medioevo sino a Verdi e Wagner .

 

L'INCIDENZA DELL'ARIA COL DA CAPO SU ALTRE FORME D'ARIA

 «GRECIA TU OFFENDI»

NELL'ULTIMA OPERA DI HANDEL, DEIDAMIA

 (nel libretto compaiono entrambe le accentazioni di DEIDAMIA, da leggersi come Deidàmia o Deidamìa)

 

La ripetizione è un principio base della morfologia musicale. Senza ripetizione, si può dire, non si dà forma musicale, cosa che non si può dir ugualmente per la lingua: essa schiva le ripetizioni, che anzi sono spesso un difetto di stile. Certo, ci sono formule linguistiche fondate sulla ripetizione, come le forme a refrain: ma non e un caso che ricadano perlopiù in generi poetici destinati al canto. Dunque si può addirittura ritenere che nella letteratura poetica la ripetizione sia penetrata in quanto principio musicale. La ripetizione diviene fondamentale in musica attraverso qualcosa che la lingua non conosce, cioè la tonalità. La costituzione di una forma musicale equivale ad un itinerario attraverso lo spazio tonale. L'effetto di chiusa è dato dal ritorno al punto di partenza. Questo ritorno a casa, tonale, che comporta il ripristino finale del tono d'impianto, è la caratteristica distintiva della morfologia musicale: perciò esso non può verificarsi che sul terreno della tonalità.

Se oltre al fattore tonale ci sono però anche fattori motivici, esso risulterà tanto più efficace. In questo senso il da capo dell'aria all'italiana è un caso da manuale, anzi un caso idealtipico: una forma a cornice per antonomasia.

Se si trattasse di una forma destinata alla vista, all’occhio, ci aspetteremo che l’ultima parte procedesse a ritroso, come se avessimo un’asse mediano di simmetria e ci sono dei tentativi del genere nel “Pierrot lunaire” di Schoenberg. L’orecchio invece dipende dal tempo, ma il tempo non procede a ritroso: per questo nelle ripetizioni è essenziale che venga percepito e riconosciuto uno stesso modo di procedere, e da qui deriva il nome di “Aria col da capo”, che inizia ancora una volta dall’inizio. Quindi non solo torna la tonalità, non solo torna il tema, ma ritorna lo stesso processo.

Anche il testo deve piegarsi al principio della ripetizione, il suo ritorno alla fine è preparato dal fatto che alla prima strofa già all’inizio viene presentata due volte, e questa è una regola ferrea, che nella sezione A sia abbiano due enunciazioni della prima strofa; dunque oltre alla ripetizione esterna, si dà anche una ripetizione interna. Questa combinazione fa dell’aria col da capo una forma del tutto singolare e non a caso si tratta di una delle forme più stabili e tenaci nella storia della musica vocale. Forse la prima che non si costituisce come ricalcando il testo, bensì secondo principi costruttivi genuinamente musicali. Il testo a sua volta tiene conto del far musica e gli si adegua: per esempio nell’uso delle uscite piane e tronche in un’aria del Metastasio o di altri librettisti, sono finalizzate alla cadenza: il che non si dà nella poesia letteraria.

 

Come forma musicale ideale l'aria col da capo incide anche su altre forme di aria. Il fenomeno non è ancora stato indagato a fondo. Il principio del da capo influenza ancora a lungo le arie di Mozart in un’epoca, gli anni 80 de diciottesimo secolo, in cui sorgono dei modelli del tutto nuovi. In questa relazione verrà esaminata tuttavia l’incidenza dell’aria col da capo in forme assai più precoci nel caso dell'ultima opera italiana composta da Handel, Deidamia (1741- libretto “fresco” di Paolo Rolli di prima stesura, non ripreso da libretti precedenti), che presenta aspetti innovativi. La prima aria dell’opera, «Grecia tu offendi», cantata da Ulisse, e comporta un ammonimento nei confronti di tutti i personaggi presenti: ciò che è stato stabilito dagli Dei non può venir mutato dalla volontà degli uomini. Diversamente dalla norma metastasiana, quest’aria non ha 2 bensì 3 strofe – è polistrofica – e l’elemento di articolazione è dato dalle uscite tronche “salvar”, “mancar”, “incontrar”, lascia dunque presagire una forma musicale peculiare. I versi conclusivi di ciascuna delle 3 strofe sono anche quelli che si scostano dal metro di base, il quinario: sono dei settenari almeno nel primo, e nel secondo caso; la 3 strofa è più estesa, non ha  3 versi, bensì 5.

Nel libretto a stampa del 1741, la conclusione dell’aria è modificata nel modo che vedete, cioè alla fine alla strofa di 5 versi ne presenta 4, sta su 4 righe e gli ultimi 2 versi sono combinati in un novenario, verso che all’epoca del Rolli è decisamente inconsueto. Tuttavia Handel potrebbe aver concepito la sua intonazione partendo proprio da questa stesura del testo.

Il verseggio dell’aria è semplice per quanto un po’ ampolloso: non ci si può sottrarre alla volontà degli Dei, anche se essa si manifesta con l’inarcare delle ciglia di Giove.

In questo pezzo non si può individuare una sezione mediana, il carattere del testo è decisamente sentenzioso, e tutto rivolto all’idea finale, ossia all’ineluttabilità del Fato, ossia al punto “Colpo di Fato” dell’aria. Se si prendono in termini drammatici questi versi, dopo la parola “incontrar” dell’ultimo verso, il colpo di fato, non è possibile nessun da capo, da un punto di vista contenutistico, e questo può spiegare perché Rolli non abbia contemplato un da capo, o addirittura lo abbia escluso, non adottando una forma tripartita che si avvicina alla forme base ABA. Per quanto si possa intuire, Rolli non si attendeva dalla musica una conclusione simmetrica e contemplativa, bensì lo sviluppo di una forma progressiva che punta verso un traguardo finale, e questo farebbe pensare alle pere della riforma di Gluck.

 

Come metterebbe in musica questo testo un compositore seguendo gli archetipi musicali dell’opera italiana?  

Un compositore italiano ci si potrebbe aspettare che mettesse in musica quest’aria alla stregua di un concerto solistico, con dei ritornelli che segnano i punti di articolazione e quelli di posa: quindi il primo ritornello nella tonalità di impianto – la prima strofa, cioè i primi tre versi; poi il ritornello al 5° grado, dove è logico che finisca la prima sezione, e poi la seconda strofa, il 3° ritornello, o al 6° o al 3° grado, il punto più lontano dalla tonalità dell’impianto: e queste sono sostanzialmente le due possibilità previste dalla trattatistica e dalla prassi compositiva. Infine la terza strofa, che riconduce o è ricondotta fin dall’inizio nella tonalità di impianto e il ritornello conclusivo.

Handel invece che cosa fa?  

Handel procede in maniera completamente diversa: all’inizio sembra imboccare la strada che si è detto, quindi la prima strofa che si muove verso il 5° grado, ma dopo poi passaggio del 6° grado, ma dopo il terzo ritornello, decide di fare ciò che davvero non ci si aspettava in presenza di un testo come questo, e cioè un da capo, ossia ritorna alla prima strofa nella tonalità di impianto, come se il testo fosse già esaurito: chi ascolta senza leggere il testo, non immagina affatto che manchi qualcosa. Fintanto che non si arriva alla frase finale “allor lo viene ad incontrar” è sempre ancora possibile concettualmente un ritorno all’inizio.

Foglio 1 / 3 partitura "Grecia tu Offendi" 

(battute 1 - 29)

Dopo il ritornello, alla battuta 13, inizia la prima strofa che conclude alla battuta 19 con un melisma; alla seconda enunciazione della prima strofa, Handel inverte l’ordine delle parole “offendi Grecia, difendi Troia”, questa seconda enunciazione a battuta 24, volge verso il 5° grado, che raggiunge una nuova cadenza a battuta 29: lì interviene il 2° ritornello, che ripete la cadenza a battuta 22.

Foglio 2 / 3 partitura "Grecia tu Offendi"

(battute 30 - 53)

Dopo la cadenza di battuta 32, il vecchio testo viene abbandonato annunciandosi una strofa nuova: a battuta 33, con delle riprese di battuta 4, si presenta un motivo strumentale, come se lì il ritornello dovesse proseguire, ma già alla successiva battuta 34, si passa nella strofa B.

La battuta 40 conduce al ritornello che, come già a battuta 32, a battuta 42, due battute dopo, è confermato dalla cadenza.

Fin qui si tratta di una composizione che nei motivi strumentali ha un marcato carattere vivaldiano, certo non nella forma, la forma sembra meccanicamente standardizzata: il da capo a battuta 43, non viene preso come una sorpresa, cioè fa parte delle aspettative formali consuete, e le piccole modifiche della tematica potrebbero rientrare nella sfera di variazioni  che sono comunque affidate all’esecutore, all’interprete. Ma in questo modo rischiamo di perdere di vista decisioni handeliane più sottili dal punto di vista formale: due sono le deviazioni rispetto al modello di base del da capo.

La prima deviazione, il ritornello numero 3, costituisce un vero e completo da capo, cioè un ritorno al ritornello numero 1, così in questo modo abbiamo 2 ritornelli consecutivi. Diversamente dalla norma, qui si ritorna direttamente al testo, e il da capo diventa un evento che mette in particolare risalto il testo: di solito nel da capo il testo è l’unica cosa che non ci interessa, perché lo conosciamo già a sufficienza: qui invece si ripresenta con una inopinata freschezza, e a dire il vero sentiamo le parole “Grecia tu offendi” per la prima volta di nuovo – è solo la seconda volta che le sentiamo – perché nella seconda enunciazione della prima strofa Handel aveva invertito l’ordine “offendi Grecia”, che è meno incisivo di “Grecia tu offendi”.

La seconda deviazione, il ricorso alla forma consueta del da capo funziona soltanto se la strofa A, nella sua seconda esposizione conclude nella tonalità di impianto. Questo non è il caso nell’aria “Grecia tu offendi”: in vista di una composizione su 3 strofe, a battuta 29 a 32, Handel ha chiuso sul 5° grado: un da capo rigoroso, un da capo che non abbia bisogno di venir riscritto perché è identico condurrebbe fuori strada la forma, concluderebbe al 5° grado.

Dunque Handel deve intervenire sulla sua stessa musica, deve svolgersi diversamente dalla prima volta, e, dopo la  prima enunciazione della strofa, deve assestarsi al 5° grado per consentire un equilibrio, una assimilazione tonale alla stregua di una ripresa di una forma sonata, e la variazione deve avvenire nella seconda enunciazione della strofa.

Con quale sovrana disinvoltura Handel manipoli le esigenze contingenti la musica, si manifesta in questo: nel punto chiave del discorso musicale, lo trasforma in modo tale da evidenziare il testo: una seconda enunciazione della prima strofa viene semplicemente evitata, non c’è quindi una seconda enunciazione: al suo posto, a battuta 49, poi interviene la terza strofa C, che in questo modo diventa quasi parte della strofa A. La soluzione di Handel in sostanza è ampliare il da capo conglobandovi la strofa C.

La terza strofa viene enunciata dapprima molto speditamente, con un verso per battuta: al verso 3 e il verso 4, la parola “allor”, rimane in un certo senso isolata o nascosta: la sillaba finale di “incontrar”, introduce il melisma che abbiamo già incontrato, sentito; è una cadenza provvisoria, che corrisponde a quella di battuta 19 alla fine della prima enunciazione della prima strofa. Ci si attende dunque la presenza di altre cadenze.

Prima di effettuare una seconda enunciazione della strofa C, Handel isola la parola “allor”, che è molto di più di una parolina, divenendo in modo sorprendente la parola chiave nel discorso di Handel: “Adesso sì, ti sto per dire quello che conta” e il modo per ottenere questo effetto il più elementare ama anche il più efficace possibile: le pause.

Con la pausa improvvisa, è come se Handel desse fuoco alla miccia e tutto ciò che segue, è posto sotto il segno della invitabile, ineluttabile esplosione finale del “Colpo di Fato”: con un colpo di genio Handel collega lo stereotipo convenzionale delle cadenze successive, come effetto conclusivo, al messaggio del testo poetico. Altrettanto inevitabile come la cadenza preannunciata, si verificherà il preannunciato “Colpo di Fato”: secondo il principio che nulla è così noioso come una esplosione e nulla è così eccitante come l’attesa di una esplosione, di cui si ha la certezza imminente, Handel gioca con i suoi ascoltatori, e a questo punto si prende tutto il tempo che vuole per aumentare l’effetto.

Foglio 3 / 3 partitura "Grecia tu Offendi"

(battuta 54 a 76)

Per prima cosa Handel completa il quarto verso, il quarto e quinto, ma sentiamo che il punto di traguardo e di esplosione cade sulla parola “incontrar”. Mediante piccoli espedienti tratti dal repertorio delle cadenze sfuggite, Handel riesce ad evitare progressivamente che questa esplosione abbia luogo: dapprima con una cadenza di inganno a battuta 56, poi a battuta 57 (cadenza debole), cadenzando sulla terza anziché sul primo grado, quindi è come “se l’abbiamo scampata”. La seconda enunciazione della strofa C, si sofferma e tematizza soprattutto sulla parola scampare, molto abbondantemente ricca di vocalizzi. La progressione sul 4°, 5°, 6° grado sulla parola “scampare” ci dà una fioca speranza che potremmo allontanare il raggiungimento della tonica, del critico primo grado. Ma tutto si arena nel vuoto alla battuta 64 senza una cadenza; fin qui non è capitato nulla, però la speranza che la faremo franca è stata vanificata e in un minaccioso “allor” che risuona a battuta 65, viene a dirci che l’ultimo verso al quale esso appartiene non è ancora dominato del tutto, nel senso che non è ancora stato esaurito a fondo nella sua portata. L’ascoltatore supera ancora una volta la strofa, “incontrar” arriva con una cadenza del basso che arriva terzo grado, battuta 68, cadenza evitata; in presenza di questa cadenza debole il movimento dei sedicesimi dei violini prosegue irrefrenato ed assorbe anche l’ultima enunciazione di “allor”, come se tutto il resto fosse un endecasillabo: è un insperato espediente metrico/poetico per aggirare l’arrivo finale su “incontrar”.

A questo punto non ci sono più scappatoie: Handel ripete per intero il verso, il novenario finale, e lo conduce lapidariamente a conclusione. In realtà con la clausula “tenorians” e “bassizants” del basso, nella cadenza di battuta 70, producono finalmente una cadenza in piena regola e ciò essa provoca un carattere addirittura iconico: la saetta di Giove fatta di biscrome all’insù lacera la partitura come un fulmine: è la saetta di Giove, che ha perso la pazienza. Poi c’è questo piccolo particolare, ma significativo, di come Handel declama la parola “incontrar” per l’ultima volta, allungando “in-“ ed accentuando ancora di più l’ultima sillaba. In un’aria tratta dalla partitura DEMOOFONTE di Antonio Caldara, si può notare come il fulmine è rappresentato da una abbondanza “di fulmini” in partitura che sono rappresentati da trentaduesimi in salita e discesa, mentre Handel invece impiega una scala sola tuttavia con l’unisono di tutti gli strumenti.

Le biscrome che rompono a battuta 70 non hanno nessun rapporto con qualunque motivo di tutta l’aria e questo è un evento del tutto singolare ed inopinato. Per delle forme musicali che si basano sulla ripetizione, come quella del da capo o di qualsiasi altra forma che si basi sul procedimento del ritornello, è addirittura un paradosso, una contraddizione: è un evento singolare appunto!

L’illuminante saetta di trentaduesimi ferisce in maniera lampante anche il riferimento implicito in tutto il rimanente materiale musicale tipico strumentale: esso appartiene a Giove, fa capo a lui. Il Movimento spigoloso, angoloso del motivo iniziale è un simbolo sonoro della insofferenza o del malumore di Giove e dell’inarcare delle sue sopracciglia: in tutta l’aria abbiamo una sola vera parola chiave ed è Giove. Le parole “quel che di Giove dal ciglio move” per altro sono le uniche non ripetute nell’aria di Handel, ripetizione che sarebbe ridondante visto che la presenza di Giove la pervade per intero.

Per tornare al “da capo” : è la spinta verso il traguardo finale che determina la vera e propria modificazione che Handel arreca alla idea del “da capo”: il testo non deve ripetersi per consolidarsi, deve bensì compiersi nel processo e giunge a conclusione, a compimento soltanto alla fine. A Handel qui non interessa la qualità notoria dell’aria col da capo, ossia la sua capacità di perpetuarsi di uno stato, ma punta l’attenzione su una qualità del tutto nuova, ossia la facoltà di far comparire/apparire un evento. La musica lavora molto intenzionalmente verso il raggiungimento di questo culmine: nel suo corredo strumentale, l’aria deve questo suo dinamismo all’azionismo interiore della musica di stile vivaldiano, è una musica che ha un carattere molto più attivo che non riflessivo.

Ma Handel raggiunge questo effetto che mira al traguardo sempre col principio dell’aria col da capo: si potrebbe dire che all’aria col da capo non ci si può sottrarre, è come una specie di volontà divina, degli Dei, la si può negare, come sembra faccia Paolo Rolli, ma acchiapperà per la coda il da capo: nei molti tentativi di raggirarla con molte sottigliezze, i musicisti procurano tante e tali modifiche che alla fine ne mutano i connotati. Una forma di attualizzazione dell’aria col da capo sarà più avanti nel tempo l’accorciamento della ripresa e il ritorno al segno. La scelta invece di Handel è orientata in senso opposto: egli amplia il da capo introducendovi la strofa C, e questo vuol dire che per Handel nel 1741 il potenziale artistico dell’aria col da capo è ben lungi dall’essere esaurito.

Esistono comunque anche altri casi di manipolazione handeliana sulla forma dell’aria col da capo: in DEIDAMIA questa aria è quella più rappresentativa della strumentalizzazione comunicativa handeliana, ma nell’opera esistono anche altre arie che presentano delle anomalie.

dalla relazione di Giovedì 4 Maggio 2006

tenuta presso Fondazione Levi

Si ringrazia la traduzione in italiano del professor Lorenzo Bianconi

(il prof. MANFRED HERMANN SCHMID aveva esposto le sue ricerche il lingua tedesca)

A cura di

Arsace da Versailles

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