(Arpino, 1684 - Napoli, post 1745)

VIRTUOSO DELLA REAL CAPPELLA DI NAPOLI

          Nel 1676, in un antico borgo del Ducato di Sora nel Regno di Napoli, la celebre Città di Arpino, ricca di storia e di preziose testimonianze artistiche, una sontuosa cerimonia nuziale aveva attirato l’attenzione e la curiosità generale, a motivo della cospicua dote di ben 600 scudi ed ancor più per il misterioso fascino del promesso sposo, che vantava, addirittura, una discendenza dagli antichi egizi!

         Agata di Iorio, la ricca ed avvenente figlia di Giovanni Domenico e di Cecilia, notabili del luogo, nata in quella cittadina il 4 aprile 1654, si univa in matrimonio a Igino Gizzi, di Ceccano, nello Stato Pontificio, rampollo di una antica famiglia, stabilitasi a Ceccano all’inizio del secolo, ma originaria della Città di Ferentino. Molto probabilmente, una parte rilevante in questi sponsali venne svolta dal fratello di Igino, Don Giovanni Gizzi, titolare, per alcuni anni, del beneficio della Chiesa di San Vito ad Arpino e, successivamente, ecclesiastico influente in Ceccano (1).

           L’anno seguente, l’unione fu allietata dalla nascita di una bambina, battezzata, con il nome di Cecilia, nella Chiesa Abbaziale di San Michele Arcangelo, di Arpino, il 22 aprile 1677.

         Nell’atto di battesimo, il solerte Abate Basilio Miccinelli, non mancava di registrare la cittadina di provenienza del padre della bambina, scrivendo:

         "Higino Gizzi della Terra di Ciccano" (2).

           Dopo la nascita del maschio primogenito, Giuseppe Gaetano, battezzato il 27 marzo 1685 e di altre due bambine, Cecilia Rosa  e Anna Clemenza, battezzate rispettivamente il 1 maggio 1679 e il 26 luglio 1681,  vedeva la luce, nel 1687, il quinto figlio, Domenico, che avrebbe grandemente illustrato la famiglia nel campo dell’arte musicale.

         E’ l’atto di battesimo a chiarire definitivamente l’anno della nascita del musicista, che tutte le pubblicazioni, erroneamente, pongono fra il 1680 e il 1684:

  "A’ di 12 marzo 1687

Domenico Ant.o Nicola Gregorio Figlio leg.o e nat.le d’Igino Gizzi, et Agata di Iorio consorti è stato battezzato da me Abb.e Basilio Miccinelli. L’hanno tenuto al Sag. Fonte Pietro Petrucci e Giovanna Scappaticci" (3).

         Negli anni successivi, la famiglia si arricchì ancora di tre figli: Bellissima, battezzata il 6 gennaio 1690, Apollonia il 27 dicembre 1691 ed ultimo Pietro Angelo Tomaso, condotto al Fonte battesimale l’8 luglio 1698 (4).

         Sia il primogenito Giuseppe che Pietro Angelo si trasferirono, ben presto, a Ceccano, dando origine ai due rami della Famiglia fiorenti in quella cittadina (5).

         Fin dalla più tenera infanzia, Domenico mostrò una singolare disposizione per la musica, iniziando gli studi con il celebre Marco Tullio Angelio, Maestro di Cappella ed allievo del romano Giacomo Carissimi, che notò subito le qualità del fanciullo e gli insegnò le prime regole dell’arte dei suoni.

         Dopo aver esaminato più volte la sua voce angelica, l’anziano maestro di Cappella intuì l’innato talento del piccolo Domenico e parlò con vivi elogi, al padre Igino, delle doti eccezionali e dell’istinto musicale di quel fanciullo prodigio, facendogli anche intravvedere un bell’avvenire di sicura fortuna.

           Il primo biografo del musicista, il “Regio Istoriografo” Giovanni Battista Gennaro Grossi (Arce 1756-Napoli 1823), elegantemente, evita anche un semplice accenno, alle vicende della castrazione di Domenico, quasi a volerla celare con assoluto pudore.  Questa sua fine discrezione è comprensibile, poiché egli scriveva agli albori del secolo romantico, un’epoca in cui la tradizione musicale barocca e la scuola vocale napoletana erano al tramonto e sempre più imperioso saliva un moto di veemente condanna della pratica dell’evirazione, che, per ben due secoli, aveva consentito la fioritura di voci sublimi, di incantevole bellezza.

         In ogni caso, possiamo presumere che il ruolo del primo maestro e del padre Igino sia stato davvero determinante, nel decidere questa operazione così traumatica, subita dal fanciullo fra gli otto e i dodici anni di età. Custode della nobile vocalità romana a lui trasmessa dal Carissimi, l’Angelio aveva avuto modo di conoscere gli splendori della Cappella Pontificia e l’alta considerazione e gli onori conseguiti dai migliori sopranisti italiani nelle maggiori corti europee (6).

         Su indicazione dell’Angelio, Domenico fu animato a recarsi a Napoli, Capitale del Regno, per approfondire le conoscenze musicali in uno dei famosi collegi musicali della Città.

         Per l’ingresso del fanciullo nel Conservatorio di Sant’Onofrio, secondo quanto richiesto dai regolamenti, venne fatta esplicita richiesta ai Governatori di quella pia istituzione, che accolsero di buon grado la domanda del promettente fanciullo.

         Così Domenico lasciò la Città di Arpino alla volta di Napoli, accompagnato dalle grandi speranze di successo e di roseo avvenire, che in lui riponevano i familiari ed i concittadini.

Al suo ingresso nel Conservatorio, in qualità di “Figliolo”, nel corso di una suggestiva cerimonia di impronta religiosa, al canto del “Veni Creator Spiritus”, Domenico indossò la veste propria degli allievi del Sant’Onofrio: una sottana bianca con cotta beige, che lo avrebbe contraddistinto fino al termine degli studi.

         Nel Conservatorio, iniziò un lungo periodo di formazione artistica, in cui gli venne impartita una educazione musicale di assoluto rilievo. Tutti i segreti della composizione, del canto, dell’armonia e gli esercizi di contrappunto, si disvelarono ai suoi occhi, insieme a lezioni di discipline umanistiche, grammatica, retorica, religione e filosofia.

         Inoltre, quale singolare preparazione al contatto con il rutilante mondo musicale napoletano, ormai il maggiore centro dell’opera Francesco Durante italiana d’Europa, egli partecipava alle principali cerimonie religiose, in cui si richiedeva il contributo dei giovani sopranisti, esercitando la sua voce nelle celebrazioni di messe, processioni, funerali e funzioni liturgiche.

           Secondo il Grossi e il Florimo, Domenico seguì il consiglio del maestro ed entrò nel Conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana, nel 1692, nella classe del celebre Alessandro Scarlatti, alla cui scuola avrebbe appreso le regole dell’armonia, l’arte del canto e della melodia e tutte le risorse del contrappunto. I due autori indicavano, come suoi condiscepoli, Nicola Antonio Porpora e Francesco Durante, due fra i maggiori musicisti della Scuola Napoletana (7).

         Le più recenti acquisizioni storiche e documentarie sui Conservatori Musicali di Napoli escludono la presenza di Alessandro Scarlatti al Conservatorio di Sant’Onofrio, negli anni della formazione del Gizzi.

         Con qualche probabilità, Domenico studiò nelle classi di Angelo Durante, Rettore a Sant’Onofrio dal 1690 al 1705 e zio di Francesco.

         Questa versione,  comunque, non esclude la possibilità che egli abbia potuto ricevere le preziose lezioni private da parte di Alessandro Scarlatti, con il quale Domenico avrà anche in futuro numerosi e proficui contatti personali ed artistici di stima ed amicizia reciproca. Anche Nicola Porpora, secondo quanto riferito dal musicologo inglese Charles Burney, avrebbe studiato privatamente con lo Scarlatti, in quegli anni rinomato e ricercato didatta.

         Conclusi gli studi nel Conservatorio, ed acquisiti tutti i pregi che si richiedevano per un ottimo Maestro di Cappella, Gizzi mise immediatamente a frutto la sua eccellente preparazione musicale, scrivendo alcune composizioni di Chiesa e di camera, giudicate dal Grossi "assai degne di lode" (8). Nei suoi esordi come compositore, egli conseguì brillanti risultati, che gli procurarono riconoscimenti e titoli d’onore nella Città partenopea, incoraggiamenti preziosi a proseguire nella carriera artistica, intrapresa con grande zelo ed entusiasmo.

         In ogni caso, a segnare l’ingresso di Domenico nel mondo musicale napoletano furono, in particolar modo, le sue eccezionali capacità vocali.  

Napoli nel XVIII° Secolo

         La fama del nostro giovane sopranista si era ben presto diffusa nei migliori ambienti della Città partenopea, e costituiva una delle maggiori attrattive nelle feste e cerimonie religiose ed un prezioso ornamento dei ricevimenti nobiliari.

Fu logica conseguenza, quindi, il suo ingresso nella prestigiosa Real Cappella di Napoli, in cui Domenico Gizzi fu assunto il 30 giugno 1706, in qualità di "Musico soprano" soprannumerario (9).

         La compagine palatina costituiva la maggiore istituzione musicale presente nel Regno di Napoli e i virtuosi facenti parte del suo organico eseguivano nella Cappella del Palazzo Reale e nelle chiese della città, le composizioni sacre dei più rinomati musicisti dell’epoca, quando il rito solenne delle grandi festività richiedeva lo sfavillante stile concertante, sostituito, nei tempi dell’Avvento e della Quaresima, dal severo stile a cappella.

 

Nel corso dell’anno ecclesiastico, le celebrazioni liturgiche nella Real Cappella di Palazzo, dette "Cappelle Reali", si svolgevano secondo un cerimoniale che prescriveva l’intervento vocale e strumentale dei Musici di Corte, i quali, durante le funzioni, prendevano posto nel particolare settore ad essi riservato, il cosiddetto "Coro della Musica".

Alle "Cappelle Reali" intervenivano la Famiglia del Viceré, i ministri, gli ambasciatori, la nobiltà, l’alto clero, le persone che ricevevano l’ambito onore di poter assistere alle funzioni ed in alcune occasioni gli "eletti della Città", cioè i rappresentanti del governo amministrativo cittadino.

  Le seducenti acrobazie vocali dei virtuosi di corte potevano brillare nelle maggiori celebrazioni liturgiche nella Real Cappella, secondo la cadenza delle principali festività cattoliche:

Santa Messa Solenne ogni domenica (in Quaresima anche il Venerdì). Primi Vespri il sabato.

Festività di Natale: Sante Messe della Notte, dell’Aurora e del Giorno.

Settimana Santa:

Mercoledì Santo: ore 17    Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni).

Giovedì Santo:    ore 9,30 Messa in Coena Domini

                           ore 17    Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni).

Venerdì Santo:    ore 9      Canto del Passio, adorazione della Santa Croce

                                         Canto degli Improperi.

                           ore 18    Ufficio delle Tenebre (Responsori e Lamentazioni).

                                         Canto del Miserere e dello Stabat Mater.

                                         Alla sera, solenne Processione dalla Chiesa di San Maria della Solitaria al Palazzo  Reale.

Sabato Santo:      ore 10    Solenne Veglia Pasquale.

 

15 agosto:         Messa Solenne per l’Assunzione al Cielo della Beatissima Vergine Maria.

                          Celebrazione Solenne delle Feste di N.S. Gesù Cristo, della Vergine Maria e degli Apostoli (10).

  Incisione Funerale XVII secoloLa predilezione per la musica da chiesa era confermata dal favore con cui era accolta, negli ambienti di Corte,  la Messa di Gloria, cioè le due prime parti dell’Ordo Missae, il Kyrie e il Gloria in excélsis Deo, affidati ai soli, coro ed orchestra. All’interno di questi brani alcune sezioni erano indicate per soli e duetti,  e nel Credo, spesso, vi era l’assolo di soprano in due momenti di grande fervore emotivo: "Et incarnatus est" e "Crucifixus" (11).

A conclusione delle "Cappelle Reali", una "Salva reale" di alcuni colpi di cannone sparati sui bastioni delle “Regie Fortezze”, annunciava a tutta la Città di Napoli la fine del rito religioso.

        Gli avvenimenti significativi che esaltavano le felici sorti della Casa Reale di Spagna e successivamente d’Austria e dei suoi rappresentanti a Napoli, cioè nascite, battesimi, matrimoni, compleanni, onomastici e vittorie militari, venivano celebrati nella Real Cappella di Palazzo con il canto di un Te Deum, a cui seguiva la Messa Solenne.

Uguale pompa era dispiegata nelle occasioni funebri di illustri personaggi, in cui erano previsti fino a nove giorni di lutto, con il canto del Requiem e del De Profundis, soffuso di mestizia, affidato alla maestria dei Musici della Real Cappella.

La celebrazione liturgica del Vespro Domenicale nelle maggiori festività, sia nella Cappella di Palazzo che nelle principali chiese napoletane, costituiva un momento di grande solennità religiosa e di partecipazione di numerose istituzioni cittadine, arricchito nel cerimoniale e negli apparati da luminarie, sontuosi addobbi e palchi ed impreziosito dalla partecipazione prestigiosa e costante dei musici di Corte, sotto la guida del Maestro della Real Cappella.

         Nell’ambito squisitamente musicale, la liturgia del Vespro prevedeva numerosi assoli di soprano, duetti fra soprano e alto, nonché varie combinazioni di voci, nella sezioni dei salmi e degli inni, come il Magnificat, Dixit Dominus, Ave Maris Stella e Pange lingua gloriosi.

         Numerose testimonianze sull’assidua presenza dei Musici di Corte alle celebrazioni dei Vespri solenni (soprattutto nelle festività natalizie e pasquali), sono conservate nei documenti della Segreteria del Viceré di quegli anni. Fra queste è significativo un breve dispaccio dell’8 aprile del 1715, con il quale si intimava al Maestro della Real Cappella, Alessandro Scarlatti e a tutti i Musici di partecipare alle celebrazioni del Venerdì di quella settimana, nella Chiesa di Santa Maria della Solitaria, al mattino alla Santa Messa e verso sera "a las Visperas de dicho dia Viernes con el Maestro de Vozes e Instrumentos que se deve a la comemoracion de aquel dia" (12).

           Nell’ottica di grandiosità dell’ufficio religioso, la presenza dei Musici della Real Cappella nel tessuto delle celebrazioni cittadine mirava a conferire il massimo splendore e solennità alla liturgia, rendendo l’occasione festiva un riflesso della munificenza istituzionale e dell’altissima significazione socio-politica di quegli stessi eventi. Il singolare rapporto della Corte Vicereale con la Città di Napoli costituiva una splendida conferma delle finalità artistico-politiche coltivate con la dimensione spettacolare del primo settecento, intimamente legata, per mezzo dell’aureo mezzo della musica, al mondo cortigiano ed aristocratico.

          La Cappella ed il Teatro di Corte, osserva Francesco Degrada "erano interne alla Corte stessa ed esplicavano pertanto una funzione per così dire cerimoniale e simbolica. Inoltre la Cappella, dal momento che forniva la propria opera anche presso le maggiori chiese napoletane nelle feste più solenni ed importanti del calendario religioso, sanciva l’indissolubile presenza –all’interno stesso dell’atto liturgico- del potere temporale: poneva sul rito e sulla Chiesa il sigillo della Corte" (13).

          A tal riguardo, quindi, numerose cerimonie liturgiche nelle principali chiese della Città potevano contare sull’intervento ufficiale dell’organico vocale e strumentale dei virtuosi della Real Cappella. Fra queste numerose "Cappelle Reali" celebrate alla presenza del Viceré, ne ricordiamo alcune:

3 dicembre, Festa di San Francesco Saverio, della Compagnia di Gesù, nella sua Chiesa avanti il Palazzo Reale;

8 dicembre, Festa dell’Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria, nella Chiesa di Santa Maria la      Nova;

16 dicembre, Festa del Patrocinio del Glorioso San Gennaro, nella Cappella Reale del Tesoro;

1 gennaio, Festa del Santissimo Nome di Gesù, nella Chiesa del Gesù Nuovo;

20 gennaio, Festa di San Sebastiano, nella sua Chiesa delle Monache;

7 marzo, Festa di San Tommaso d’Aquino, nella Chiesa di San Domenico Maggiore;

19 marzo, Festa di San Giuseppe, nella Chiesa delle Monache a Ponte Corvo;

25 marzo, Festa dell’Annunciazione, nella sua Chiesa;

2 aprile nella Chiesa di San Luigi di Palazzo, per la Festa di San Francesco di Paola;

Domenica delle Palme, nella Chiesa di Monteoliveto;

16 maggio, Festa di San Giovanni Nepomuceno, Canonico di Praga, nella Real Chiesa di San Luigi di Palazzo.

Lunedì di Pentecoste nella Chiesa dello Spirito Santo;

16 luglio, Solennità di Nostra Signora del Monte Carmelo, nella Chiesa del Carmine MaggioSanta Maria Addoloratare;

25 luglio, Festa di San Giacomo Apostolo, nella sua Chiesa detta degli Spagnoli;

4 agosto,  Festa di San Domenico di Guzman, nella sua Chiesa Maggiore;

12 agosto, Festa di Santa Chiara, nella Chiesa a lei dedicata;

3 novembre, speciale "Cappella Reale" per i soldati nella Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli;

22 novembre, Festa di S. Cecilia, nella Chiesa di S. Maria di Montesanto, sede della Congregazione dei Musici.

L’intervento dei Musici di Corte era richiesto anche nelle Festive Memorie dei santi particolarmente cari alla devozione del popolo napoletano, come S. Carlo Borromeo, S. Gaetano da Thiene, il Beato Giovanni Marinoni, S. Andrea Avellino, San Filippo Neri (nella Chiesa dei Padri dell’Oratorio), S. Agostino, S. Maria Egiziaca, S. Anna nella Chiesa de’ Lombardi, la Commemorazione della Beata Vergine Maria Addolorata nella Chiesa di S. Maria d’Ogni Bene dei Padri Serviti, solennizzata "con ricchissimo apparato e scelta musica".

Stessa sontuosa magnificenza accompagnava le celebrazioni delle Confraternite, le Monacazioni di nobili dame e le occasioni particolarissime, come l’approvazione del Culto Immemorabile del Beato Andrea Conti dei Frati Minori, celebrata in S. Maria la Nova il 13 febbraio 1724, con "la Musica a 4 Cori delli primi Virtuosi di questa città, diretta dal celebre Pietro Auletta" e l’Incoronazione dell’immagine della Madonna della Purità, dipinta da Luis Morales e conservata nella Chiesa di San Paolo Maggiore, avvenuta il 7 settembre 1724.

Fra le processioni, un rilievo particolare rivestivano quella del Corpus Domini, con un itinerario che si snodava dalla Cattedrale alla Chiesa di Santa Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli Chiara e quella della Festa dei Quattro Altari, che aveva il suo culmine nel Largo di Palazzo prospiciente il Palazzo Reale, con la processione attorno alla Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli.

Nelle serate della stagione estiva, i Virtuosi della Real Cappella “con nobil Coro di scelte Voci e Musicali Strumenti” allietavano “il passeggio per mare e per terra presso le deliziose rive di Posillipo e l’ameno scoglio di Mergellina”, dove, su una splendida nave decorata con intagli dorati, attorniata dalle feluche della nobiltà, il Viceré, la sua Famiglia e l’Alta Corte si deliziavano all’ascolto di Serenate ed armonici concenti, intervenendo in forma pubblica, alle laute cene e rinfreschi organizzati dalle dame e i cavalieri presso l’incantevole riviera.

  Nella Real Cappella, Domenico Gizzi arricchì sensibilmente la sua personalità artistica a stretto contatto con i massimi esponenti della Scuola Napoletana, primo fra tutti il suo celebrato maestro Alessandro Scarlatti, insieme a Leonardo Leo, (che iniziò la sua attività come organista soprannumerario, poi come organista, Pro-Vice-Maestro e dal gennaio 1744 come Primo Maestro), Francesco Mancini, Leonardo Vinci, Domenico Sarro e, negli ultimi lustri, Giuseppe de Majo.

           L’importanza e l’assoluta preminenza dell’alto ufficio musicale di corte sono state confermate nel recente volume degli studiosi napoletani Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, edito da Ricordi. Il rinvenimento e l’accurato esame di una preziosa documentazione archivistica hanno permesso la formulazione di un giudizio ponderato e calzante:

           "Bramato e agognato è l’appellativo di "Musico della Real Cappella di Napoli"; la presenza nell’organico di Palazzo serve ai cantanti di sesso maschile come titolo meritorio e di riconoscimento, da parte dell’istituzione vicereale, del loro valore artistico. La prestigiosa qualifica legittima il rango superiore di appartenenza al cospetto della comunità artistica e spettacolare... Il contrassegno, anelato e sospirato, accompagna i maggiori cantori del tempo fieri del lustro ottenuto grazie all’accondiscendenza istituzionale; Domenico Gizzi e Bonifacio Pecorone, Gaetano Berenstadt e Gioacchino Corrado, Gaetano Majorano, Nicola Grimaldi, Matteo Sassano si pregiano dell’alta carica: come membri effettivi della Cappella si avvantaggiano sulla scena musicale internazionale. Negli anni Venti la continua richiesta di periodi di licenza, avanzata dai cantanti, testimonia non solo la domanda di mercato ma la qualità dei soggetti arruolati nel Palazzo, sempre più vezzeggiati da un sistema teatrale evoluto e fiorente" (14).

           Agli inizi della sua attività presso la Cappella di Corte, Domenico Gizzi entrò al servizio dell’ultimo Viceré spagnolo, Giovanni Emanuele Fernandez Pacheco, Duca d’Ascalona e Marchese di Villena, che guardava alla musica con ammirato interesse. Noto per la protezione accordata a molti artisti, il Viceré aveva favorito un ambiente culturale di sicuro prestigio, che si imponeva come efficace simbolo di ossequiosa e stretta obbedienza al potere regio della corona spagnola.

         Nel settembre del 1706, Domenico Gizzi cantò in un momento saliente della vita di corte, la Serenata “Li pastori e le ninfe di Partenope”, una delle ultime importanti creazioni musicali ispirate dalla committenza del Viceré Duca di Ascalona, rappresentata nel Palazzo Reale la sera del compleanno della Regina di Spagna Maria Luisa Gabriella di Savoia, moglie di Filippo V di Borbone-Angiò.

         Il componimento era stato posto in musica da Gaetano Veneziano, Maestro della Real Cappella, uno degli autori più rappresentativi del momento, molto stimato a corte per la sua musica sacra e numerosi pregevoli oratori.

E nello scenario dei calorosi ed universali applausi riservati alla rappresentazione, i quattro interpreti, membri autorevoli della Real Cappella, fecero a gara nell’offrire all’eletto pubblico aristocratico la galleria completa degli affetti tipici dei personaggi pastorali, cari al linguaggio raffinato ed elegante del gusto barocco.

A Domenico venne affidato il personaggio di Aminta, nelle cui vesti seppe mostrare il suo grande talento ed uno stile di canto raffinato e prezioso. Nel cuore del componimento, egli affrontò un’Aria di genere elegiaco-patetico Se men t’amassi, ò bella, seguita da un lungo recitativo celebrativo delle gesta del Monarca spagnolo e da un’Aria di bravura Al suon dell’Armi, con le sue simboliche evocazioni di guerra e di battaglie. E nella fase conclusiva della Serenata, un’ultima Aria Bella, se non è appieno, consacrava il successo del giovanissimo interprete.

    Cappella Reale di Napoli. A destra collapartitura in mano Francesco Mancini. Al centro Domenico Sarro

Particolare del quadro del 1732 di Nicola Maria Rossi

Questo primo periodo della vita artistica del Musico, assai movimentato per motivi politici, si concluse con la fine del Viceregno spagnolo e l’inizio del governo austriaco.

Infatti, Sua Altezza Filippo V, Re di Spagna nel 1707, si fronteggiarono a Napoli il partito angioino fedele a Filippo V di Spagna ed il partito austriaco, che propugnava l’assegnazione del Regno di Napoli all’Arciduca Carlo, da parte dell’Imperatore Giuseppe d’Asburgo.

         La contesa ebbe riflessi anche all’interno della prestigiosa istituzione musicale, in quanto il Maestro della Real Cappella, Gaetano Veneziano, simpatizzava per il Viceré spagnolo Duca d’Ascalona, mentre il Primo Organista, Francesco Mancini, era filoaustriaco.

          Il 6 luglio 1707, a seguito della Guerra di Successione spagnola, l’esercito imperiale austriaco giunse ad Aversa, dove il Maestro Mancini ed i Musici della Real Cappella fedeli all’Austria (fra cui con ogni probabilità il Gizzi), cantarono un solenne Te Deum, alla presenza del Maresciallo imperiale Conte di Martinitz. Il giorno successivo, l’esercito austriaco giunse a Napoli, dove il nuovo Viceré Conte di Martinitz, il Generale Conte di Daun e il Generale Vauban furono accolti dal popolo festante.

         Il 31 agosto 1707 venne promulgata la Regia Cedola che decretava l’abolizione di tutti gli impieghi ed uffici conferiti da Filippo V, definito, sprezzantemente, il Duca d’Angiò.

           Le conseguenze del nuovo ordine politico non tardarono a coinvolgere anche l’organismo musicale di corte: gli Avvisi del 3 gennaio 1708 comunicarono la nomina di Francesco Mancini a Maestro della Real Cappella.

         Fra i Musici della Cappella Regia confermati nel loro incarico vi fu anche Domenico Gizzi e ciò avvenne sia per le sue distinte doti canore, che per la sua adesione al partito filoaustriaco del Mancini.

         Al contrario, persero il loro ambito ufficio il Maestro Gaetano Veneziano, suo figlio, il giovane organista Giovanni Veneziano ed il Vice-Maestro della Real Cappella Domenico Sarro (15).  

           Verso la fine del 1708, Alessandro Scarlatti tornò a Napoli, su invito del nuovo Viceré austriaco il Cardinale Vincenzo Grimani, ed assunse nuovamente la carica di Maestro della Cappella Reale, che aveva lasciato, nel 1702, dopo ben 18 anni di servizio.

         Anche nella sua rinnovata veste di primo musicista di corte, lo Scarlatti si impose come personaggio eminente: le sue musiche per le speciali festività di corte, scritte secondo uno stile operistico scintillante, ne fecero un autentico caposcuola di indiscussa autorità.

         Fra i virtuosi della Cappella Reale, il maestro fu lieto di ritrovare il suo antico allievo Domenico Gizzi, con il quale un profondo legame di stima e di considerazione reciproca non  era mai venuto meno.

         Sotto la guida sapiente ed esperta di Alessandro Scarlatti, Domenico non soltanto seppe far fronte con onore agli impegni prestigiosi della Real Cappella, ma inaugurò una intensa attività di cantante, soprattutto nella Città di Roma, dove lo Scarlatti, con la protezione del Principe Francesco Maria Ruspoli e del Cardinale Pietro Ottoboni, mise in scena una importante serie di opere in musica, fra cui il Telemaco, rappresentato nel 1718 al Teatro Capranica, nel quale volle affidare la parte principale del protagonista proprio a Domenico Gizzi.

         Il legame con la famiglia Scarlatti era certamente di profonda confidenza e sincera amicizia, come conferma la presenza di Domenico nella casa della nipote di Alessandro, Giuseppina Maddalena Eleonora, figlia di Anna Maria Scarlatti, sorella del Maestro e dell’impresario teatrale Niccolò Barbapiccola. Nata a Napoli il 19 marzo 1700, educata alla musica da Jommelli e amica della figlia di Giambattista Vico, Luisa, ella aveva sposato, nel 1729, il ricco commerciante Francesco Maria Frezza. Donna di notevole cultura, Giuseppina si stabilì nell’appartamento regalatole dal padre, a S. Anna di Palazzo, in cui inaugurò un importante salotto letterario-musicale, frequentato dal Gizzi, da Gizziello, Don Carlo Borromeo AreseFarinello, Caffarelli, Matteuccio, Nicolino e dal Leo, che divenne un milieu privilegiato del mondo intellettuale e musicale napoletano dell’epoca.

           Con Cedola del Viceré austriaco Conte Don Carlo Borromeo Arese, datata 5 aprile 1713, Domenico Gizzi ottenne l’investitura di componente ordinario dell’organico di Corte e poté fregiarsi a tutti gli effetti del titolo di "Musico Soprano della Real Cappella", in sostituzione del musico Don Francesco Bruno (16). A questa “Piazza”, che costituiva l’acquisizione professionale di uno status giuridico di notevole rilievo, era legato un compenso di otto ducati al mese.

Il Musico Gizzi venne confermato in tale ufficio dal nuovo Viceré il Conte di Daun, con esplicito mandato del 7 gennaio 1714 (17).

        La crescente stima conquistata con l’esatto adempimento dei suoi doveri e le sue buone relazioni assicurarono a Domenico Gizzi l’ascesa nel maggior ufficio riservato ai cantanti accreditati a Corte. Con la nomina a Primo Sopranista della Real Cappella, ottenuta nel 1718, egli si collocò in una posizione di grande onore, ai vertici della istituzione musicale.

Un’idea degli emolumenti percepiti dai musici della prestigiosa compagine palatina ci è fornita dalla Nota pubblicata dal benemerito musicologo napoletano Ulisse Prota Giurleo.

         Indicando lo stipendio mensile di tutti i musici, il prezioso documento, tratto dagli Archivi della Casa Reale, conferma il trattamento economico di tutto rispetto, riservato a Domenico Gizzi. Egli, infatti, aveva un emolumento superiore al compositore Leonardo Leo, organista e a numerosi altri musici. Solo il Maestro Alessandro Scarlatti, il celebre Matteo Sassano, detto Matteuccio e pochi altri musici, ricevevano un compenso mensile superiore al suo:

"NOTA DEI MUSICI DELLA R. CAPPELLA

col soldo corrispondente

del 12 novembre 1722

Primo Maestro       Cav. Alessandro Scarlatti,  Duc. 35

Organista               Leonardo Leo Duc. 8

Soprani                  Domenico Gizzi  Duc. 10

                            Matteo Sassano  Duc. 30.2

                                               .  .  .         " (18).

           Nuove memorie sulle condizioni economiche dei musici di corte sono riportate nell’opera degli studiosi napoletani Cotticelli e Maione, sul periodo vicereale, fondata su una preziosa documentazione inedita: in particolare, la paga attribuita a Domenico Gizzi, negli anni 1713-1714, per il servizio nell’organismo di Corte, era di 8 ducati al mese, che a partire dall’agosto 1718 salirono a dieci ducati (19).

         Ulteriori aumenti del compenso mensile furono concessi dal Re Carlo di Borbone al Musico Gizzi il 26 luglio 1738 e il 16 febbraio 1744, (in entrambi i casi di due ducati). Nell’ultimo periodo della sua presenza nell’organico della Real Cappella di Napoli, è accertata una paga mensile a lui attribuito nella misura di 15 ducati. Pochi mesi dopo la sua morte, il Re ordinò che con il compenso mensile vacante fosse aumentata la retribuzione di 5 ducati a Caffarelli e 10 ducati all’altro musico di corte Giovanni Amadori (20).

           Alla morte di Alessandro Scarlatti, avvenuta a Napoli il 22 ottobre 1725, la direziDomenico Sarroone della Real Cappella venne affidata a Francesco Mancini (Napoli 1672-ivi 1737), confermato nell’incarico anche dal nuovo Re, Carlo III di Borbone, che nell’aprile del 1734 aveva conquistato il Regno di Napoli. In quella occasione, il Maestro Mancini, accompagnato dai Musici della Real Cappella, si recò ad Aversa per felicitarsi e fare atto di omaggio al futuro re. La Cappella Reale, sotto la guida di Mancini, fece conoscere al nuovo sovrano la sua profonda maestria, durante i riti della Settimana Santa e con un Solenne Te Deum, il 15 maggio 1734, nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, in occasione dell’investitura di Re Carlo III.

         Al Mancini, morto a Napoli il 22 settembre 1737, successe il Vicemaestro Domenico Sarro (Trani 1679-Napoli 1744), con lo stesso stipendio  mensile di 35 ducati.

         Domenico Gizzi conosceva bene ed apprezzava da tempo Domenico Sarro, avendo interpretato con successo due ragguardevoli opere del maestro pugliese e due raffinate Serenate, eseguite nel 1718 e nel 1720, nel Palazzo Reale, per l’onomastico della Contessa di Daun, Viceregina e per il compleanno dell’Imperatrice Elisabetta Cristina.

           Negli anni della direzione dello Scarlatti e poi del Mancini e del Sarro, il Gizzi raggiunse una vasta notorietà a Napoli, come interprete raffinato della musica sacra, degli oratori e di serenate, non solo nel Palazzo Reale, ma anche nelle residenze delle maggiori famiglie blasonate del Regno.

         Infatti, il trattenimento accademico e mondano aveva trovato munifici cultori nelle dimore aristocratiche partenopee, aperte periodicamente a dotte e sontuose assemblee, in cui la musica riceveva la migliore rispondenza.

Una preziosa cronaca del 1721 rivela la presenza autorevole di Domenico Gizzi in uno di questi eruditi consessi, e costituisce una testimonianza privilegiata del vigile affinamento stilistico, che fu di sicuro giovamento alla pura virtuosità vocale di questo rinomato artista.  

         Secondo quanto riferito da questa memoria, mercoledì 23 aprile 1721, a Napoli, nella casa del rev. Don Tomaso de’ Mari si tenne "un’accademia di belle lettere", aperta dalla prolusione di Don Casimiro d’Andrea dei baroni di Sassano. Subito dopo, com’era costume in tali occasioni, il principe dell’accademia, Don Francesco Ansaldi, propose "con una orazion poliglotta" il tema della disputa retorica, sulla qualità necessaria al generale d’armate per ben condurre le sue imprese:

         "Detto D. Francesco Ansaldi, oltre il superbissimo apparato, trattenne gli uditori con scelta musica, nella quale cantarono Domenico Gizzio e Francesco Vitale, virtuosi della Real Cappella, sotto la direzione del famoso Domenico Sarro. La nobiltà convitata co’ regi ministri e numerosi letterati non furon sazi d’ammirare il buon gusto e generosità di detto principe dell’accademia" (21).  

Filippo Falciatore, TRATTENIMENTO MUSICALE IN GIARDINO

           Sempre in quegli anni, il Gizzi consolidava i suoi legami con il pubblico dei maggiori teatri italiani, interpretando decine di ruoli prestigiosi sui palcoscenici più rinomati, che gli offrivano l’occasione di misurarsi con i migliori sopranisti del momento e di conseguire i doviziosi compensi offerti dall’opera in musica.

           Dopo il clamoroso successo del primo melodramma del giovane Metastasio, la Didone abbandonata, rappresentata al Teatro di San Bartolomeo, nel 1724, con musica di Domenico Sarro, numerosi compositori si cimentarono con l’ottimo dramma per musica, rivestendolo di note, inaugurando il grande periodo dell’opera eroica metastasiana, che contempla alcune fra le più importanti produzioni musicali del tardo-barocco.

         La compagnia di canto che faceva capo alla Romanina ed allo stesso Metastasio, annoverava Domenico Gizzi fra i principali interpreti di tre importanti “prime” dell'opera, nei prestigiosi teatri di Venezia, Reggio Emilia e Roma.

           A Venezia, l’opera venne messa in scena al Teatro di San Cassiano, con musica di Tomaso Albinoni, nel Carnevale del 1725.  

Didone Abbandonata

         Nello stesso anno Domenico partecipa, sempre nel ruolo di Araspe, alla prima della Didone abbandonata posta in musica da Nicola Antonio Porpora, nel Teatro pubblico di Reggio Emilia, nuovamente al fianco della Romanina, che interpreta la regina Didone e di Nicolino, nel ruolo di Enea.

         L’anno successivo l’opera del Metastasio faceva il suo ingresso trionfale nella Roma pontificia, con musica del maestro Leonardo Vinci. A causa del divieto per le donne, di cantare in teatro, vigente nell’Urbe, il ruolo di Didone, sotto l’accorta direzione della Romanina, venne affidato ad un celebre castrato Giacinto Fontana di Perugia, detto Farfallino, mentre Domenico interpretava, come sempre, il ruolo di Araspe, divenutogli congeniale e nel quale raccolse un memorabile consenso.

           Il Musico Gizzi fu interprete di prima grandezza anche di una forma musicale di argomento religioso, gli Oratori, eseguiti durante la Quaresima e la Settimana Santa, strutturati in due parti, con sinfonia, recitativi Viceré Conte di Harrach ed arie col da capo.

         Sempre al raffinatissimo ingegno del Metastasio si deve il testo poetico di alcuni Oratori di grande suggestione, in cui il tema religioso era accolto nelle forme teatrali, unendo sapientemente un sentimento spirituale, solenne e sincero, alle nobili aspirazioni umane e agli affetti morali, palesati, con intense meditazioni interiori, dai solisti e dal coro.

         Nella Settimana Santa del 1732, per ordine del Viceré Conte di Harrach, venne rappresentata una delle gemme più fulgide della produzione religiosa di Leonardo Leo, l’Oratorio Sant’Elena al Calvario, per il servizio della Cappella Reale di Palazzo, nell’occasione decorata con i simboli della Passione del Signore (la Santa Croce, i chiodi, la Corona di spine, i flagelli, ecc.) e tappezzata di ricchi velluti e damaschi.

I due ruoli principali di San Macario, Vescovo di Gerusalemme e Sant’Elena Imperatrice, furono affidati, rispettivamente, a Domenico Gizzi e al suo migliore allievo, Gioacchino Conti, ai suoi esordi come interprete di composizioni sacre.  

         Nel frontespizio del manoscritto della partitura, conservato nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a Napoli, è riportata la dicitura: Portale del Conservatorio San Pietro a Majella

  "Oratorio à cinque Voci con VV, Violetta, Oboe e Corni da Caccia

Da Cantarsi nel Real Palazzo di Napoli nel Anno 1732

Musica del Sig.r Leonardo Leo. Poesia del Sig.r Pietro Matastasio.

Interlocutori

                                         S. Elena             Il Sig.r  Gioacchino Conti

                                        S. Macario         Il Sig.r  Domenico Gizzi

                                       Eudossa             Il Sig.r  D. Domenico Floro

                                       Eustasio            Il Sig.r  Francesco Tolve

                                       Dracliano         Il Sig.r  Gio: Batt.a Palombo" (22).

        

   Un esame dell’Oratorio, è stato compiuto dal musicologo Giuseppe A. Pastore, massimo biografo del Leo, che a proposito degli interpreti della prima esecuzione napoletana, così conclude:

         "Questo Oratorio era stato scritto per una compagnia di cantanti famosi e di grande bravura tecnica" (23).

Sempre su questa importante composizione del Leo, la Dott.ssa Carla Cantatore di Nardò (Le), ha discusso la tesi di Laurea dal titolo “L’oratorio Sant’Elena al Calvario di Leonardo Leo”, presso l’Università degli Studi di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia Musicale, nell’Anno Accademico 1993-94.

           L’azione si svolge a Gerusalemme, dove l’Imperatrice Sant’Elena, accolta dal Vescovo Macario, si è recata per rinvenire il Santo Sepolcro ed il legno della vera Croce di Gesù.

         A Domenico Gizzi furono affidati alcuni recitativi di chiara intensità e tre arie di rara perfezione formale, degne di particolare menzione. In questi brani, che costituiscono alcune fra le pagine più belle del testo letterario (ammirate anche da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori) il personaggio del santo vescovo Macario, esprime molto efficacemente, con versi purissimi, dal possente significato poetico e spirituale, i sentimenti di profonda venerazione per il Santo Sepolcro e la vera Croce di Gesù, particolarmente confacenti al periodo della Settimana Santa, a cui l’esecuzione dell’Oratorio era destinata.

         Nel recitativo che precede l’aria di San Macario all’inizio della seconda parte dell’opera, il Metastasio mutua da Sant’Agostino un’aurea e suggestiva similitudine fra il grembo della Vergine Maria e il Santo Sepolcro, custodi entrambi del Verbo di Dio fattosi Carne e partecipi, seppur in diversa guisa, dell’umana Redenzione:

           "O marmo glorioso, emulo al seno

            Della madre di Dio! Chiudeste in voi

            Dell’umana salute entrambi il prezzo,

            Immaculati entrambi: e la grand’opra

            Della pietà infinita

            Fu cominciata in quello, in te compita.

                         In te s’ascose

                            L’Autor del tutto,

                            Come nel seno

                            Che il partorì.

                          Ma di quel fiore

                            Tu rendi il frutto;

                            Ma di quell’alba

                            Tu mostri il dì " (24).

Caino uccide Abele  

         Un altro notevole Oratorio di Leonardo Leo, La Morte di Abele,  sempre su testo del Metastasio, venne eseguito nel Palazzo Reale di Napoli, per ordine del Viceré Conte Luigi Tommaso Raimondo d’Harrach, nello stesso anno o nel seguente 1733. Sulla partitura conservata nella Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella non sono riportati i nomi degli interpreti, ma l’autore, l’anno ed il luogo della prima rappresentazione fanno ritenere probabile che alcuni fra gli esecutori siano stati gli stessi dell’altra Azione Sacra del Leo.

Secondo l’autorevole opinione del musicista napoletano Giuseppe Sigismondo (1730-1826),  riferita nel suo Manoscritto "Apoteosi della musica del Regno di Napoli", alla pag. 15 dell’Elogio di Leonardo Leo, queste due importanti composizioni religiose, commissionate al maestro dalla cattolicissima corte vicereale di Napoli, furono accolte con grande favore:

"Nel 1732 [ Leo] scrisse l’oratorio di Metastasio La Morte di Abele, e nell’anno seguente Sant’Elena al Calvario del medesimo, cantati nel Real Palazzo per ordine di Sua Eccellenza il viceré conte d’Arrach, che ebbero uno straordinario applauso" (25).  

Vista della Cupola  della Real Cappella del Tesoro di San Gennaro a Napoli

           L’assiduità del Gizzi ai suoi compiti di Primo Sopranista della Real Cappella è confermata dai fogli di presenza dei musici reali, redatti mensilmente, e firmati dal Maestro di Cappella, che segnalano la presenza del musicista nel periodo che va dal 1737 al 1758, anno della morte (26).

         A margine del mese di maggio del 1737, il foglio annota, scrupolosamente, che Domenico Gizzi, fuori di Napoli per due mesi dal 20 di maggio, è rientrato, in conformità al permesso ricevuto, il 19 luglio dello stesso anno.

         Nel 1741, l’annotazione accanto al nome del musicista nel foglio di giugno, precisa che Domenico era rientrato a Napoli il 29 dello stesso mese, al termine di un periodo di congedo, trascorso presso i suoi familiari a Ceccano.

         In particolare, le attestazioni dell'anno 1758, firmate da Giuseppe di Majo, Primo Maestro della Real Cappella, assicurano che Domenico fu presente nella prestigiosa istituzione reale fino a poche settimane prima della morte.

           I motivi della prolungata assenza di Domenico Gizzi dal servizio nella Real Re Carlo III di Borbone, Re di Napoli Cappella nel 1737 sono ormai noti. Il musico aveva sollecitato il permesso "di portarsi in Roma per urgentissima causa di suoi interessi e poi in Arpino di Sora sua Patria nativa per ivi curarsi da sue corporali indisposizioni". Nello stesso tempo chiedeva "licenza fino alla metà del futuro luglio", con la contestuale supplica di conservargli il pagamento del suo compenso mensile. Infine, richiedeva il passaporto, per sé e per suo nipote Don Francesco Lancia, unitamente a quello per Paolo Castellano "suo creato" (27). Nella missiva diretta al Marchese D’Arienzo, la Casa Reale comunicava che il Re Carlo III di Borbone, aveva concesso al Gizzi la licenza per il termine di due mesi a partire dal 20 maggio 1737 (28).

           Agli inizi del Novecento, il musicologo Guido Pannain rintracciò nell’Archivio di Stato di Napoli, alcune memorie relative ai concorsi per l’assunzione dei musici nella Regia Cappella, insieme a relazioni sugli esami già compiuti (29).

         La documentazione, particolarmente preziosa, fornisce sicure notizie sugli ultimi anni di vita di Domenico Gizzi.

         La prima nota rinvenuta dal Pannain "Maniera di mettersi a concorso la Piazza di primo maestro della Real Cappella al Real Palazzo", fa conoscere i membri della Commissione esaminatrice, presieduta dal Marchese d’Arienzo e dall’Arcivescovo di Tessalonica, Cappellano Maggiore e la sede di riunione nell’appartamento del Marchese d’Arienzo, nel Palazzo Reale, precisando, minuziosamente, tutta la procedura del concorso, dalle affissioni dell’avviso, allo svolgimento e all’esame dei lavori presentati.

         Il 20 dicembre 1752, dopo la morte di Francesco Giampriamo (fagotto) e di Alessandro Lizio (violoncello) le “piazze di questi strumenti” vennero messe a concorso.

         La commissione esaminatrice era composta da don Francesco Sopriano, don Domenico Gizzi, don Giuseppe Avitrano, don Domenico Merola, don Domenico de Mattheis, don Giacomo Vitozzi, don Giuseppe de Majo, il Cappellano maggiore e il Marchese d’Arienzo, Don Lelio Carafa, capitano delle guardie del corpo di Sua Maestà.

         I concorrenti per la piazza di violoncello, furono due: Giuseppe Romanelli e Giuseppe Valerio. L’esame consisteva nella esecuzione di un pezzo per viola da gamba sola e nella composizione di un brano con viola e due oboi e di un brano su un basso composto dal musicista napoletano don Giuseppe de Bottis.

         Chiamato ad esprimere il suo giudizio ed il suo voto, dopo aver ascoltato i due concorrenti, Domenico Gizzi, dichiarò che "amendue i concorrenti si sono portati bene, ma egli antepone Giuseppe Valerio" (30). La maggioranza dei commissari, invece, si espresse in favore del Romanelli, a cui venne assegnato il posto.

         Per la piazza di fagotto i concorrenti furono Cherubino Coreno e Girolamo di Donato. Dopo l’esame, la Commissione assegnò la piazza di fagotto al di Donato, lo stesso giorno 20 dicembre 1752. Nuovi concorsi si svolsero nel 1753 e nel 1754, rispettivamente, per il posto di liuto, di corno e di tromba.

         Un concorso di maggiore importanza si svolse il 15 novembre 1756, per la piazza di voce di basso. Nella commissione esaminatrice figurava anche il famoso sopranista Caffarelli, che, in questa occasione, non smentì il suo proverbiale sussiego.  

Gaetano Majorano, alias il Grande Cafffarelli

         Il 26 aprile 1758 si tenne il pubblico concorso per le piazze di  “musico soprano”, resasi vacante per il ritiro del musico Giovanni Manzoli, di musico tenore, per la morte di Alessandro Inguscio, e di violino, per la morte di Domenico de Mattheis.

         Il posto di violino venne assegnato ad Antonio Moresco, a cui anche il Gizzi aveva conferito il suo voto. La commissione esaminatrice, concluse i lavori il 10 giugno 1758, assegnando all’unanimità, le piazze di soprano a Salvatore Conforti e di tenore a Litterio Ferrari.

         Il compenso mensile per le tre piazze era rispettivamente di quattro ducati al mese, da accrescersi fino a dodici per il sopranista, di ducati quattro fino a otto per il tenore  e di carlini ventisei al mese, da accrescersi fino a ducati sei per il violinista.

           Come confermano questi importanti documenti, Domenico Gizzi continuò a dedicare le sue amorevoli cure alle vicende musicali della Real Cappella, fino a pochi mesi prima della morte.

         Anche nel sereno tramonto della sua vita operosa, consacrata intieramente all’arte dei suoni ed al virtuosismo vocale, egli si mostrò una personalità di primissimo piano ed un musicista eminente, dedito con entusiasmo a quell’autentica missione che aveva così mirabilmente illuminato il suo cammino umano.

         Ammalatosi gravemente, Domenico volle redigere in Napoli  il suo testamento, per gli atti del notaio Salvatore Palumbo, con cui istituì una primogenitura in favore del fratello Pietrangelo e dei suoi figli, lasciando nel contempo "un tenue legato a favore dei figli dell’altro fratello predefunto Giuseppe" (31) di ducati duecento e suoi frutti e un legato di Sante Messe, da celebrare in suffragio della sua anima (32).  

         Alla morte di Domenico Gizzi, avvenuta in Napoli il 14 ottobre 1758, il cordoglio unanime fu espresso, con innumerevoli attestati di sincera partecipazione, dai membri della Casa Reale, dalle grandi famiglie della nobiltà partenopea e da tutti coloro che avevano apprezzato i suoi pregi musicali ed umani.

I contemporanei ben compresero che con lui si spegneva un testimone ed un protagonista privilegiato di una stagione artistica e di costume, certamente irripetibile, che aveva fatto di Napoli la capitale indiscussa della civiltà musicale europea ed in particolare del teatro d’opera.

         Apprezzato e ben voluto da tutti per le sue qualità di buon cuore e di fine signorilità, egli riceveva così l’ultimo omaggio di molti suoi colleghi, di cui era stato consigliere ed amico sincero, e dei suoi numerosi allievi, per i quali aveva sempre avuto gesti di protezione e di benevolenza quasi paterna, seguendo la loro attività artistica, sempre pronto ad intervenire premurosamente in loro favore, in un mondo contrassegnato, invece, da accesissime invidie e rivalità.

         Maestro di profonda cultura musicale, uomo di rara discrezione e di vera onestà, amabile e riservato nella vita privata, pur conducendo una vita ricca di soddisfazioni e di successi, si era sempre tenuto lontano dagli intrighi di palazzo e dagli eccessi che caratterizzarono la vita artistica di molti sopranisti dell’epoca.

           Un testimone sincero e meditato delle squisite ed amabili qualità d’animo di Domenico, fu il contemporaneo sacerdote Bonifacio Petrone, detto l’Abate Pecorone, autore di un piccolo volume di memorie.

         Costui conosceva molto bene il Musico Gizzi, anche perché, nel 1727, era stato ammesso come basso nella Cappella del Tesoro di San Gennaro, dove risultava in carica ancora nel 1734.

         Bonifaccio Petrone, detto PecoroneNelle memorie, l’Abate racconta un episodio della sua carriera artistica: insieme ad altri virtuosi (il soprano Domenico Gizzi, il contralto Don Domenico Floro, il celebre Matteo Sassano, detto Matteuccio ed il Maestro di Cappella Giuseppe de Bottis), stava "cantando a più Cori di Musica" nella Chiesa di San Luigi di Palazzo, nella Festa di San Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine dei Padri Minimi, organizzata dal Principe Sanseverino di Bisignano. In quella occasione egli ricevette dal Gizzi e dagli altri amici un prezioso consiglio, che fu determinante per la sua futura ammissione nella Real Cappella di Napoli.

         L’elogio lusinghiero per Domenico Gizzi, chiaro e senza giri di parole, è molto pregnante, poiché proviene da un collega che aveva imparato a conoscere da vicino la forte personalità di questa figura emblematica del mondo musicale napoletano, avvertendone tutta la ricchezza intellettuale e umana:

         "il sig. Domenico Gizzio, uom per lo canto in voce soprana, e per le doti del suo animo molto commendevole", (33) insieme agli altri virtuosi  gli suggerì di rivolgersi ad Alessandro Scarlatti ed alla Vice Regina, per ottenere l’ambito incarico di Basso nella Real Cappella, conferitogli il 20 Marzo 1717.  

            Il celebre teorico musicale Giovanni Battista Mancini (Ascoli Piceno 1716 – Vienna 1800)  nella sua opera “Riflessioni pratiche sul canto figurato”, riconobbe in Domenico Gizzi un egregio maestro della musica vocale, apprezzato nel XVIII secolo sia come virtuoso che come professore di canto:

"Domenico Egizio esercitò con perfezione l’arte del canto, e fu anche precettor valente" (34). teatro regio di Torino

           Un omaggio di tutto riguardo al musicista, che compendia efficacemente tutta la sua vita, è costituito dal giudizio finale sull’arte di Domenico Gizzi, scritto dal primo biografo, Giovanni Battista Gennaro Grossi, a cui non fa velo la retorica celebrativa che pur pervade questo ritratto:

         "Avea Gizzi appresa la musica filosofica dal più grande Maestro. Si era perfezionato sullo studio della natura. Quindi le sue composizioni parlavano al cuore, ed erano piene di vivacità, di estro e di naturalezza. Aveva anche una bella voce di Tenore, ed una eccellente comunicazione, per cui i suoi allievi nel canto riuscirono sempre bravissimi" (35).

         Il Grossi assicurava di aver ricevuto le preziose notizie su Domenico Gizzi e Gizziello, riportate nella biografia, da Giuseppe Sigismondi, Archivista del Reale Conservatorio di Musica, uno degli epigoni della Scuola Musicale napoletana, già bibliotecario del Conservatorio di Santa Maria della Pietà dei Turchini, nel quale aveva formato la biblioteca musicale.

         Il giudizio del Grossi venne ripreso quasi alla lettera dal Marchese di Villarosa, nella sua importante opera sui Compositori di Musica del Regno di Napoli e dal musicologo François Joseph Fétis, che, nella Biographie universelle des Musiciens, al Tome Quatrième, rielaborò i dati della biografia del Grossi. Anche il Florimo nella sua classica opera, La Scuola Musicale di Napoli, pubblicò nuovamente le notizie biografiche del Gizzi, rifacendosi quasi alla lettera a quanto attestato dal Grossi.

         La fama di Domenico Gizzi restò salda anche nel corso del XIX secolo, come conferma la citazione del nome del musico contenuta nella monumentale opera Storia degli Italiani, scritta da Cesare Cantù. Questo grande storico, nel ricordare gli allievi che uscirono dalla scuola partenopea di Alessandro Scarlatti, pose accanto a Domenico, figlio del maestro, "il Gizzi lodato per dolcezza" (36).

           Anche nel manoscritto "Famiglia Gizzi Appunti Cronologici", redatto a Ceccano dall’Avv. Camillo dei Conti Gizzi nella seconda metà del XIX secolo, è contenuta la memoria di questa illustre personalità musicale, a vanto ed onore della Famiglia:

         "1730  Domenico canta nei teatri di Napoli, ed è reputato uno dei migliori cantanti di quell’epoca (Vedi Cantù Storia degli Italiani)" (37).

           Nel XX secolo, dopo le preziose note di Guido Pannain, si segnala  l’articolo scritto da Andrea Della Corte, uno dei massimi musicologi italiani, per la MGG, che coscienziosamente, non si limita a ripetere le poche notizie note, ma sulla base di fonti antiche e moderne, traccia un profilo del musicista più completo, in cui, per la prima volta, hanno un sicuro rilievo le grandi interpretazioni del Gizzi nelle opere del Porpora e del Leo, con un’ampia bibliografia. E’ Andrea Della Corte a precisare correttamente l’anno di morte nel 1758 e non più nel 1745 (38).

         Tutte le enciclopedie musicali, alla voce corrispondente, citano, anche se con le consuete informazioni e con le date di nascita e di morte inesatte, la figura e l’opera del musicista.

         Un profilo ampio e ben informato è quello apparso sul New Grove’s Dictionary, che si deve ad un illustre studioso della Scuola musicale napoletana, Michael F. Robinson (39).

         Negli ultimi anni, la figura del Gizzi è riemersa dall’oblio grazie alle due monografie di grande successo, scritte da Patrick Barbier, "Gli evirati cantori" e "Farinelli", entrambe tradotte in Italia da Rizzoli, in cui l’esteso e documentato quadro della stagione musicale tardo-barocca, si arricchisce di preziose notizie, dati e aneddoti di sicura suggestione sui principali esponenti della scuola vocale italiana del Settecento.

         Recentemente, due studiosi napoletani, Francesco Cotticelli e Paologiovanni Maione, hanno curato una specifica pubblicazione di documenti della Real Cappella di Napoli, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993.

         Il testo, che si segnala per la ricchezza di dati inediti, cita numerose volte Domenico Gizzi, indicato come "uno dei più lodati soprani della Cappella" (40), offrendo alcune rilevanti informazioni sulla sua carriera artistica.

         Nuovi particolari sono contenuti nell’ultima opera dei due autori, Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi 1996.

Nel 1997, il Prof. Saverio Franchi ha pubblicato un’opera di grande respiro Drammaturgia Romana, II (1701-1750), che esamina con dovizia di particolari tutti i drammi per musica rappresentati a Roma nella prima metà del XVIII secolo. Il Prof. Franchi segnala ampiamente il ruolo di rilievo assunto da Domenico Gizzi sui palcoscenici romani e formula l’ipotesi che il cantante possa aver mutato il registro vocale da soprano a quello di contralto verso il 1722 (41).

         Nel Dizionario Biografico degli Italiani, edito dall’Istituto della Enciclopedia Italiana, fondata da Giovanni Treccani, Tomo 57, Roma 2001, è apparso un notevole profilo del musicista redatto da Ennio Speranza, contenente ampie informazioni sulla sua vita artistica. Per tale voce, l’autore della presente memoria ha fornito il testo dell’atto di battesimo del musico, insieme ad alcune informazioni inedite o poco note, raccolte negli ultimi anni.

 

 

1) Le prime notizie documentate sulla Famiglia Gizzi di Ferentino risalgono alla prima metà del XIII secolo e nelle fonti più antiche il cognome è citato nella dizione latina Egiptius, Egiptii, Giptius, testimonianza, secondo alcuni storici, di una origine egiziana. Molti suoi esponenti si distinsero nelle armi, come feudatari, nelle cariche civili e religiose, ricoprendo un ruolo di prestigio nella Corte Pontificia. Alcuni nobili cavalieri della Famiglia Gizzi parteciparono alle Crociate in Terrasanta, ottenendo in premio del loro valore la signoria delle due isole greche di Tino e Micone ed il titolo di conti. Le preziose notizie sul matrimonio di Igino Gizzi e Agata di Iorio  e sulla ricca dote sono tratte dal manoscritto Famiglia Gizzi Appunti Cronologici, di cui fu autore, alla metà del XIX secolo, il Cav. Avv. Camillo dei Conti Gizzi, foglio I, recto.

Don Giovanni Gizzi, figlio primogenito di Domenico Gizzi di Ferentino e di Cassandra Pelagalli (originaria di Arpino), nacque a Ceccano nel 1632. Nella cittadina natale fu, in successione, Abate della Chiesa di Sant’Angelo, Abate della Chiesa di San Nicola, Abate della Chiesa Collegiata di Santa Maria a Fiume, Vicario Foraneo nominato dal Vescovo di Ferentino Mons. Giovanni Carlo Antonelli e Beneficiato della Chiesa arcipretale di San Giovanni Battista. Il fratello Igino Gizzi nato a Ceccano il 10 gennaio 1637, venne battezzato il giorno successivo nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista e morì a Ceccano il 1 maggio 1707.

 

2) Liber Baptizatorum, (anni 1676-1698), Archivio della Insigne Collegiata Abbaziale di San Michele Arcangelo di Arpino.

 

3) Ibidem.

 

4) Ibidem.

 

5) Giuseppe sposò a Ceccano in seconde nozze, Petronilla Paterni, da cui ebbe Domenico Nicola, Soprintendente Generale dello Stato di Ceccano per i Principi Colonna. Da Domenico Nicola e Cecilia Ciavaglia nacquero Tommaso Pasquale, Nunzio Apostolico, Cardinale e Segretario di Stato di Papa Pio IX, Francesco e Giovanni Battista, che diedero origine alla Casata dei Nobili di Osimo, di Anagni e di Ferentino, ancor oggi fiorente.

Da Pietrangelo, Officiale della Comunità di Ceccano e membro del Consiglio dei Quaranta e poi dei Trenta e dalla sua sposa Elisabetta Aceti, di Piedimonte San Germano, discendente di una antica Famiglia di origine Normanna, discende l’altro ramo della Famiglia, fra cui l’autore della memoria biografica. Pietrangelo fu una figura di rilievo nella vita del suo tempo. Nella seduta del 4 giugno 1747 del Consiglio della Comunità, insieme ai suoi colleghi, egli deliberò l’arrivo in Ceccano di San Paolo della Croce, per la fondazione del Ritiro dei Padri Passionisti nella Badia di Santa Maria del Corniano.

 

6) Sul fenomeno della castrazione e sulle vicende dei conservatori napoletani, in relazione alla formazione dei sopranisti nel periodo barocco, si vedano i due volumi di Patrick Barbier, Gli Evirati Cantori, Rizzoli, Milano 1991 e Voce Sola, Vita e musica di Carlo Broschi, detto Farinelli, Rizzoli, Milano 1995.

 

7) Nel volume di SALVATORE DI GIACOMO, Il conservatorio di Sant’Onofrio a Capuana e quello di Santa Maria della Pietà dei Turchini, Sandron, Napoli 1924, non è citato il nome di Domenico fra gli allievi del Sant’Onofrio. Un esame sommario dei Libri Maggiori della stessa istituzione, custoditi nell’Archivio del Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, non ha dato miglior esito.

 

8) GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, Domenico Gizzi e Gizzielli suo allievo, in Biografia degli Uomini Illustri del Reame di Napoli, Gervasi, Napoli 1819, pag. 2. Nel documentato e ricco volume The Castrati in Opera, Secker and Warburg, London 1956, pag. 174, l’autore ANGUS HERIOT, pone Domenico Gizzi fra gli allievi del grande castrato Francesco Antonio Pistocchi (Palermo 1659-Bologna 1726), il quale aveva aperto, nel 1706, una fiorentissima scuola di canto a Bologna. Questa ipotesi non ha avuto alcun altro riscontro e risulta molto improbabile che Gizzi si sia recato a Bologna per  conseguire la perfezione nell’arte del canto. Forse, la notizia è nata da una errata valutazione dei dati esposti dal Fétis nella sua voce sul Pistocchi.

 

9) ULISSE PROTA-GIURLEO, Breve storia del teatro di corte e della musica a Napoli nei secoli XVII-XVIII, Napoli 1952, pag. 81 e Archivio Privato di Ulisse Prota-Giurleo, carte copiate dal musicologo napoletano da fondi oggi perduti: Segreteria del Viceré, Liber Mandatorum, Vol. 319 (1706), pag. 163. Domenico Gizzi sostituiva nella sua assenza il soprano Don Francesco Massulli.

 

10) Per l’elenco delle festività religiose di Corte in cui era previsto l’intervento dei Musici della Real Cappella di Napoli, si veda RALF KRAUSE, Das Musicalische panorama am neapolitanischen hofe: zur Real Cappella di Palazzo im fruehen 18. jahrhundert, in Analecta Musicologica, 1998, I, pagg. 291-293 e FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993, pag. 141.

 

11) Tutti i grandi compositori napoletani operanti a Corte contribuirono ad arricchire il repertorio musicale della Real Cappella. Ad esempio, fra le composizioni di Leonardo Leo compaiono numerosi brani scritti per la Cappella di Palazzo, nel periodo in cui il musicista fu Primo Maestro della compagine palatina: Introito per il Giorno delle Ceneri, da cantarsi nella Real Cappella, febbraio 1744; Miserere a quattro voci col violino, per servizio della Real Cappella, febbraio 1744; Te Deum laudamus, con Violini, Oboe e Trombe di ripieno per servizio della Real Cappella, 8bre 1744. Notevole rilievo conserva anche la Messa a cinque voci composta dal Leo nel giugno 1733 "per devozione e per voto al glorioso San Vincenzo Ferreri, in una malattia dalla quale fu liberato per intercessione del Santo medesimo", insieme alla Messa a cinque voci, composta nel 1744 per la Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli e cantata dai Musici della Real Cappella. Il fascino della musica sacra napoletana era mirabilmente evocato dallo Stabat Mater scritto da Giovanni Battista Pergolesi, poco prima di morire a soli 26 anni, sul testo della sequenza medievale di Jacopone da Todi. La triste circostanza della immatura scomparsa del musicista e la sublime bellezza della composizione, conferivano a questo Stabat  la magistrale suggestione di una sacra rappresentazione dei dolori della Madre di Dio ai piedi della Croce di Gesù.

 

12) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Op. cit.,  pag. 64.

 

13) FRANCESCO DEGRADA, La Musica a Napoli durante il Viceregno Austriaco, in Settecento Napoletano, Sulle Ali dell’Aquila imperiale, Napoli Electa 1994, pag. 123.

 

14) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Onesto divertimento, ed allegria de’ popoli. Materiali per una storia dello spettacolo a Napoli nel primo Settecento, Ricordi, Milano 1996, pag.   .

 

15) ULISSE PROTA-GIURLEO, Op. cit., pagg. 80-81.

 

16) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993, pag. 120.

 

17) Ibidem, pag. 124.

 

18) ULISSE PROTA-GIURLEO, Op. cit., pag. 92. Durante i periodi di licenza che egli otteneva per le stagioni d’opera nei teatri italiani, Domenico Gizzi era sostituito nel servizio della Real Cappella di Napoli da un cantante soprannumerario. Ad esempio, nel 1720, il Musico lasciò al suo posto il soprano Nicola Ricchetti, al quale assegnava quattro ducati mensili della paga che continuava a godere. Per la stagione di primavera del 1728, il soprano prescelto fu Agostino Marchetti.

 

19) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993, pagg. 19, 120-121, 124, 128-135. Archivio Privato di Ulisse Prota-Giurleo, Segreteria dei Viceré, Liber Mandatorum, 330 (1714), pag. 84; 337 (1718), pag. 103.

 

20) MICHAEL F. ROBINSON, voce Gizzi Domenico, in New Grove’s Dictionary, vol. VII, pag 419. Per la paga mensile del 1734 si vedano i documenti del Banco di Sant’Eligio, pubblicati da  PAOLOGIOVANNI MAIONE, in Le carte degli antichi banchi e il panorama musicale e teatrale della Napoli di primo Settecento, in "Studi pergolesiani. Pergolesi Studies" IV, a cura di Francesco Degrada, Firenze, La Nuova Italia. Per il compenso mensile degli ultimi anni si veda EUGENIO FAUSTINI-FASINI, Gli Astri Maggiori del “Bel Canto” Napoletano, Gaetano Majorano detto “Caffarelli”, in Note d’Archivio per la Storia Musicale, Roma 1938, pag. 266.

 

21) AUSILIA MAGAUDDA e DANILO COSTANTINI, Musica e teatro nel Regno di Napoli attraverso lo spoglio della "Gazzetta di Napoli" (1675-1768), di prossima pubblicazione.

 

22) Biblioteca del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli, Segnatura Oratori 75-76 (Prima e Seconda Parte). Nella pagina conclusiva della Seconda Parte dell’Oratorio vi è apposta la seguente data: 4 7bre 1735. Nella stessa Biblioteca è conservata un’altra copia manoscritta della partitura dell’Oratorio, che, nel frontespizio riproduce ugualmente i nomi degli interpreti della esecuzione del 1732. Questo secondo frontespizio è stato pubblicato da GIUSEPPE A. PASTORE nell’opera Leonardo Leo, Editore Pajano, Galatina 1957, a pag. 96.

 

23) GIUSEPPE A. PASTORE, Don Lionardo, Vita e opere di Leonardo Leo, Bertola & Locatelli Editori, Cuneo 1994, pagg. 125-126.

 

24) Tutte le Opere di PIETRO METASTASIO,  a cura di Lucio Brunelli, Arnoldo Mondadori Editore, Officine Grafiche Veronesi 1947, Vol. II, pagg. 573-574.

 

25) “L’Elogio di Leonardo Leo” è parte del Volume IV del Manoscritto di GIUSEPPE SIGISMONDO. Per gentile segnalazione della Prof.ssa Ausilia Magaudda.

 

26) Archivio di Stato di Napoli, Casa Reale, Amministrativa, Serie Categorie diverse, fascio 243, II B. I fogli di presenza del 1740 sono firmati dal Tesoriere della Real Cappella, Domenico De Matteis.

 

27) Archivio Privato di Ulisse Prota-Giurleo, Casa Reale Antica, Copia dell’Istanza di Domenico Gizzi del 17 maggio 1737. Il domestico Paolo Castellano accompagnò il Musico Gizzi anche a Ceccano nel 1741.

 

28) Archivio di Stato di Napoli, Casa Reale Antica, Diversi, Anno 1737, Vol. 1102, cc 37v-38r.

 

29) GUIDO PANNAIN, Una pagina inedita della storia musicale di Napoli, in Rivista Musicale Italiana, XXI (1914), pagg 737-743.

 

30) Ibidem, pag 739.

 

31) Famiglia Gizzi Appunti Cronologici, scritti alla metà del XIX secolo dal Cav. Avv. Camillo dei Conti Gizzi, foglio II, recto; Atto del Notaio Loreto d’Ambrosy, di Ceccano, del 10 luglio 1764 in favore dei figli di Giuseppe Gizzi: Domenico Nicola, Perfetta, Agnese e Agata. Atto del Notaio Patrizio Pesce, di San Lorenzo (oggi Amaseno) con cui Giovanni Abundio Lancia, di Arpino, nipote di Domenico Gizzi, cede il credito dotale da lui vantato nei confronti della famiglia di sua moglie Faustina Campagna di San Lorenzo, in favore di Domenico Nicola Gizzi e delle sue sorelle, datato 14 marzo 1765.

 

32) “Concordia e Transattione fra li Sig.ri D. Vincenzo Gizzi da una parte, e Giovanni Abbundio Lancia della Città di Arpino dall’altra”, del 10 ottobre 1766. Atto del Notaio Loreto D’Ambrosi, Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Faldone 191, ff 151-153 r et v e 167 r et v.

 

33) ROBERTO PAGANO, Scarlatti Alessandro e Domenico: due vite in una, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1985, pag. 368-369, che segnala il volume: BONIFACIO PETRONE, Memorie dell’Abate Bonifacio Pecorone della Città di Saponara, Napoli 1729. Probabilmente, l’episodio narrato dall’Abate Pecorone è databile al 1724, poiché l’autore fa riferimento all’ultimo periodo di vita di Alessandro Scarlatti.

 

34) Riflessioni pratiche sul canto figurato di GIAMBATTISTA MANCINI, Maestro di Canto dell’Imperial Corte di Vienna, Accademico Filarmonico, Terza Edizione, in Milano MDCCLXXVII, ristampato a cura di ANDREA DELLA CORTE, in Canto e bel canto, Paravia, Torino 1933, pag. 223.

 

35) GIOVANNI BATTISTA GENNARO GROSSI, Domenico Gizzi e Gizzielli suo allievo, in Biografia degli Uomini Illustri del Reame di Napoli, Gervasi, Napoli 1819, pag. 8.

 

36) Storia degli Italiani, per CESARE CANTU’, Tomo VI, Torino L’Unione Tipografico-Editrice, MDCCCLVI, pag. 209.

 

37) Manoscritto Famiglia Gizzi Appunti Cronologici, metà del XIX secolo, autore il Cav. Avv. CAMILLO dei Conti GIZZI, foglio I, recto.

 

38) ANDREA DELLA CORTE, voce Gizzi Domenico, in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Allgemeine Enziklopadie der Musik - Herausgegeben von Friedrich Blume, Barenreiter-Verlag/Kassel und Basel, vol. II, col. 209.

 

39) Nella edizione del 2000 il testo è stato integrato dal Prof. Paologiovanni Maione.

 

40) FRANCESCO COTTICELLI - PAOLOGIOVANNI MAIONE, Le Istituzioni Musicali a Napoli durante il Viceregno austriaco (1707-1734), Materiali inediti sulla Real Cappella ed il Teatro di San Bartolomeo, Luciano Editore, Napoli 1993, pag. 36.

41) SAVERIO FRANCHI, Drammaturgia Romana, II (1701-1750), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1997, pag. 181.

 

 

Vai a 4 - Interprete delle Serenate Celebrative L'ANGELICA e LA GALATEA

che segnarono l'esordio del Metastasio a Napoli

A cura di

Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles

Arsace da Versailles - Faustina da Versailles

Arbace - Alessandro - Andrea & Carla

Un enorme grazie a

Avvocato Stefano Gizzi

Nei restauri, ancora in corso, con Stefano Gizzi, hanno collaborato e si ringraziano:

1) il Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI, che ha restaurato le porte, ne ha realizzato di nuove sempre secondo lo stile dell'epoca, ha restaurato alcuni mobili fra cui lo scrittoio del Musico Domenico Gizzi ridotto in cattivo stato.

Scrittoio originale di Domenico Gizzi - restaurato dal maestro Maestro Ebanista COLOMBO VERRELLI

2) il Maestro FRANCESCO BARTOLI, pittore e decoratore, per la scelta dei colori, la definizione degli stessi con le tonalità assolutamente dell'epoca e l'arredamento delle sale con materiali, carte e stucchi, rigorosamente d'epoca.

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