LA MUSICA NEL 

'DE CONSOLATIONE PHILOSOPHIAE'  

DI SEVERINO BOEZIO

 

PAOLA NICOLI ALDINI *

PREMESSA

La figura e l'opera di Severino Boezio spiccano come una luce di prima grandezza nel quadro del passaggio dalla cultura latina a quella medievale; egli è stato definito "il primo dei medievisti" e non è necessario insistere sul pregio grandissimo riconosciutogli lungo tutto l'arco del Medioevo, del cui pensiero egli era riconosciuto padre e ispiratore 1.

La breve ricerca che qui presentiamo si volge ad un tema, quello della musica, particolarmente caro a Boezio, che di essa fu conoscitore profondo: il suo scritto 'De Instrutione Musica', in cinque parti o libri, ha costituito la fonte teorica ineludibile e non superata per tutti i musicisti fino all'età rinascimentale. Non doveva essere solo un esercizio di sapiente sintesi intellettuale, per Boezio, ma un vivo, profondo, partecipe sentimento per la musica, poiché egli la definisce "vernacula ", ossia familiare, appresa nella casa nativa fin dalla fanciullezza.

Boezio: note biografiche

Anicio Manlio Severino Boezio nacque verso il 480 da famiglia molto antica; la gens Anicia aveva dato nomi illustri al cursus honorum romano già nel II secolo a. C. Si era convertita precocemente al cristianesimo; gli Anici possedevano un mausoleo sul colle Vaticano, accanto a quello degli imperatori. La giovinezza di Boezio, nato forse a Roma, forse ad Alessandria d'Egitto, dove il padre Manlio Narsece era prefetto, si svolse a Roma e fu dedicata ad uno studio approfondito e vastissimo; essendo rimasto precocemente orfano di padre, divenne il pupillo di due eminenti patrizi. Quinto Aurelio Memmio Simmaco e forse anche Flavio Anicio Probo Fausto, suo parente. Il primo di essi, Simmaco, diventò suocero di Boezio che ne sposò la figlia Rusticiana, avendone due figli, Flavio Simmaco e Flavio Boezio, Simmaco, uomo di grande cultura, ebbe nell'affetto di Boezio il posto di un padre: lo scrittore ne parla spesso con accenti di altissima stima.

La statura morale e intellettuale di Boezio non poteva passare inosservata allorché il re degli Ostrogoti, Teodorico, giunse a Roma nell'anno 500. Mentre si evolveva una delicata situazione politico-religiosa tra Impero romano d'Oriente e Teodorico, divenuto sovrano in territorio italico dopo la caduta di Odoacre, Boezio, in qualità di console sine collega, ed in virtù delle convinzioni cristiane da lui professate, cercava di appianare la minaccia di una prevalenza del dominatore, ostrogoto ed ariano, sulle tradizioni latino-cristiane sia in campo giuridico sia in campo culturale. Boezio fu dapprima fiduciario di Teodorico, il quale lo innalzò ai massimi onori ed attribuì la carica consolare ai suoi due giovani figli. Nello svolgimento di questi uffici Boezio non nascondeva la propensione alla tradizione latina; la sua difficile opera di mediazione si estese anche alle discussioni in campo religioso, avendo egli inviato a Costantinopoli scritti teologici che difendevano l'ortodossia cristiana.

Doveva purtroppo arrivare l'ora della prova: accusato falsamente, denunziato a Teodorico come traditore e maleficus, nel 523 venne imprigionato a Pavia e condannato, senza potersi difendere, con la connivenza del Senato Romano. Nei 525 Teodorico lo fece uccidere; poco dopo fece uccidere anche suo suocero Simmaco. Dopo questi avvenimenti vuole una tradizione, forse caricata di leggenda, che Teodorico non avesse più pace; è certo che morì l'anno successivo tormentato dal ricordo del duplice omicidio perpetrato.

Fortuna di Boezio

La grandezza morale di Severino Boezio venne subito riconosciuta suscitandone la venerazione come santo e martire; ed egli fu sepolto nella basilica pavese di S. Pietro in Ciel d'Oro, per volere del re longobardo Liutprando, accanto alla tomba di sant'Agostino. Nel periodo di prigionia, trascorso, pare, nella torre del battistero di Pavia, Boezio scrisse il 'De Consolatione Philosophiae', un capolavoro di riflessione filosofica e morale, testimonianza della profonda consapevolezza di una coscienza nobilissima che sapeva dominare il dramma personale e il dolore di romano fermamente ancorato ai principi del diritto con una rassegnazione filosoficamente e poeticamente argomentata, sottintendendovi l'abbandono alla volontà suprema di Colui che ha creato e regge l'universo e i destini della storia.

Il 'De Consolatione Philosophiae' è un'opera che fin dal Medioevo conobbe grandissimo apprezzamento; costituiva un testo di studio obbligatorio nelle scuole. Dante nel Convivio attribuisce a Boezio e Tullio (Cicerone) "con la dolcezza del loro sermone" averlo guidato "ne lo amore, cioè ne lo studio, di questa donna gentilissima Filosofia con li raggi de le stelle loro"2. Il canto X del Paradiso, dedicato al Cielo del Sole, delinea la visione dei sapienti, con le parole di san Tommaso d'Aquino; essi fissarono lo sguardo nel sole della sapienza divina, accesi e guidati dal raggio della grazia, così da divenire essi stessi una ghirlanda di soli splendenti, che in luce ed in movimento di "gloriosa rota" perpetuano nella beatitudine la contemplazione delle leggi universali che compresero in questa vita. Tra loro vi è Boezio, “l’anima santa” che rende manifesta l'inanità delle cose terrene a chi l'ascolta leggendone con attenzione le opere; "ed essa da martire / e da essilio venne a questa pace"3.

Cosi Boezio riceve il poetico riconoscimento della sua grandezza.

Secondo l'opinione di alcuni storici, lo stile boeziano, nonché la sua filosofia, hanno il carattere più di un tramite, di un ponte di collegamento tra la filosofia antica e la concezione cristiana dell'uomo e dell'universo, piuttosto che di apertura di vie nuove di pensiero. Ma l'opera boeziana, nella vastità della sua prospettiva, nella profondità dei suoi fondamenti, nella luminosità della sua esplicazione, ha indicato la via   dritta per tutti i pensatori successivi, e non ci si stanca di ammirarne l'armoniosità dell'argomentare e dello stile 4.

Boezio e la musica

II 'De Institutione Musica' è un'opera di grande respiro che egli scrisse poco più che venticinquenne. Attinse direttamente agli scritti dei neopitagorici, eredi di una concezione cosmologica fondata sul numero quale principio intrinseco di tutta la realtà sussistente. Di qui una teoria musicale molto evoluta, nella ricerca di un'armonia dei suoni proporzionata, overossia concordante con. l'armonia numerica rilevabile nella natura. Il termine numerus, in latino, veniva applicato alla poesia per designarne la qualità armoniosa, poiché il concetto di proporzione tra gli elementi minori era universalmente considerato e accettato come necessario presupposto del valore di un'opera d'arte.

Il filosofo latino tuttavia non si ferma qui, poiché definisce una triplice accezione, una triplice valenza - diremmo noi - del termine 'musica'. A seguito delle teorie platoniche, egli scrive che "l'anima del mondo è stata conformata dall'armonia musicale", intendendo che il moto degli esseri riporta al Creatore ed è in sé stesso armonicamente ordinato; dunque esso si riconosce come musica e si esplica in tre sfere, a tre differenti livelli: come "musica mundana", o armonia sonora dei corpi celesti in movimento, per molti motivi non udibile ad orecchio umano; "musica humana", o armonia dell'anima e del corpo, udibile da chiunque "discenda in se stesso" con la meditazione; "musica instrumentalis", la musica prodotta con gli strumenti. 

In questa tripartizione affluisce lo studio degli scritti di Dionigi Areopagita ed il suo insegnamento circa l'amore divino trinitario come forza che muove la creazione, manifestandovisi e convertendo ogni cosa a sé in un circolo sempre rinnovantesi. In lui sono uniti anche tutti i contrari, poiché gli esseri terrestri conseguono il loro fine nel completamento delle diversità, nella "coincidentia oppositorum" della quale acutamente scriverà il cardinale Nicolo Cusano.

Riprendendo la definizione platonico - aristotelica, l'essere umano è un microcosmo organizzato in maniera somigliante a quella dell'universo. Si comprende bene, in questa prospettiva,  la  triplice  espressione della  musica  dapprima nell'universo, poi nell'essere psichico, poi ancora nella sfera più bassa, quella degli elementi terrestri. È notevole constatare che Boezio conosceva la natura delle onde sonore: egli paragona l'origine del suono al gettare un sasso in un laghetto od in acque tranquille, ove si forma dapprima una piccola onda circolare, e poi via via onde per cerchi sempre più ampi, fino al dissolversi del movimento 5. Nell'aria ha luogo un fluttuare di onde sonore sferiche finché esse colpiscono l'udito. 

Nè Boezio ignorava che il suono più grave ("obscurior vox") proviene da fonte più lontana, considerando la gamma dei suoni, ovvero da onde più lunghe perché più distanziate al loro prodursi.

Il proemio dell'opera è interamente dedicato alla natura etica della musica, al potere che essa ha di far vibrare le corde dell'animo e di suscitarvi un'attività spirituale. È questa una proprietà del tutto peculiare dell'arte dei suoni, cosicché essa può "cohonestare", rendere migliori, oppure "evertere", sovvertire, distruggere i costumi, a somiglianza della musica che venga ascoltata.

Essa possiede la natura intrinseca e, potremmo dire, la funzione di rispecchiare più di ogni altra arte l'armonia della creazione e il movimento di ritorno delle creature del Creatore, non solo per riflesso, ma realizzandolo intrinsecamente per mezzo della consonanza, che non è altro se non il comporsi armonioso di elementi dissimili. Ne il 'De Institutione Musica' sì limita a esporre le teorie greche, da Pitagora ad Aristosseno, a Tolomeo; su ogni argomento egli esamina quali siano le nozioni errate, che vengono scartate, e quelle giuste, che Boezio riordina organicamente e porta ad ulteriore, mirabile sviluppo. Così egli è veramente il fondatore, non solo il nomenclatore, della teoria musicale nei secoli successivi.

La musica nel "De Consolatione"

Quando Boezio scrisse, in carcere, il 'De Consolatione Philosophiae', in questa ammirevole sintesi della sua attività di pensiero e della sua vita spirituale non poteva mancare la presenza della musica 6 . Già essendo un'opera mista di prosa e di poesia (ed i poemi erano destinati al canto), all'inizio del II libro vi fa la sua comparsa la Musica, che, insieme alla Retorica, addolcisce l'animo amareggiato di Boezio e, sottolineando con dolci suoni il discorrere della Filosofia, quale medicina dell'animo, lo dispone ad un armonioso discorrere degli argomenti più ardui ed elevati.

È la Filosofia che convoca le discipline sorelle: "Ci assista dunque, con la sua dolcezza persuasiva, la Retorica, che allora soltanto procede sul retto cammino, quando non abbandona i nostri principi, e con essa la Musica, da sempre ancella della mia casa, alterni melodie ora liete ora severe". 

Perché la Filosofia, personificata in una dama dal nobile aspetto, convoca insieme la Musica e la Retorica? Secondo la tradizione derivata da Marziano Capella (inizio del v secolo), le discipline fondamentali del discorso, riunite nel Trivium, erano chiamate "artes sermocinales" o "artes dicendi": la grammatica, la dialettica, la retorica. La musica, appartenente invece al Quadrivium con l'aritmetica, la geometria e l'astronomia, era accostata alla retorica in qualità di "ars bene modulandi" o "ars bene canendi", quando "ars bene dicendi" era la definizione della retorica medesima, modulazione anch'essa della voce parlata.

Veniamo ora ad esaminare da più vicino le composizioni poetico-musicali nel 'De Consolatione Philosophiae'.

Qual era la situazione della metrica e della versificazione latina al tempo di Boezio?

Si trova frequentemente l'asserzione che la tradizione del verso latino classico, basato sulla metrica quantitativa, ovvero sull'alternanza di sillabe lunghe e brevi, si fosse già quasi spenta nel m secolo d. C., soppiantata dalla metrica accentuativa. I poeti cristiani, quali Ausonio e Prudenzio, composero tuttavia seguendo i metri classici; non vi è ragione di pensare che si trattasse di un espediente artificioso ed anacronistico, bensì d'una continuità, non solo una sopravvivenza formale, della tradizione classica. Composizioni quali la poesia di Commodiano (III sec. d. C.) o di sant'Agostino, nel Psalmus Abbecedrius, si valsero della versificazione accentuativa; l'accentuazione facilitava il canto o la recitazione corale nelle scuole e nelle chiese.

Gli Inni di sant'Ambrogio, celebrati da sant'Agostino e conosciuti da Boezio, si fondavano su una metrica prevalentemente accentuativa, che dava luogo alla composizione di facili melodie destinate all'assemblea dei fedeli. 

Nel 'De Consolatione Philosophiae' abbiamo esempi tanto della metrica classica quanto della metrica accentuativa.

Boezio padroneggiava perfettamente tutto l'arco delle espressioni poetiche latine e delle corrispondenti composizioni musicali. Del resto, il grande scrittore affermava non solo la preminenza del musicista ben istruito teoricamente sul mero esecutore di musiche altrui, ma anche la superiorità del vero musicista sul poeta o versificatore sprovvisto di nozioni musicali, poiché quest'ultimo componeva le musiche ad orecchio; mentre il vero musico sapeva giudicare anche dell'adeguatezza dei versi, "de poetarum carminibus".

Era ancora vivo il senso latino del "cursus", cioè del ritmo quantitativo della prosa, considerato elemento essenziale di una prosa elegante, soprattutto alla conclusione delle frasi. La "dulcedo", la dolcezza della prosa boeziana si riscontra nell'andamento quieto e frequentemente ternario: le sillabe lunghe appaiono alquanto distanziate e gli accenti delle parole seguono spesso un pacato ritmo di una sillaba lunga e due brevi.

Le poesie de 'De Consolatione Philosophiae', dato il carattere dialogico e meditativo dell'opera, sono destinate quasi tutte al canto a voce sola; perciò si fondano prevalentemente sulla metrica quantitativa, trattata con una certa libertà, in un'ampia gamma di versi, distici, strofe.

Nella prosodia latina, alla differente quantità delle sillabe corrispondeva un'intonazione differente del discorso parlato: la sillaba lunga era intonata circa una terza al di sopra della sillaba breve.

Certamente Boezio aveva composto anche le musiche dei suoi carmi, ci è pervenuto un manoscritto del 'De Consolatione Philosophiae' che reca tracce di Rotazione musicale, ed inoltre è da ritenere che al tempo di Boezio fosse già iniziata la notazione musicale scritta, poiché esistono documenti scritti di notazione musicale ambrosiana in un palinsesto del VII secolo, e, pare, di notazione latina in un palinsesto del VI secolo. L'opinione degli studiosi è favorevole ad attribuire alla notazione diastematica, che indicava l'altezza precisa delle note, un'antichità che risale almeno al IX secolo dopo Cristo. Anche al tempo di san Gregorio Magno (590-604) non è da escludere che fosse possibile scrivere i suoni secondo la loro altezza. Dunque è probabile che la notazione fosse già abbastanza evoluta; non va dimenticato che proprio Boezio è l'autore della scala musicale m lettere latine, dove la A corrisponde al nostro DO.

L'inizio del I libro è un componimento poetico in distici elegiaci, definiti "maestos modos", modi dolenti. L'espressione "modos" indica la musica sulla quale veniva intonato questo genere di versi classici dal contenuto malinconico.

Nello svolgersi dell'opera, ogni brano in prosa è seguito da un carme. La scelta di Boezio per le differenti specie di metrica, e conseguentemente di toni musicali, rileva una sensibilità compositiva dallo sguardo singolarmente ampio. Evitando le ripetizioni, gli schemi metrici e melodici si rinnovano continuamente, e tutto il 'De Consolatione Philosophiae' obbedisce ad un disegno armonioso, ad un "cursus" interno. Il numero dei poemi in ogni libro va dai cinque agli otto nei libri I, II, IV e V; soltanto il III libro ne contiene dodici. Il maggior o minor numero di poemi è in uguale proporzione alla maggiore o minore consistenza di ciascun libro; esiste dunque una "ratio" intera all'opera, che intende evitare eccessive prolissità del discorso filosofico.

L'esame dei poemi boeziani permette di constatare che non è possibile classificarli rigorosamente secondo i canoni della metrica latina antica, nè tantomeno di quella greca. È plausibile, ci sembra, una suddivisione dei 39 poemi in tre generi, come segue:

1. Poemi scritti secondo la metrica latina classica;

2- Poemi in metrica accentuativo-quantitativa, dove la quantità delle sillabe lunghe, per Io più accentate, è adoperata per costruire versi di tipo accentuativo, ma suddivisi ancora secondo i 'piedi' della metrica classica, disposti con una certa libertà di invenzione. Davvero notevole è la dovizia e l'armoniosità degli schemi metrici di questo tipo,

3 - Poemi in ritmo accentuativo, in versi per lo più tetrametri, riconducibili alla tradizione dell'innodia cristiana.

Nel primo gruppo compaiono, oltre all'elegia iniziale, un numero non amplissimo di carmi; vi troviamo ancora distici elegiaci, endecasillabi fateci ed esametri. Non vi compaiono ritmi agitati, ma solo i metri della poesia elegiaca, esortativa, narrativa.

La musica di questo gruppo di poemi poteva rispondere alla tradizione latina dei 'toni' o modi corrispondenti a ciascun genere; dunque la musica agiva quale 'ancella della poesia’ , poiché la durata dei toni, nonché la 'cantilena', la linea melodica, erano un ornamento, un complemento della poesia -

II poema IX del III libro, in esametri, è una solenne e maestosa invocazione al Creatore, quasi una sinfonia, che lo celebra nelle leggi della creazione: ternarietà dell'essenza spirituale e binarietà del movimento.

Veniamo ora al secondo gruppo di poemi, il più ampio: si tratta di poesie liriche nelle quali il succedersi quantitativo delle sillabe coincide spesso con il ritmo accentuativo; più raramente l'arsi — il punto di appoggio ritmico — è rilevabile secondo la quantità; ne risulta una metrica che potremmo definire quantitativo-accentuativa. 

Il secondo elemento (l'accento) tende ormai ad affermarsi; la poesia boeziana, però non rinnega mal il principio quantitativo sul quale è saldamente basato ogni poema. Ne deriva una costante ed intensa armonio sita, prerogativa del tutto peculiare del grande scrittore latino;  armoniosità che si fonda sulla successione di ritmi ternari o sulla loro opportuna disposizione a seconda del contenuto del discorso poetico.

La maggiore libertà della versificazione corrisponde certamente al contemporaneo cambiamento, al maggiore sviluppo della teoria musicale.

Nel 'De Institutione Musica' Boezio porta la teoria della ternarietà come perfezione e della binarietà come imperfezione ad un'ampiezza ed una profondità fin allora sconosciute. La ternarietà risponde alla perfezione per il fatto che essa obbedisce al moto circolare; ora, la medesima esigenza di far convergere elementi dissimili per ottenere la consonanza, che è anch'essa perfezione, si trova nello studio dell'altezza dei suoni.

La teoria boeziana apre la strada ad un'amplissima gamma di possibilità e di combinazioni ritmiche, delle quali i poemi da lui composti costituiscono l'esempio migliore. La musica non è più ancella della poesia, ma sorella, riconosciuta in tutti i suoi aspetti, riguardata nella sua vera e completa fisionomia.

L'inizio anacrusico, cioè "in levare", è frequente in questo tipo di versificazione. Esso non sottrae nulla al ritmo successivo, poiché anticipando una o due sillabe non accentate la frase musicale risulta arricchita da una o due note "in levare" che alleggeriscono e abbelliscono il ritmo.

Un piccolo numero di poemi, infine, può essere avvicinato all'innodia latina ed ambrosiana. Riguardo a quest'ultima, nel 'De Consolatione Philosophiae' possiamo individuare degli inni strettamente apparentati con quelli del grande vescovo milanese, poiché la tradizione del canto ambrosiano si estense e continuò anche a Pavia.

Reminiscenza diretta di sant'Ambrogio è l'invocazione "O stelliferi conditor orbis" che inizia il carme V del I Libro; un bellissimo inno, dalla classica struttura in versi tetrametri, cioè di quattro piedi metrici, ora bisillabi ora trisillabi; il carme è dedicato a Dio creatore e ad invocarne la misericordia. È evidente la somiglianza con l'inizio del celebre inno ambrosiano "Aeterne rerum conditor", sia nell'appellativo sia nel ritmo: la binarietà ritmica, caratteristica dell'accentuazione del verso ambrosiano, in quello boeziano è sottintesa in un andamento più ampio (unità metriche di due o tre sillabe) ma ben individuato sia dalla cesura a metà di ogni verso sia dalla composizione quaternaria dei versi medesimi che corrisponde ai quattro accenti dell'ottosillabo ambrosiano.

Il canto ambrosiano, come è noto, costituisce un campo di studio passibile di nuove aperture sulla conoscenza della musica latino-cristiana, perché tramanda un'arte musicale antichissima. È molto verosimile che le melodie tramandate dai manoscritti siano le stesse dell'epoca in cui questo canto nacque, a metà del IV secolo d. C., giunte fino a noi senza particolari modificazioni. La melodia ha carattere di semplicità, vorremmo dire di essenzialità: essa procede preferibilmente per gradi congiunti, nell'ambito di una quarta. Gli intervalli ampi, specie se discendenti, sono riempiti di noie. Inoltre esso canto non rientra nelle leggi degli 'otto modi', limitandosi a tre 'corde' o 'toni' di canto su DO, RE, MI. Gli inni, essendo destinati all'assemblea dei fedeli, erano composti di una linea melodica semplice, sillabica, espressiva, modulata sia dal contenuto della parole, sia sulla qualità e quantità di ciascuna sillaba. Nei canti ambrosiani si è voluta riconoscere a volte un'origine gallicana od orientale; a noi sembra, almeno per quanto riguarda gli inni, che essi rientrino, senza elementi che vi contraddicano, nel quadro della tradizione tardo-latina, così come Boezio la spiegava nel 'De Institutione Musica'

Altre reminiscenze del canto liturgico nel 'De Consolatione Philosophiae' le troviamo nel libro III: vi è una citazione della prima delle grandi antifone dell'Avvento: "O Sapientia (...) fortiter suaviterque disponens omnia"; questa volta è un canto liturgico romano conosciuto da Boezio a Roma, precedente l'epoca di san Gregorio Magno 7 . 

Ma l'innodia cristiana poteva annoverare anche altri gloriosi esponenti, vissuti nell'epoca tra sant'Ambrogio e l'autore del 'De Consolatione Philosophiae': i più illustri furono sant'Ilario di Poitiers e Prudenzio. Quest'ultimo aveva scritto negli antichi metri latini. Anche nell'opera boeziana si trovano numerose composizioni che seguono questa tradizione, già instauratasi, di comporre inni, specialmente in lode del Creatore, in versi classicheggianti.

Il carme VIII del II libro, una mirabile lode di Dio Creatore (che sembra quasi anticipare, nella visione del cosmo, il dantesco "l'Amor che move '1 sole e l'altre stelle"), è scritto in versi ottosillabici come gli inni ambrosiani; la metrica, tuttavia, se ne discosta alquanto, seguendo un ritmo classico quantitativo.

Il carattere di inno è presente anche nel carme conclusivo del III libro, che narra la vicenda di Orfeo ed Euridice, concludendosi con l'esortazione a non voltarsi verso le tenebre quando si sia intrapresa la strada della luce. I versi sono di genere quantitativo-accentuativo, ottosillabi, suddivisi in episodi o strofe. Le frasi brevi ed essenziali suggeriscono una musica poco adorna di melismi, sobria, dall'andamento calmo, ripetuta di strofa in strofa.

Concludendo questa breve ricerca sulle composizioni poetico-musicali del 'De Consolatione Philosophiae' si è consapevoli di trovarsi dinnanzi ad un campo di grande interesse per lo studio della musica latina; campo che può rivelare ancora molti tesori nascosti quando se ne approfondisca lo studio alla luce delle odierne conoscenze linguistiche e musicologiche.

 

* Relazione presentata in occasione degli "Incontri di Studio" del 17 aprile 2004.

1 Su Boezio in generale, si rimanda al fondamentale saggio: L. Obertello, Severino Boezio, 2 voll., Genova 1974.

2 Conv., II. XI. 

3 Par., X, vv. 121 – 129.

  4 L'opera completa di Boezio è in PL 63, coll. 537-1439 e PL 64, coll. 9-1028; inoltre in CSEL 67 e in CCL 94.

  5 De Institutione Musica, I, XIV.

  6 Tra le recenti traduzioni in italiano del 'De Consolatione Philosophiae', sì segnalano qui quelle presenti nelle collane "I Classici della BUR" (Rizzoli) e "Classici Latini" (UTET), rispettivamente: Severjno Boezio, La consolazione della filosofia, a cura di O. Dallera, con una introduzione di C. Mohrmann, Milano 1977 e Severino Boezio, La consolazione della filosofia, a cura di C. Moreschini, Torino 1994.

  7 "Est igitur summum (...) bonum, quod regit cuncta fortiter suaviterque disponit": De Cons., III, 12. Riferimento al passo biblico Sap. 8, 1. 

 

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