Come detto nelle altre sezioni de L'AFFARE DEI VELENI, per l'urgenza e la particolarità della indagini, era necessario ricorrere a degli istituti di gestione della giustizia non solo più rapidi, ma anche più discreti: fu istituita quindi la Camera Ardente, il cui nome proviene dall'aula in cui i giudici sedevano, tutta tappezzata di drappi neri, illuminati da fiaccole.

Spettava alla Camera Ardente non solo l'istruzione del caso, ma anche il giudizio su di esso, che non era appellabile. 

Luigi XIV volle che la Camera fosse costituita da membri illustri del Consiglio di Stato. Presidente fu il magistrato Louis Boucherat, che poi fu anche cancelliere di Francia.

"Noi giudichiamo solo sulle prove, ma al Re sono sufficienti gli indizi" (Louis Boucherat)

Il nuovo istituto aprì i battenti il 10 Aprile 1679

Si decise di indagare in segreto, come detto, dal momento che si ritenevano molto pericolose le informazioni che potevano diffondersi circa i modi con cui si celebravano le messe nere. Non era il caso inoltre di divulgare involontariamente quali erano gli ingredienti costituenti i veleni, le descrizioni delle pratiche demoniache e delle formule magiche.

Come operava la Camera Ardente?

Il Procuratore generale, sulla base delle testimonianze, proclamava una requisitoria per impostare una causa, supportata da prove. 

In base alla documentazione probatoria, egli decideva se procedere all'arresto o meno, raccomandando o meno al Re la segregazione del sospettato. Era prerogativa del Re solo il nulla osta dell'arresto.

Una volta effettuato l'arresto, l'istruttoria procedeva: si leggevano in giudizio le prove, ed il Procuratore generale esponeva la requisitoria finale, terminandola con la richiesta di condanna od assoluzione. 

La Camera emetteva come detto una sentenza inappellabile.

Essa si occupò del caso dell'Affare dei Veleni per l'arco di tempo fra il 1679 al 23 luglio 1682, tenne 210 sedute.

Vennero quindi chiamati a giudizio personaggi noti e di alto lignaggio, soprattutto dame, fra cui:

Antoniette de Mesmes, alias madame de Vivonne, cognata della Montespan, essendosi unita in matrimonio con Louis Victor de Rochechouart de Mortemart (1636-1688), conosciuto come Marchese di Vivonne, che fu "enfant d'honneur" ed amico di Luigi XIV durante la sua gioventù;

Madame de La Mothe;

Elisabeth Hamilton, Contessa de Gramont, dama di Palazzo della Regina Maria Teresa;  

La signora di Gramont

Mademoiselle des Oeillets e Mademoiselle Cato (succedute alla Montespan);

Olimpia Mancini, contessa di Soissons: che si rivolse alla strega per avvelenare Louise de La Vallière; inoltre si diffusero voci sulla morte del marito Eugenio Maurizio di Savoia-Soissons;

La Contessa di Soissons

Fra i nomi della nobiltà altolocata, quello di Olympie Mancini (qui a lato) fece scalpore, e non fu protetta dal Re con l'immunità. Olimpia di Soisson fu accusata della morte del marito; il Re, ricordandosi del legame amoroso che lo legò a lei, informò in tempo Olimpia dell'imminente arresto, cosa che permise alla nipote di Mazzarino di fuggire nelle Fiandre. Fu proprio La Voisin ad accusare Olimpia  ed anche la sorella Maria-Anna Mancini, duchessa di Bouiillon, di avere avvelenato il conte di Soissons.

la contessa di Roure;

Madame la contessa di Roure

la viscontessa di Polignac;

il maresciallo di Luxembourg 

François Henri de Montmorency-Bouteville, Duca de Piney, chiamato de Luxembourg

Louvois era grande amico del Duca di Lussemburgo, e quindi andò dal Re perorando una causa difensiva per l'amico, per sospendere le indagini, ma Luigi XIV fu irremovibile: "Continuate!" disse. Fu giudicato colpevole di aver cercato di avvelenare la moglie, e, sebbene avesse avuto un passato glorioso come condottiero dell'armata francese, finì alla Bastiglia.

ed altri ancora.

La Camera Ardente sentenziò sul destino di 442 persone, di cui 367 arrestati e 218 tenuti in cella. Trentasei furono le condanne a morte, dopo esser state praticate le torture ordinarie e straordinarie; 23 furono gli esiliati, 5 condannati alle "galere", che equivaleva all'ergastolo odierno; altri furono ammoniti e destinati a continua sorveglianza. Assoluzione per tutti gli altri.

 

Conclusioni

Si può affermare quindi che il satanismo si manifestò per la prima volta in questa cosca attiva ai margini della Corte francese, e ruotante attorno a Catherine La Voisin, che, con lo spretato Guibourg, organizzava per dame di corte,  le prime “Messe nere”, nelle quali il diavolo è adorato per ottenere favori o vantaggi materiali.

Sebbene la Camera Ardente contribuì molto alla sopressione di questo malessere sociale, questo episodio scandaloso, ma fino ad un certo momento circoscritto, acquistò un’enorme notorietà europea, grazie alle gazzette, visto che la stampa cominciava a diventare in quel periodo socialmente importante. 

In questo modo spuntarono, seppure con modeste dimensioni, imitatori. “Messe nere” e altre cerimonie sataniche vennero celebrate nel Settecento:

in Italia – nel Ducato di Modena, ai margini più discutibili dell’eresia quietista; 

in Inghilterra, fra i libertini che si riunivano all’abbazia di Medmenham intorno a sir Francis Dashwood (1708-1781), e che daranno tuttavia al satanismo un’impronta ludica, razionalista e anti-clericale; 

e forse in Russia, dove peraltro le fonti sono scarse.


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