
CANTORE
E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA
ALLA
FINE DEL XVII SECOLO

L’attività svolta da Don Gregorio, con serietà e dedizione,
in molte cappelle musicali romane lo aveva posto in luce negli ambienti
musicali ecclesiastici, procurandogli rispetto e considerazione.
Ormai, nel complesso e suggestivo ambiente musicale romano, egli
era considerato un cantore
nella voce di Basso di notevolissime qualità, dedito al solo genere
sacro, romano a tutti gli effetti, per scuola, vocazione ed elezione,
dotato di una forte personalità in cui convergevano gli aspetti
migliori della scuola artistica e culturale erede della tradizione
polifonica palestriniana e del canto gregoriano.
Legittimamente, la sua personalità aspirava alla dignità ed al
prestigio della maggiore Cappella musicale Romana, quella Pontificia, di
rinomanza mondiale, che costituiva simbolicamente ed idealmente il
coronamento delle sue aspirazioni di artista, consentendogli di
sviluppare a pieno le esigenze della sua vita musicale e, come
sacerdote, di servire da vicino la sacra persona del Pontefice Romano.
La Cappella Musicale Pontificia, vantava le sue antiche e
nobilissime origini nella Schola Cantorum riorganizzata da San
Gregorio Magno nella Basilica di San Pietro allo scopo di conservare i
canoni interpretativi dei canti della tradizione ecclesiale romana.
Divenuta
il coro personale del Pontefice, fu denominata anche Sistina,
perché Papa Sisto IV, con Bolla del 1 gennaio 1480 aveva riorganizzato
la Cappella Musicale come cantoria stabile e riservata per le funzioni
papali, dandole nuova disciplina giuridica ed amministrativa. Per tali
motivi, il Collegio dei Cantori era impiegato nelle funzioni papali, la
cui ufficiatura avveniva nella Cappella Sistina "Sacellum
Sixtinum", del Palazzo Apostolico in Vaticano, affrescata da
Mino da Fiesole, dal Signorelli, dal Beato Angelico, dal Perugino e poi
da Michelangelo.
I
Cantori Pontifici dovevano cantare ogni giorno nella Cappella o nelle
altre chiese in cui si recasse il Pontefice, impreziosendo le grandi
ufficiature delle Cappelle Papali nelle feste e nelle domeniche.
La
Cappella dei Cantori Pontifici costituiva il complesso di voci adibito
al servizio liturgico presso la Corte Papale e godeva di una universale
e vivissima stima, sempre rinnovata da parte dei Pontefici Romani, di
molte Case Regnanti e di numerosi personaggi di rilievo.
L’illustre
ceto dei Cantori era annoverato tra gli ordini più cospicui della
gerarchia ecclesiastica e già Papa Eugenio IV, nella sua Bolla “Et
si erga cunctos”, del 1 febbraio 1403, onorava i Cantori come veri
“Famigliari, e continui commensali del Pontefice” (1).
Andrea
Adami, Cantore soprano della Cappella Pontificia, autore di un prezioso
volume Osservazioni per ben regolare il Coro de i Cantori della
Cappella Pontificia, a tal proposito, così si esprimeva:
"La
stima fatta sì da i Pontefici Romani, che dagli altri Principi, e
Personaggi insigni de i Cantori della Cappella Pontificia, è stata
sempre tale, che non poca ragione si ha di poterli annoverare tra gli
ordini più cospicui della Gerarchia Ecclesiastica ne i secoli
passati" (2).
"Hanno poi i Sommi Pontefici sempre procurato di avere
i migliori Virtuosi d’Europa per il servizio della loro Cappella"
(3).
Nel
corso dei secoli, si erano succedute numerose Bolle e Brevi Pontifici
che specificavano i grandi privilegi, le prerogative e le alte
distinzioni concesse dai Sommi Pontefici all’illustre Collegio dei
Cantori Pontifici.
Anche
Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di Erudizione
Storico-Ecclesiastica, aveva parole di vivo elogio per la Cappella
Musicale Pontificia, a testimonianza della grandissima stima di cui
l’istituzione continuava a godere nei secoli:
"Il Collegio dei cappellani Cantori della cappella
Papale, è composto di ecclesiastici, scelti dopo gli sperimenti più
rigorosi ne’ concorsi, sì per le voci, che per la perizia del canto.
La loro musica è composta di sole trentadue voci, quando il numero è
pieno, senza l’aiuto di verun istrumento; ed è tanto armonica,
esatta, e divota, che in un alla sua gravità ecclesiatica, ha formato
sempre lo stupore, e l’ammirazione delle più colte nazioni, ed
accresce maestà alle auguste funzioni sagre, assistite o celebrate dal
Sommo Pontefice e dal sagro collegio de’ Cardinali" (4).
Sempre
il Moroni ricordava con profondo rispetto ed ammirazione gli "uomini
illustri ed insigni per dignità, santità, dottrina e scienza musicale
che fiorirono nella Scuola dei cantori, e nel collegio di essi, i più
rinomati professori di musica, e insigni cantori che accrebbero lustro
al collegio e che lo arricchirono di preziose composizioni"
(5).
"Quando
il Pontefice dispensa al trono nella cappella, le candele, le ceneri, le
palme, e gli Agnus Dei benedetti, quattro cappellani cantori vi si
recano a riceverle dopo i cubicularii, e nel venerdì santo altrettanti
vanno all’adorazione della Croce, mentre gli altri proseguono il canto
in coro, cioè nella cantoria. Anticamente tutto il collegio de’
cantori si recava all’adorazione della Croce, e al trono per ricevere
dal Papa le sopradette cose. Il loro posto nelle processioni è avanti
la prelatura, che ha l’uso del rocchetto"
(6).
"Nelle
cappelle Cardinalizie, e prelatizie, fanno da diacono e suddiacono due
cappellani cantori, assumendo allora i rispettivi paramenti sagri. Il
Passio della domenica delle palme è cantato da tre sacerdoti cantori,
cioè da un tenore, un contralto, e un basso, vestiti di amitto, camice,
cingolo, e stola diaconale" (7).
Enrico
Celani, nel 1903, ricordando che la Cappella Pontificia "tanto
racchiude per la storia della musica sacra in Italia" (8)
pubblicò alcune notizie tratte da un manoscritto conservato nella
Biblioteca Corsiniana di Roma, redatto dal Cantore della Cappella
Sistina Matteo Fornari, nel 1749.
Il
Fornari, nel riflettere, con vari argomenti, sulla considerazione che i
Pontefici avevano sempre manifestato per la "celebre"
Cappella Pontificia e "del pregio in cui hanno i medesimi in
ogni tempo tenuto il canto ecclesiastico, distinguendovi i professori
con laute grazie" (9), illustrava lo scopo della sua
narrazione storica: "che il Collegio dei Cantori Pontifici
abbia notizia di tanti valenti uomini che parte con la perizia e maestà
del canto, parte con le scelte composizioni con le quali arricchirono il
nostro archivio, hanno appo tutto il mondo resa cospicua la Cappella del
Papa" (10).
Del
Collegio facevano parte i “Cantori
esercenti”, cioè quelli iscritti al ruolo nell’attuale
ed effettivo servizio, per ciascuna delle quattro parti di Soprano,
Contralto, Tenore e Basso, ed i “Giubilati”, cioè i cantori che avevano raggiunto il
traguardo dei 25 anni di servizio presso l’istituzione e continuavano
a ricevere gli emolumenti fino alla loro morte.
Nella erudita ricostruzione operata da Gaetano Moroni, la “Famiglia
Pontificia”, composta da quegli ecclesiastici e secolari
addetti al domestico e personale servizio del Sommo Pontefice, ed agli
uffici del suo Palazzo Apostolico, si divideva in due ceti, cioè i “Famigliari
intimi e personali del Papa” ed i “Famigliari
addetti al servigio dei Palazzi apostolici”.
I Cantori Pontifici, riuniti in Collegio, per l’ufficio e la
carica a loro conferita, godevano del titolo e della considerazione di “Famigliari
e commensali del Papa”.
Per
questo, secondo le antichissime graduazioni e precedenze relative alle
qualifiche dei “Famigliari
intimi e personali del Papa”, il Collegio dei Cantori
Pontifici era registrato nel ruolo del Sagro Palazzo Apostolico con le
sue proprie prerogative, precedenze e con particolari attribuzioni ed
emolumenti.
Il
superiore della “Famiglia
Pontificia” era il prelato Maggiordomo Prefetto dei Sagri
Palazzi Apostolici.
Sempre
secondo il Moroni, prestare domestico e personale servigio al Pontefice
Romano, "sovrano d’uno de’ più floridi stati d’Italia,
che ha per capitale l’antica regina del mondo, riunisce la sublime e
suprema dignità ed autorità di vicario di Gesù Cristo, e di capo
della Chiesa Cattolica: grado eccelso che non ha pari sulla terra"
(11) costituiva una preziosa onorificenza ed una soddisfazione
religiosa. Grande onore provavano i familiari del Papa nel vedersi
continuamente impiegati nel suo servizio, abitare nella sua stessa
nobile residenza e sperimentando gli effetti benefici, spirituali e
temporali, di questa fortunata condizione.
Per
tali motivi, ai “Famigliari del
Sommo Pontefice”, fra cui i Cantori Pontifici, si richiedevano
"bontà
di vita, esemplarità di costumi ed integra condotta" (12)
quali veri omaggi di profonda venerazione prestati al Successore del
Principe degli Apostoli.
Il
Collegio dei Cantori Pontifici aveva il diritto al Sigillo grande e
piccolo, con l’immagine di Maria Santissima Assunta in Cielo, titolo
della Cappella, insieme ai privilegi della immediata privativa
dell’ordinamento amministrativo di governare se stesso ed il diritto
di fare leggi interne e multare i colleghi con pene pecuniarie e di
altro genere, minuziosamente prescritte e regolate dalle Costituzioni.
Don
Gregorio de Giudici partecipò per la prima volta al concorso per voce
di Basso nella Cappella Pontificia il 18 giugno 1668 e fra molti
concorrenti ottenne 20 voti in favore ed 11 contrari, risultato
lusinghiero, ma non sufficiente per l’ingresso nel Collegio (13).
Il
24 novembre 1670 tentò nuovamente la sorte, partecipando al concorso
per la parte di basso, a cui veniva attribuita la mezza paga vacante per
la morte del Cavalier Loreto Vittori, ma ottenne solo 6 voti favorevoli
e 25 contrari (14).
Nel 1672 venne emanato l’Editto per un posto di Basso e Don
Gregorio, al termine di un intenso periodo di preparazione, consapevole
delle sue potenzialità, per la terza volta partecipò al concorso, che
si svolgeva secondo delle norme ben precise e severe.
Con
Bolla “Romanus Pontifex Christi Vicarius”, datata apud S.
Petrum il 17 novembre 1545, Papa Paolo III aveva approvato le
Costituzioni della Cappella presentate da Mons. Ludovico Magnasco,
Vescovo di Assisi, Maestro della Cappella, concedendo al Collegio il
privilegio di poter ammettere un nuovo Cantore, nella mancanza di un
altro, per mezzo di una elezione da parte dei Cantori stessi con voti
segreti. S’intendeva ammesso all’ufficio il concorrente che giungeva
al partito di un voto in più di due terzi dei votanti.
Paolo
V con Breve del 7 febbraio 1607 confermò tale Bolla ed in particolar
modo il privilegio della scelta dei nuovi Cantori, secondo le solennità
prescritte dalle Costituzioni della Cappella, con concorso fatto per
pubblico Editto e successivo esame dei candidati ad opera dai membri del
Collegio stesso, a cui seguiva una votazione segreta.
Preliminarmente,
si riunì la Congregazione del Collegio per un esame di quelli che
dovevano concorrere e sopra le loro qualità, con una verifica dei loro “buoni
costumi e buona nascita”.
Il
14 dicembre 1672, si svolse la sessione solenne del Concorso.

Il
Cardinale Protettore, Virginio Orsini, romano, creato da Urbano VIII e
nominato protettore da Clemente X il 5 settembre 1671, in abito corale,
sedente sul ripiano del Trono della Cappella Pontificia, fu chiamato a
presiedere alla prova dei concorrenti al cantorato, assistito dal Prelato Maggiordomo
Prefetto dei SS. Palazzi Apostolici.
I
trenta membri del Collegio dei Cantori Pontifici, vestiti con sottana
paonazza e ferraiolo nero, presero posto nei banchi dei Cardinali.
I
concorrenti, dopo aver fatto i consueti esperimenti, uno per volta
cantarono una lezione. Fatti uscire aveva inizio la votazione da parte
dei cantori presenti, che giudicavano così la performance del
candidato.
Il
Collegio iniziava a votare e di mano in mano si portavano le bussole al
Signor Cardinale, che provvedeva personalmente a porre i voti ancora
segreti in un contenitore, su cui veniva scritto sopra il nome del
concorrente.
Al
termine dell’esame e delle votazioni ed alla presenza del Collegio, il
Cardinale Orsini procedette all’apertura dei piccoli contenitori ed
allo spoglio dei voti.
Il risultato, questa volta premiò pienamente la tenacia e le
grandi qualità vocali di Don Gregorio. Caso molto raro in un concorso
della Cappella Pontificia, egli ottenne all’unanimità il voto degli
esigentissimi cantori pontifici e conseguì immediatamente l’ambito e
prestigioso ufficio.
Il Diario Sistino del 1672, nella sua immediatezza ci offre la
cronaca del grande successo conseguito da Don Gregorio:
"Don
Greg.o de Judicibus in fav.re 30"
"E
così con commune applauso fù chiamato il Sig.r D. Greg.o e gli fù
data dall’Em.mo Protett.re la Cotta con gusto un.le, e dopo si mise
all’ult.o luogo e li fù dato l’osculum pacis"
(15).
Con sua grande soddisfazione, Don Gregorio poté ricevere le
congratulazioni dei suoi nuovi colleghi e rivestirsi dell’Abito dei
Cantori Pontifici, cioè la veste talare, fascia e collare di seta
paonazza, con mostre, asole e bottoni cremisi e mantello o ferraiolone
di seta nera. Quando era in servizio nelle Cappelle e Funzioni
liturgiche, sulla veste o sottana paonazza, egli doveva indossare la
cotta clericale.
Il canto solenne, i luoghi ricchi di storia e i riti legati al
loro servizio musicale avevano fatto sì che il Collegio assumesse un
significato quasi mitico. I Cantori Pontifici, infatti erano partecipi
di un’aura leggendaria ed immersi nell’atmosfera sacrale della Corte
Pontificia, che si era mantenuta e rafforzata nel tempo, tra storia e
leggenda, con le sublimi creazioni del Palestrina e con la piena
applicazione delle direttive musicali sancite dal Sacrosanto Concilio di
Trento.
Il
canto nel suo stile solenne aveva le sue caratteristiche “romane”
specifiche nella sobrietà e nell’atmosfera sacra della lode divina,
da cui emanava una interpretazione artistica della scrittura polifonica
di prima grandezza e suggestione.
Solo
dopo che Don Gregorio, nella sua qualità di novizio,
ebbe prestato il giuramento di fedeltà alle Costituzioni del
Collegio, i Cantori Pontifici iniziarono a disvelare ai suoi occhi le
chiavi interpretative ed i segreti nel canto di cui erano gelosi
depositari, insieme alle notizie sulla vita collegiale dei maestri
cantori e sulle consuetudini della Cappella Pontificia.
Possiamo
ben immaginare con quanta emozione egli fece il suo ingresso, per la
prima volta, nella Cantoria monumentale della Cappella Sistina,
opera di Mino da Fiesole e G. Dalmata, la loggia marmorea destinata ai
cantori, a forma di parapetto sporgente, nella quale il coro intonava le
sue splendide melodie.
I
luoghi delle celebrazioni solenni in cui interveniva il Pontefice erano
in primo luogo la Cappella Sistina nel Palazzo Apostolico Vaticano, la
Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale e la Basilica di San Pietro
in Vaticano.
Nei
fastosi apparati e cerimonie della Roma papale, il Collegio dei Cantori
Pontifici utilizzava dei preziosissimi Codices Cantorum, cioè
dei libri musicali in pergamena, con le esclusive opere musicali dei più
famosi cantori-compositori, scritti con bellissimi caratteri da
eccellenti calligrafi ed adornati con splendide miniature, capolettera e
fregi spesso di soggetto religioso, secondo lo stile dei tempi.
Un
solo codice di notevoli dimensioni, posto sul leggio, permetteva la
lettura delle note da parte di tutti i cantori del coro.
Per il loro ufficio musicale, i Cantori potevano consultare
l’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, che aveva il suo
ingresso nella quarta porta della Sala Ducale, su cui era affisso il
cartiglio:“Archivio de’ Musici cantori della Cappella
Pontificia”. Negli armadi delle sue stanze, si conservavano libri
e pergamene delle più preziose composizioni musicali utilizzate nelle
funzioni fatte dal Papa o in cui interveniva un Cardinale. Un posto
d’onore era riservato alle nobilissime composizioni del Principe
della Musica, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che conferivano ogni
splendore al canto ecclesiastico della Chiesa di Roma.
Gli emolumenti spettanti ai Cantori Pontifici erano molto pingui.
Gregorio XIV con Breve datato 1 ottobre 1591 aveva stabilito le rendite
del Collegio dei Cantori, concedendo 200 scudi annui a ciascuno di essi.
Quali Famigliari Pontificii, i Cantori avevano diritto, dal 1672,
al pane ed al vino, concessione che traeva la sua origine dalle
colazioni e pranzi che essi in passato ricevevano nel Palazzo Apostolico
ogni volta che in Cappella celebrasse un Cardinale o un Vescovo
Assistente al Soglio Pontificio. Inoltre, a turno ricevevano una scatola
di confetti. Numerose e molto consistenti erano le propine di cui
godevano da sempre in occasione della concessione dei cappelli
cardinalizi, di cerimonie cardinalizie e con vescovi assistenti al
Soglio Pontificio e di vari introiti, in occasione di canonizzazioni,
beatificazioni ed esequie di cardinali e vescovi.
Al suo ingresso nella Cappella Pontificia, come era antica
consuetudine, Don Gregorio ebbe “metà della paga” ed il 20
settembre 1680, con esplicito mandato del Cardinale Protettore, Felice
Rospigliosi, venne ammesso a godere dell’altra “mezza paga”,
godendo così dell’emolumento pieno (16).
Nel
Diario Sistino del dicembre 1672, sono compiutamente registrati i
primi impegni ufficiali di Don Gregorio de Giudici, nella sua nuova
veste di Cantore Pontificio (17).
Domenica
19 dicembre, Cappella Papale, Cantò la Messa Mons. De Angelis, Vice
Gerente, alla presenza del Pontefice Clemente X.
24
dicembre, Cappella Papale per la Natività di N. S.re Gesù Cristo, alla
presenza di Sua Santità Clemente X, rivestito della Cappa Magna.
Notte
di Natale, Cappella Papale senza la presenza del Papa. Cantò la Messa
l’Em.mo Cardinale Carpegna, Datario.
Mattina di Natale, Cappella Papale in Monte Cavallo, cioè
nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale, colla presenza di N.
S.re. Cantò la Messa il Cardinale Barberini, Decano del Sacro Collegio.
Lo
stesso giorno, dopo il pranzo, il Collegio cantò il Vespro Segreto
nelle Camere di N. S.re.
Lunedì
26 dicembre, Festività di Santo Stefano Protomartire, Cappella Papale,
colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale d’Este.
All’Offertorio, il Collegio dei Cantori Pontifici intonò il mottetto Cum
autem esset Stephanum, del Palestrina
Martedì
27 dicembre, Festività di San Giovanni Apostolo ed Evangelista,
Cappella Papale colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale
Portocarrero. All’Offertorio, venne eseguito il mottetto Hic est
Beatissimus Discipulus, del Palestrina.
Il
Pontefice regnante, al cui servizio entrò Don Gregorio era il romano
Emilio Altieri, eletto Papa con il nome di Clemente X, a ottanta anni,
dopo cinque mesi di conclave, il 29 aprile 1670. Di animo mite e consapevole
delle difficoltà del governo, aveva affidato gli affari amministrativi
dello Stato della Chiesa al Cardinal Paluzzo Paluzzi degli Albertini,
concedendogli il cognome Altieri. In politica internazionale fu amico di
Giovanni Sobieski, favorendo la sua elezione a Re di Polonia nel 1674.
Il
pontificato di Clemente X fu fecondo di opere volte ad assicurare il
benessere dei sudditi e l’abbellimento di Roma, sede del Papato,
favorendo le arti e le
ultime opere dell’ormai anziano Bernini, che su mandato del Papa eseguì
il ciborio in bronzo per la Cappella del Santissimo Sacramento in San
Pietro ed alcune statue per la decorazione di Ponte Sant’Angelo.
Sempre il Pontefice nominò architetto di corte Carlo Rainaldi, in
sostituzione del Bernini. Nelle ultime promozioni cardinalizie di Papa
Clemente X, ottennero il galero illustri personalità ecclesiastiche: il
16 gennaio 1673, il Cardinale Felice Rospigliosi, nipote di Clemente IX;
il 12 giugno 1673, Francesco Nerli, Girolamo Gastaldi, il celebre
letterato Girolamo Casanate e Pietro Basadonna, mentre l’ultimo
Concistoro del Pontificato si tenne il 27 maggio 1675.
Papa Clemente X celebrò il XV Giubileo della Storia della
Chiesa, l’ultimo del XVII secolo. Il primo Anno Santo era stato
introdotto da Papa Bonifacio VIII, nel 1300, su ispirazione dello zio,
il Beato Andrea Conti dell’Ordine Francescano.
Clemente X lo aveva indetto alla veneranda età di 84 anni, con
la Bolla “Ad apostolicae vocis oraculum” del 16
maggio 1674.

Per il Collegio dei Cantori Pontifici, l’Anno Santo fu ricco di
impegni solenni, a cui il Collegio seppe far fronte in maniera
impeccabile, destando l’ammirazione dei pellegrini, accorsi da ogni
parte del mondo nel numero di un milione e mezzo, che poterono
apprezzare quanto fossero accurate le esecuzioni della Cappella,
insuperabile nell’arte polifonica e nello spirito liturgico.
La Notte di Natale del 1674, il Pontefice aprì solennemente la
Porta Santa nella Basilica di San Pietro. Assistevano alla cerimonia la
Regina Cristina, insieme a molte principesse e principi tedeschi. I
romani videro in quell’occasione, per la prima volta, il ricco
Tabernacolo della Cappella del Santissimo Sacramento, eseguito secondo
il disegno di Gian Lorenzo Bernini e costato 40.000 scudi romani.
La solenne cerimonia ebbe inizio nella Cappella Sistina, dove
Papa Clemente X giunse in Sedia Gestatoria "alle 20 hore,
accompagnato dal Sacro Collegio" (18).
Dopo
aver pregato dinnanzi al Santissimo Sacramento esposto, il Papa intonò
l’inno Veni Creator Spiritus, proseguito dal Coro dei Cantori,
che intonarono tutti i versetti nella processione che giunse in Piazza
San Pietro e, successivamente, nel Portico della Basilica. Giunto il
Pontefice in Sedia Gestatoria nel Portico, salì sul Trono ed il Coro
intonò il versetto conclusivo dell’Inno. Come nota puntualmente il Diario
Sistino del 1674, una metà dei Cantori Pontifici rimase fuori dal
piccolo coro eretto per loro, cosa che creò qualche piccolo problema.
Anche se il Maestro di Cappella aveva inviato due Cantori vicino al
Papa, "per il gran tumulto del Popolo",
fu molto difficile per il Coro rispondere ai vari versetti.
Sceso
dal Soglio, il Papa prese dalle mani del Cardinale Penitenziere Maggiore
il Martello d’Argento, con cui percosse la parete della Porta Santa,
intonando le parole:
Aperite
mihi Portas iustitiae
A
cui il Coro rispose
Ingressus
in ea confitebor Domino.
Percuotendo
poi la seconda volta la Porta con il Martello, il Papa cantò le parole:
Introibo
in domum tuam Domine.
Sempre
il Coro dei Cantori rispose:
Adorabo
ad templum sanctum tuum, in timore tuo.
Percuotendo
la terza volta la Porta Santa il Papa cantò:
Aperite
Portas, quondam nobiscum est Deus.
E
il Coro rispose:
Qui
fecit virtutem in Israel.
Subito
dopo cadde la Porta e mentre venivano puliti gli stipiti, il Coro dei
Cantori intonò il Salmo Jubilate Deo. Dopo altre cerimonie, il
Papa, tenendo nella mano destra la Croce e nella sinistra una candela
accesa, si inginocchiò in mezzo alla Porta ed intonando il Te Deum
laudamus, proseguito dal Coro dei Cantori, entrò nella Basilica di
San Pietro per la Porta Santa, mentre il Coro, dopo aver terminato il
canto dei versetti dell’inno, si poneva nello spazio ad esso
assegnato, accanto all’altare degli Apostoli. Il Sommo Pontefice
rientrò quindi nelle sue stanze ed il Vespro venne cantato dal
Cardinale Orsini. Il Mattutino fu cantato dal Cardinale Carpegna e la
mattina della Festa del Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, fu
il Cardinale Francesco Barberini a cantare la Santa Messa nella Cappella
Sistina, alla presenza di Clemente X.
Come
registra il Diario Sistino,
tutti i cantori furono presenti e diligenti nel prestare il servizio
musicale durante la celebrazione solenne.
La Domenica in Albis, 21 aprile 1675, presso l’Altare della
Cattedra nella Basilica di San Pietro, Clemente X pubblicò il Breve
Pontificio con cui veniva dichiarato Beato il Servo di Dio Giovanni
della Croce, celebre mistico e fondatore dell’Ordine dei Carmelitani
Scalzi.
Domenica 30 giugno, di nuovo nella Basilica Vaticana, venne
dichiarato Beato il francescano spagnolo della stretta osservanza,
Francesco Solano, inviato da Re Filippo II nelle Americhe, dove si era
distinto per l’amore per i nativi, tanto che nel Paraguay ed in Perù
venne chiamato “il Taumaturgo del nuovo mondo”.
Sempre nella Basilica Vaticana, il 24 novembre 1675, Clemente X
proclamava Martiri e Beati i 19 Servi di Dio martirizzati a Gorkum in
Olanda, nel 1572.
Clemente
X, che aveva promulgato i decreti di Canonizzazione di San Gaetano da
Thiene, Francesco Borgia, Filippo Benizi e Rosa da Lima, nel 1675
beatificò anche Caterina da Genova.
La Settimana Santa, in particolare, fu dedicata a solenni
cerimonie e all’accoglienza ed assistenza dei pellegrini. La Regina
Cristina di Svezia, si recava presso la sede della Confraternita della
Santissima Trinità, accompagnata da altre dame della nobiltà e le
varie Compagnie organizzavano ogni giorno una solenne processione, con
macchine raffiguranti i misteri della vita del Signore, commissionate al
celebre architetto Fontana. Il Venerdì Santo, la Confraternita della
Trinità, guidata dal Cardinale Paluzzo Altieri, fornì la cena a 13.000
pellegrini.
Il vecchio Pontefice ottantacinquenne, si distinse per la
particolare cura prodigata nell’assistenza dei pellegrini. Impartì la
solenne benedizione sette volte e visitò le Sette Chiese per cinque
volte, recandosi personalmente nell’ottava della Festa della
Beatissima Vergine del Rosario ad una funzione in Santa Maria della
Minerva, ove personalmente recitò il Rosario a voce alta, con grande
edificazione dei fedeli.
Il 25 novembre 1675, il Collegio dei Cantori Pontifici ottenne
dal Pontefice il privilegio di poter lucrare l’indulgenza plenaria del
Santo Giubileo con la processione dal
Quirinale e la visita della
Basilica di San Pietro. A tale scopo, il Cardinale Protettore, intimò a
tutti i membri del Collegio, i Maestri delle Cerimonie ed i Prelati
della Cappella Pontificia di intervenire alla cerimonia, stabilendone
anche il giorno e l’ora.
La sera di martedì 24 dicembre 1675, venne celebrata in San
Pietro la funzione per la chiusura della Porta Santa. Il Vespro venne
intonato dal Cardinale Virginio Orsini, Protettore della Cappella dei
Cantori Pontifici, alla presenza del Sacro Collegio, ma non del
Pontefice, che non vi assisteva per la sua grave età. Al termine del
Vespro, tutti i cardinali in abiti sacri si recarono nella Cappella del
Santissimo Sacramento, dove venne mostrato per l’adorazione il Volto
Santo della Veronica.
Con
l’arrivo di Clemente X "si diede principio alla Processione
verso la Porta Santa, tutti con candele accese, et essendo stato
l’ultimo N.ro Sig.re come fu il P.mo nell’aprirsi, così nel
principio della Process.ne, la S.tà Sua intonò Cum Jucunditate
vestitis" a cui il Coro dei Cantori rispose in contrappunto
(19).
Giunti al Soglio, il Papa si assise e senza la mitra, scese per
benedire i cementi, pronunciando alcuni versetti. Durante
l’apposizione della prima pietra, il Coro cantava il Celestis Urbis
Jerusalem. Al termine, il Papa tornò a sedere nel Trono e deposta
la mitra, recitò alcuni versetti, seguiti dall’intonazione del Te
Deum, alla conclusione del quale, sempre dal Soglio nel Portico
della Basilica, diede la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria, in
forma di Giubileo.
"I Sig.ri Compagni tutti presenti, e v’intervenne
anche la maggior parte de Sig.ri Giubilati" (20). Mancò solo
il soprano Giuseppe Fede, recatosi a cantare nella Basilica di Santa
Maria Maggiore, con licenza del Cardinale Altieri.
La Notte di Natale, cantò all’ora solita il Mattutino e la
Messa, il Cardinale Gastaldi, alla presenza del Sacro Collegio e tutti i
Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede.
La mattina del giorno di Natale, vi fu Cappella Papale in
Vaticano, presente Clemente X ed il Sacro Collegio. Cantò la Messa il
Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio ed il Papa,
dalla Loggia delle Benedizioni, impartì la Benedizione con
l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo. Tutti i Cantori furono
presenti, eccettuato Giuseppe Fede.
Come annota il Diario
Sistino, a causa della gran confusione di gente per l’Anno Santo,
non venne offerto ai Cantori Pontifici il solito pranzo nel Palazzo
Apostolico, ma il Santo Padre attribuì ugualmente ad ognuno di essi uno
scudo romano, come da tradizione (21).
Clemente X morì il 22 luglio del 1676 alle ore 17 del
pomeriggio, ed alle ore 20, conclusa la ricognizione canonica del
cadavere, le sue spoglie vennero condotte nel Palazzo Vaticano. Il 26
luglio, dopo il tramonto del sole, venne sepolto nei pressi della
Cappella del Santissimo Sacramento, da dove poi fu traslato, il 15
ottobre 1691, nel suo monumento funebre innalzato presso l’Altare di
Santa Petronilla.
I nove giorni delle solenni celebrazioni di suffragio, i Novendiali,
furono contrassegnati dalle Messe Pontificali di Requiem per l’anima
del defunto Pontefice, celebrate nella Cappella della Pietà in San
Pietro, alla presenza del Sacro Collegio. In queste funzioni il Collegio
dei Cantori fu intensamente impegnato, con la magistrale ed impeccabile
interpretazione delle struggenti melodie gregoriane e di alcuni brani
polifonici, che inondarono la Cappella di una profonda mestizia e vivo
raccoglimento. Dal settimo al nono giorno, le Solenni Esequie
prescrivevano anche le Assoluzioni al Catafalco, nel corso delle quali, quattro cantori
assistevano ai quattro angoli del Catafalco i cardinali vestiti
di piviale nero che impartivano le solenni assoluzioni.
Nel
Diario Sistino era
registrata giornalmente ognuna di queste cerimonie:
"30
Giovedì. 7.a Esequie. Finita la Messa si cantorono li 5 risponsorij, e
fù incensato il Catafalco. Niuno fù assente"
(22).
Al
termine dei Novendiali in suffragio dell’anima di Clemente X, il 2
agosto 1676, il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro
Collegio, celebrò la Messa dello Spirito Santo. In questa solenne
celebrazione, il Coro intonò alcuni preziosi brani del repertorio
scritto in vari tempi dai cantori della Cappella, fra cui,
all’Offertorio, il Cantate Domino di Ruggero Giovannelli. Dopo
la Santa Messa, nella Cappella Paolina, i cardinali prestarono il
consueto giuramento per l’apertura del Conclave.
Il
21 settembre, dopo la celebrazione della Santa Messa de Pontifice
Eligendo, nella Cappella Sistina, con 20 voti e 42 nell’Accessus,
venne eletto Papa il Cardinale Benedetto Odescalchi, di Como, del titolo
di Sant’Onofrio, che assunse il nome di Innocenzo XI.
La
cerimonia della Incoronazione del nuovo Pontefice si svolse il 4 ottobre
nelle Patriarcale Basilica di San Pietro. Innocenzo XI giunse nel
vestibolo della Basilica in sedia gestatoria, mentre il Coro dei Cantori
intonava l’Ecce sacerdos magnus. L’Arciprete della Basilica,
il Capitolo ed i chierici resero quindi omaggio al Pontefice con il
bacio del piede e la consegna delle chiavi, al canto del Mottetto Tu
es Petrus. Subito dopo, il Papa faceva il suo ingresso nella Chiesa
e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, ascese al Trono preparato
nella Cappella di San Gregorio, dove al canto del Te Deum, il
Sacro Collegio ed i prelati gli resero omaggio. Indossati i paramenti
pontificali, il Papa si avviò verso l’Altare della Confessione.
Davanti a Innocenzo XI procedevano
due Maestri delle Cerimonie, uno portava un cuscino di seta con della
bambagia e l’altro una lunga canna d’argento con in cima un
lucignolo di bambagia. Per tre volte il corteo si fermò e ciascuna
volta un chierico bruciava un batuffolo di bambagia fermato alla canna
d’argento, mentre il Maestro delle Cerimonie cantava la celebre frase:
Pater Sancte sic transit gloria mundi!
Dopo
l’imposizione del Pallio ed il canto del Gloria e delle collette, il
Cardinale Protodiacono, accompagnato dagli Uditori di Rota e dagli
Avvocati Concistoriali, discese sotto la confessione, nella Cappella
dove sono conservate le reliquie del Principe degli Apostoli per il
canto di alcune particolari litanie.
Per
tre volte cantò il Christe audi nos, con risposta del Collegio
dei Cantori a cui seguì la preghiera: Domino nostro Innocentio a Deo
decreto Summi Pontifici et Universali Papae, vita, e le litanie alla
Santissima Vergine Maria, agli Angeli e Santi, alle quali il Coro
rispondeva Tu illum adjuva!
L’Epistola
ed il Vangelo vennero cantati in latino ed in greco, a significare la
cattolicità della Chiesa di Roma e, nell’Offertorio, il Coro dei
Cantori Pontifici intonò lo splendido mottetto di Felice Anerio In
Diademate Capitis Aaron.
Al
termine della Santa Messa, il Collegio dei Cantori si portò alla Loggia
delle Benedizioni, dove, all’arrivo del Papa, venne intonato il
Mottetto a cinque voci Corona aurea super caput ejus espressa signo
sanctitatis, gloriae et honoris del
Palestrina. Fu il Cardinale Francesco Maidalchini, come Primo Diacono a
cingere sulla testa del nuovo Papa il “Triregno”,
simbolo del triplice ministero di supremo maestro, sacerdote e re
affidato al Pontefice, dicendo Accipe Tiaram tribus coronis ornatam.
Conclusasi
con la solenne Benedizione Papale la cerimonia, il Collegio dei Cantori,
secondo una antico privilegio, venne ammesso al bacio del piede del
nuovo Pontefice.
Innocenzo
XI prese possesso della Basilica Lateranense l’8 novembre 1676.
Amante
della vita ritiratissima, schivo di applausi e nemico del nepotismo,
dignitoso nel portamento, celebre per la santità di vita ed il suo
rigore, alto di statura con fronte ampia, il naso aquilino ed il mento
sporgente, Innocenzo XI soppresse la posizione di cardinal-nepote e
diede alla Segreteria di Stato
una organizzazione più moderna conservatasi fino al XX secolo. Negli
affari religiosi pose grande attenzione nella scelta dei vescovi, curò
l’educazione del clero, l’istruzione catechistica e la predicazione
del Vangelo in forma semplice e pratica, promosse l’educazione dei
giovani e l’assistenza spirituale dei malati. Ebbe molto a cuore il
culto della Santissima Eucaristia, approvando la Comunione frequente e
quotidiana. Difensore acerrimo della integrità della dottrina
religiosa, fu energico nel riaffermare l’autorità papale, avendo per
questo lunghi contrasti con il Re di Francia Luigi XIV. Per quanto
riguarda la vita pubblica, combatté l’usura ed il gioco d’azzardo,
volle che fosse amministrata rettamente la giustizia, riformando i
tribunali, fu avversario delle recite teatrali e proibì i divertimenti
del carnevale.
Il
2 luglio 1679, nella Basilica Vaticana, all’Altare della Cattedra,
promulgò il Breve di Beatificazione di Toribio de Mogrovejo,
ecclesiastico nato in Spagna nel 1538, Arcivescovo di Lima in Perù,
evangelizzatore e protettore delle popolazioni indios.
Il
cerimoniale pontificio riserbava grande solennità ai “Concistori”,
nei quali il Sommo Pontefice conferiva il Cappello Cardinalizio ai
prelati chiamati ad assumere l’alto ufficio di Principi della Chiesa e
primi collaboratori del Papa nel Collegio Cardinalizio. In occasione di
queste cerimonie, il Collegio dei Cantori Pontifici si recava nella
Cappella di residenza del Pontefice, dove il coro dava principio ai
Mottetti a più voci, che proseguivano fino al momento in cui i nuovi
cardinali, dopo aver pregato nella Cappella, si recavano nella Sala del
Concistoro, dove il Papa imponeva il galero ai novelli porporati. Il
Collegio dei Cantori, posto dinnanzi alla porta della Sala, attendeva il
cenno del Maestro delle Cerimonie per intonare il Te Deum, che
veniva eseguito processionalmente fino all’altare della Cappella,
nella quale i Cantori si ponevano dalla parte dell’Epistola,
attendendo l’ingresso del Sacro Collegio. I nuovi cardinali si
prostravano quindi sui gradini avanti l’Altare e dopo che i maestri di
cerimonie avevano coperto loro il capo con il cappuccio delle cappe
magne, il Coro dei Cantori intonava, in “Falsobordone”,
il versetto “Te ergo quaesumus” e poi il versetto conclusivo.
Negli
anni di servizio di Don Gregorio nella Cappella Pontificia, si segnalò
il Concistoro Pubblico di Giovedì 4 settembre 1681, in cui Innocenzo XI
conferì il Cappello Cardinalizio agli Eminentissimi: Giovanni Battista
Spinola, Antonio Pignatelli, il futuro Innocenzo XII, Brancaccio, De
Luca, Visconti, Capizucchi, Lauria, Sacchetti, Ginetti e Pamphili. Come
annota il Diario Sistino, "tutti li SS.ri Compagni
diligintissimi" (23).
Per
la sua partecipazione alla solenne cerimonia, Don Gregorio de Giudici
ottenne un gratificazione di dieci scudi d’oro, offerta ad ogni
Cantore Pontificio dai novelli porporati.
Un
altro Concistoro Pubblico si tenne al Quirinale il 22 maggio 1687,
quando furono dato il galero agli Eminentissimi Cardinali Carlo Ciceri,
Pietro Matteo Petrucci e Francesco Maria de Medici. In quella occasione,
dal Collegio dei Cantori Pontifici "si cantarono li soliti
Mottetti e il Te Deum" (24).
Nello
stesso anno, seguirono altri due Concistori Pubblici al Quirinale: il 9
giugno, per il Cardinale Fortunato Caraffa ed il 7 luglio per il
Cardinale Giuseppe Maria Aguir.
Nel
dicembre del 1682, in occasione della visita di ossequio resa ad
Innocenzo XI dal nuovo Viceré spagnolo di Napoli, Don Gasparo d’Aros,
già Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa offrì un pranzo
ufficiale all’illustre diplomatico, nel corso del quale i Cantori
Pontifici furono chiamati ad allietare la mensa con il canto di vari
mottetti accompagnati dall’organo.
Di questa prestigiosa esibizione
che onorò altamente il Collegio, resta memoria del Diario Sistino del
1682, in data del 29 dicembre:
"Martedì
N.ro Sig.re diede da pranzo al Vice Rè di Napoli D. Gasparo d’Aros
Marchese del Carpio e Lecce Imbasciator qui in Roma del Rè Cattolico,
all’hore 19. La Santità Sua assieme col d.o Vice Rè si partì dalle
sue stanze, e venne nella Sala del Concistoro nel Palazzo del Vaticano
ove erano li soliti apparecchi per il pranzo.
Per
N.ro Sig.re era preparato in mezzo della sala sotto il Baldacchino e per
il Vice Rè da piedi nel picciolo tavolino a sedere nello sgabello; e
per li musici fatto uno steccato con li Cassabanchi in un cantone della
med.ma sala.
Finito
che hebbe di bere la prima volta la Santità Sua si cessò di leggere da
Mons.r Boldrini, e si principiò a sonar l’organo e si cantorono
diversi mottetti sino all’ultimo che si terminò la tavola"
(25).
Fra
le principali glorie del pontificato di Innocenzo XI, brilla certamente
la sua azione in difesa della civiltà europea contro le invasioni
turche, culminata nell’alleanza fra l’Imperatore Leopoldo I ed il Re
di Polonia, Giovanni Sobieski, che propugnò la vittoria di Vienna del
12 settembre 1683, salutata dal Pontefice con l’istituzione della
Festa del Santissimo Nome di Maria, a ricordo e ringraziamento della
strepitosa vittoria di cui fu animatore il celebre francescano Padre
Marco d’Aviano.
Con
grande concorso di cardinali, prelati e fedeli, il 18 agosto 1683, ebbe
luogo a Roma una grande processione giubilare da Santa Maria della
Minerva alla Chiesa di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale
tedesca, dove il Cardinale Ludovisi, in nome del Papa, malato di
podagra, compì le funzioni ecclesiastiche di tali occasioni, con
l’esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento.
Il
23 settembre giunse a Roma la conferma della vittoria conseguita dalle
armate cattoliche alle porte di Vienna ed il giubilo popolare fu
irrefrenabile. Il giorno successivo, con Editto del Cardinal Vicario
venne prescritto che per due sere dopo l’Ave Maria, le campane
suonassero a festa per un’ora e venissero celebrate in tutte le chiese
della Città funzioni di ringraziamento a Dio.
Il
Papa, ascrivendo il merito dei felici avvenimenti all’intervento
divino, fece illuminare la facciata e la cupola di San Pietro, con lo
sparo di salve di gioia da parte dei cannoni di Castel Sant’Angelo ed
il 25 settembre, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza
del Sacro Collegio, cantò un solenne Te Deum di ringraziamento.
Nel
Dario Sistino del 1683, questo fausto avvenimento e le celebrazioni
romane sono riportate nel calendario degli interventi musicali del
Collegio dei Cantori Pontifici, nella data del 25 settembre:
"Sabbato
il giorno doppo pranzo furono cantati Litanie e Te deum a S.ta Maria
Maggiore pro gratiarum actiones per la liberatione della Città di
Vienna assediata da Turchi mediante l’Armi del Sac. Romano Imperio,
Polacche, e Collegati con l’intervento di N.S. et il Sac. Colleggio
dell’Em.mi SS. Cardinali. Tutti li SS.ri Compagni presenti"
(26).
Il
29 settembre, durante la Santa Messa celebrata nella Cappella Paolina al
Quirinale, alla presenza di tutti gli ambasciatori ed inviati, Innocenzo
XI, ricevette dall’Abate Giovanni Casimiro Denhoff, rappresentante del
Re di Polonia Sobieski, la grande bandiera turca, che poi venne portata
a San Pietro ed appesa in segno di trionfo sulla porta principale:
"29
Mercordì - Cappella Papale à Monte Cavallo pro gratiarum actiones cantò
messa l’Em.mo S.r Card. Ludovisi e fù detto il Te Deum, e fù
presentato lo stendardo de Turchi fù fatta l’oratione in nome del Rè
di Polonia, e poi esso stendardo fù messo à piedi di S. S.tà e poi il
Papa rispose all’oratione. Tutti li SS.ri Compagni presenti"
(27).
Le
grandi cerimonie di giubilo continuarono nei giorni successivi, con la
distribuzione di ricche elemosine ai poveri ed una amnistia per i minori
reati civili e si conclusero con alcune speciali funzioni religiose, il
1 ottobre nella Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale, il 10
ottobre nella Chiesa di Santa Maria dell’Anima ed il 17 nella Chiesa
di San Stanislao, chiesa nazionale polacca. E il 1 novembre, nel corso
della Cappella Papale, venne cantato il Te Deum per festeggiare "la
presa di Strigonia" in Ungheria (28).
Fra
le solenni cerimonie registrate nel Diario Sistino nel mese di
ottobre 1683 si segnalava anche la Cappella Papale celebrata per
l’anniversario dell’ incoronazione del Sommo Pontefice, nella
Cappella Paolina:
"4
lunedì. - Cappella Papale nel Quirinale per la Coronatione di N.S.
Innocenzo Undecimo. N.S. fu presente; tutti li SS.ri Compagni furono
puntuali"
(29).
L’azione
diplomatica di Innocenzo XI fu instancabile e promosse l’adesione di
Venezia e della Russia alla Lega Santa, contribuendo largamente alla
liberazione di Buda ed alle fortunate campagne che opposero una diga
alle ricorrenti ondate dei turchi verso l’Europa. Sollecitate dalle
esortazioni di Innocenzo XI e di Padre Marco d’Aviano, le campagne
militari ripresero nel luglio 1685 e condussero le armate cattoliche
alle vittorie di Neuhausel, di Gran e di Buda il 2 settembre dell’anno
successivo.
I
successi dell’Imperatore Leopoldo I venivano solennizzati dalla Corte
romana con funzioni di ringraziamento, nel corso delle quali il Papa
intonava personalmente il Te Deum.
Alcune
importanti cerimonie commemorative sono registrate nel Diario
Sistino del 1685:
Settembre
"2 Dom. - Si cantò messa et Te Deum nella Cappella al
Quirinale p.nte N.S. dall’Em.mo Pio per render à Dio gratie delli
buoni progressi dell’armi Cristiane et in specie la presa di Neixelle
dall’Armata Cesarea et dalla Veneta quella di Corone" (30).
Novembre
"18 Dom.ca - Si fece Cappella Papale nella Chiesa dell’Anima
per ordine di N.S. et si cantò il Te Deum per la vittoria dell’Armi
Cristiane contro l’Infedeli" (31).
Come
riferisce il Diario Sistino
del 1686, la notizia della riconquista di Buda
venne celebrata a Roma con sommo splendore e con sincero fervore
religioso, nel quale il Pontefice era a tutti di esempio con la sua fede
ammirevole.
Sabato
14 settembre 1686, "S. S.tà ordinò che la sera si facesse
allegrezza con fuochi, e lumi, & al segno dello sparo di Castel S.
Angelo furono suonate le campane per tutte le chiese di Roma, illuminata
tutta da fuochi, e lumi oltre ogni solito, si fece anche la girandola al
Castel S. Angelo, e tutto il popolo mostrò segni di giubilo, e di
allegrezza infinita; ordinò però S. S.tà che si stasse in oratione
per render gratie a Dio dei progressi fortunatissimi conceduti
all’armi Cristiane contro il Tiranno d’Oriente" (32).
Domenica
15 settembre, nella Cappella Paolina del Quirinale, il Cardinale Carlo
Pio di Savoia celebrò la Santa Messa, seguita dal Te Deum,
intonato dal Papa, suggellando così l’impegno magnanimo di Innocenzo
XI e gli allori colti sui campi di battaglia dall’Imperatore
d’Austria:
"Dom.a
15 - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale pro gratiarum actione per la
d.a Vittoria, cantò la Messa l’em.o Pio alla presenza del S.
Collegio. N.S. calò in cappella per la scaletta secreta, doppo il fine
della messa per intonare il Te Deum, come l’intonò, e nel med.o tempo
sparorno li cannoni al di cui segno tornarono a suonarsi tutte le
campane di Roma e continuorno per lo spatio di mezz’hora essendo tale
l’ordine di N.S. per risvegliare il popolo ad un comune rendimento di
gratie a Dio per tanto benefitio ricev.o. La sera poi si rinovarono
l’allegrezze in forma mai più veduta non essendovi angolo della città
dove non si facessero pompe di lumi e fuochi artificiali con altre
mostre bellissime"
(33).
Nella
Cappella Cardinalizia celebrata nella chiesa nazionale tedesca di Santa
Maria dell’Anima, il 22 settembre, il rappresentante dell’Imperatore
d’Austria ottenne il raro privilegio di poter assistere alla Santa
Messa, cantata da Mons. Bottini, nel Coro dei Cantori Pontifici,
dove vennero intonate ammirevolmente le gravi e solenni armonie che
accompagnarono la celebrazione:
"22
Dom.a - Cappella Cardinalitia alla Chiesa dell’Anima ordinata da N.S.
pro gratiarum actione della Vittoria ch’hanno havv.a li Cesarei, e
Bavari di quella gran Piazza inespugnabile di Buda. Cantò la messa l’Ill.mo
Monsig.r Bottini alla presenza del S. Collegio, tutti li Sig. Compagni
presenti. Stiede nel nostro choro il Sig. Conte de Turi P.o Gentilhoumo
di S. M.à Cesarea, che portò la vera conferma della presa di d.a
piazza,e vi dimorò sino alla fine della messa, doppo la quale fù
intonato dal celebrante il Te Deum laudamus, con il sparo de
mortaletti"
(34).
Le
celebrazioni per la presa di Buda si conclusero con una Messa Solenne di
Requiem fatta celebrare da Innocenzo XI in suffragio di tutti i soldati
cristiani deceduti durante l’assedio della Città. Attraverso la
preghiera della Chiesa ed il grande precetto della carità cristiana, il
Pontefice volle applicare il soccorso spirituale del Sacrificio di
Cristo ed i frutti infiniti della Redenzione alle anime di coloro che
avevano combattuto eroicamente per la Fede e la Civiltà Cristiana:
"24
Martedì - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale ordinata da N.S. per
suffragio dell’anime di tanti cristiani che passarono all’altra vita
sotto la sud.a piazza di Buda, cantò la Messa l’Em.o Pio alla
presenza del S. Collegio senza intervento di N.S., tutti li Sig.
Compagni presenti" (35).
Nel
luglio dello stesso anno, su esplicito mandato del Sommo Pontefice
vennero convenientemente celebrate a Roma anche le vittorie conseguite
dalle armate della Repubblica Veneta. La Santa Messa venne cantata dal
Vescovo di Corfù, Mons. Marco Antonio Barbarigo, prelato di santa vita
e di distintissime doti di carità e bontà:
"21
Domenica. - Cappella Papale alla chiesa di San Marco ordinata da N.ro
Sig.re pro gratiarum actiones havendo N.S. fatto parare la chiesa con
gl’arazzi della Cappella Pontificia come anche mandò candelieri et
altre cose necessarie appartenenti alla detta Cappella. Cantò messa
l’Ill.mo Mons.r Barbarico vescovo di Corfù alla presenza del
Sacro Collegio senza intervento di N.S. Tutti li SS.ri Compagni furono
presenti. La detta Cappella fù ordinata da N.S. per la presa che fecero
li Venetiani di Navarino vecchio e nuovo"
(36).
E
l’eco dei nuovi successi della campagne militari dei veneziani e delle
armate imperiali fu puntualmente registrato nel Diario
Sistino del 1687:
Agosto
"15. Venerdì - Assuntione della B.ma Vergine Capp.a Papale in
S. Maria Maggiore, cantò Messa novella l’E.mo de Angelis alla
presenza del Sac.o Colle.o, senza l’assistenza di N.S. Doppo il post
Comm.o fù cantato il Te Deum per la Vittoria ottenuta dalla Ser.ma
Republica di Venetia contra l’Armi Ottomane nell’acquisto di Lepanto
e Patras" (37).
Domenica
31 agosto, Cappella Papale nella Cappella Paolina al Palazzo del
Quirinale, alla presenza del Sacro Collegio, ma senza l’intervento di
N.S. Cantò la Messa il Cardinale Carlo Pio di Savoia e fu cantato il Te
Deum "per la vittoria riportata dall’Armi Cesaree sul Ponte
di Esech", dove fu sconfitto l’esercito ottomano (38).
Ricco di meriti e di virtù, Innocenzo XI morì a Roma, nel
Palazzo del Quirinale il 12 agosto 1689. Il suo corpo, trasferito nella
Cappella Sistina in Vaticano, dove i Penitenzieri provvidero a
rivestirlo degli abiti pontificali, venne condotto nella Basilica
Vaticana, dove fu esposto alla pietà ed al suffragio dei fedeli nella
Cappella della Santissima Trinità, delimitata da un cancello chiuso.
L’inumazione delle sue venerate spoglie, presso la Cappella del Coro
dei Canonici, avvenne il 16 agosto, dopo il tramonto del sole.
Nel Diario Sistino del
1689 sono riportate diligentemente tutte le cerimonie funebri svoltesi
nella Basilica Vaticana in suffragio dell’anima del defunto Pontefice,
nelle quali era intervenuto il Collegio dei Cantori Pontifici. Ogni
giorno, venivano regolarmente registrate le celebrazioni dei Novendiali:
"Seconda Esseq.e. 16 Martedì. Questa mattina in San
Pietro nella Cappella detta di sopra si sono fatte le solite Esequie
alla presenza del Sacro Collegio in numm.o 22: fù cantata la Messa
dall’Em.mo Sig.r Cardinal Lauria. Tutti li SS.ri serventi presenti con
parte de SS.ri Giubilati. Si sono ricevute le solite Cere e Pranzi"
(39).
"Terza Essequie. 17. Mercordì si fecero le solite
Esequie nella Basilica Vaticana presente il Sacro Collegio degli E.mi
SS.ri Cardinali, quali furono al numm.o di 21. Cantò Messa l’Em.mo
Sig.r Cardinal Capizucchi. Tutti li SS.ri Compagni serventi
diligentissimi e furono à favorirci molti de SS.ri Giubbilati. Habbiamo
ricevuto li soliti Emolumenti delle Cere e Pranzi" (40).
Papa Innocenzo XI venne proclamato Beato da Pio XII nel 1956 ed
il suo corpo fu posto alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San
Pietro, in un urna sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano.
Il
23 agosto 1689, nella Cappella del Coro dei Canonici in San Pietro, il
Cardinale Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, celebrò la Santa
Messa dello Spirito Santo e dopo il giuramento nella Cappella Paolina,
iniziarono le votazioni nella Cappella Sistina. Al termine del Conclave,
il 6 ottobre 1689, venne eletto Papa il Cardinale Pietro Vito Ottoboni,
di nobile famiglia veneziana, che assunse il nome di Alessandro VIII.
Il
nuovo Pontefice venne incoronato dal Cardinale Protodiacono Francesco
Maidalchini, con la Tiara Pontificia il 16 ottobre, nel corso della
solenne cerimonia sopra il portico della Basilica di San Pietro e prese
possesso della Basilica Lateranense il 23 ottobre.
Tutti
i particolari della solennissima funzione della Incoronazione di Papa
Alessandro VIII sono riferiti nel Diario Sistino del 1689.
Domenica 16 ottobre, alle ore 14,00 il nuovo Pontefice scese nella
Cappella Sistina e vestito di piviale rosso e mitra di tela d’oro
venne portato in Sedia Gestatoria nel Portico di San Pietro, dove si
svolsero le solite funzioni. Sotto il Baldacchino e attorniato dai
Ventagli, il Pontefice fece ingresso nella Basilica di San Pietro e dopo
aver adorato il Santissimo Sacramento, si recò nella Cappella
Clementina, dove riposa il corpo di San Gregorio Magno. Il Collegio dei
Cantori Pontifici prese posto nel Coro eretto a Cornu Epistole
della Cappella e con la sua solita maestria contribuì a rendere
solennissima la cerimonia di Incoronazione del nuovo Pontefice. Dopo il canto
di Terza, i Cantori si trasferirono nel Coro preparato vicino
all’Altare della Confessione, dove attesero il Pontefice per la
celebrazione della Santa Messa. Giunto il Papa all’Altare e concluse
alcune cerimonie, diede inizio alla Messa, incensando l’altare. Come
annota il Diario Sistino, "Subito di ordine del Sig.r
Mastro, da noi fu dato principio all’Introito adagio assai, tenendo
similmente quest’ordine nelli Chyrie, de quali se ne cantorno molti,
ne si terminorno, se prima il Sommo Pontefice incensato l’Altare, e
ricevuto nel Trono l’obbedienza dal Sacro Collegio, ammentendolo al
bagio de sacri piedi, mano, e guancia, non lesse tutto l’Introito, il
quale compito passò all’intonazione del gloria" (41). "Il
Credo, da noi si cantò adagio per dar tempo che si compissero le
cerimonie. Appresso fu cantato l’offertorio in contrapunto adagio e
poi si passò al solito mottetto, quale fu replicato più volte per dar
tempo alla incenzatione degli EE.mi SS.ri Cardinali, et altre cerimonie,
che si stilano farsi in simile funtione" (42).
Come
riferisce il Diario Sistino, a causa della grande stanchezza del
Pontefice non vi fu il tradizionale bacio del piede del Papa da parte
del Collegio dei Cantori "quantunque dal Signor Mastro
(conforme al solito) ne fosse stata l’istanza all’Ill.mo Monsig.r
Bartoli Maestro di Camera di Sua Santità, dal quale fu però
assicurato, che tutto ciò si sarebbe riservato a’ miglior
congiuntura" (43). Il Diario Sistino conclude la
cronaca della importante cerimonia annotando "tutti li SS.ri
Compagni serventi presenti, con parte de SS.ri Giubbilati"
(44).
Sabato
15 ottobre 1689, il Camerlengo del Collegio dei Cantori Pontifici
attribuì a Don Gregorio de Giudici ed a ciascuno dei Cantori a paga
intera, la somma di scudi romani 2 e bajocchi 37, quale ultima parte dei
compensi loro spettanti per i servizi prestati durante la Sede Vacante.
I Cantori a mezza paga ottennero ciascuno scudi 1 e bajocchi 18 (45).
Alessandro
VIII, appena eletto, si affrettò a beneficare con titoli e privilegi i
componenti della sua famiglia, facendo giungere a Roma suo nipote
Pietro, creato cardinale a 19 anni il 7 novembre 1689. Negli affari
religiosi, favorì le missioni in Cina e a Nanchino, istituendo due sedi
vescovili a Pechino. Fu caritatevole nel periodo della peste e della
carestia che infierirono a Roma ed arricchì la Biblioteca Vaticana,
acquistando preziosi volumi appartenuti alla Regina Cristina di Svezia.
Nel
primo anno di Pontificato di Alessandro VIII, Don Gregorio de Giudici fu
chiamato ad assumere il massimo ufficio dell’istituzione musicale
papale, quello di Maestro della Cappella Pontificia. Mostrando di
apprezzare i suoi talenti, la solerzia e la sua bontà di maniere, i
colleghi cantori gli confidarono quest’incarico, certi che egli
avrebbe dedicato alla Sistina ogni sollecitudine, adempiendo con
scrupolo e vera perizia ai suoi doveri.
Le
notizie storiche su questo periodo della vita di Don Gregorio de Giudici
contribuiscono a mettere in risalto la figura artistica e musicale di
questo benemerito Cantore alla Corte Papale.
Papa
Sisto V, nel 1586, aveva ridotto il numero dei cantori pontifici da 24 a
21, concedendo al Collegio il privilegio di eleggere, ogni anno, il
Maestro di Cappella, scegliendolo fra uno dei cantori facenti parte
dell’organico dell’istituzione stessa.
Negli
anni di servizio prestati nella Cappella Pontificia, Don Gregorio era
stato iniziato, con metodo sicuro, ai solidi princìpi dell’arte
polifonica e del canto ecclesiastico “all’uso romano”,
osservati dall’organismo musicale, alle dirette dipendenze del
Pontefice e della sua corte. Quasi venti anni di pratica quotidiana nel
Collegio, avevano contribuito grandemente alla sua completa formazione
artistico-religiosa ed all’acquisizione dell’istruzioni, regole e
consuetudini proprie della tradizione musicale sistina, che regolavano
l’opera dei cantori nelle grandi festività dell’anno liturgico e
nelle funzioni ordinarie e straordinarie.
Queste riflessioni animarono i membri del Collegio della Cappella
Musicale nella Congregazione per la nomina dei nuovi Officiali
(Maestro della Cappella Pontificia, Camerlengo e Puntatore) tenutasi la
mattina della Festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre 1689, nella
Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale.
Il Cappellano Cantore Mazzoni, alle ore 16 in punto, celebrò la
Santa Messa bassa, dopo la quale ciascuno dei Cantori presenti,
esercenti e giubilati, si pose a sedere al suo posto. Con
l’invocazione dello Spirito Santo da parte del Maestro di Cappella,
iniziò la Congregazione, alla presenza di 31 cantori votanti.
Nell’ordine
della riunione, le prime votazioni per i nuovi Officiali riguardavano la
nomina del nuovo Maestro di Cappella.
Dopo
alcune votazioni infruttuose, i Cantori orientarono il loro voto su Don
Gregorio de Giudici, con l’esito pienamente favorevole, riportato
diligentemente nel Diario Sistino del 1689:
"Fu fatto uscire il Sig.r De Giudici, al quale toccava
di essere imbussolato per Maestro di Cappella, et hebbe voti fav.li n.°
26, e disfav.li n.° 5: onde avendo vinto il partito, fù eletto Maestro
di Cappella e da tutti li SS.ri Compagni ricevé il solito osculum Pacis"
(46).
Come
nuovo Maestro, Don Gregorio assistette ai Primi Vespri della
Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo, accanto al precedente
Maestro, il romano Giovanni Matteo Leopardi, tenore, che cessava
nell’ufficio ed entrò in carica ai Primi Vespri dell’Epifania.
Nel
suo ruolo di Maestro della Cappella Pontificia, egli guidò l’opera
dei Cantori in alcune promozioni cardinalizie, registrate nel Diario
Sistino del 1690.
La
prima si tenne nel Palazzo del Quirinale, il 16 febbraio, con il
Concistoro Pubblico durante il quale il Papa concesse il cappello
cardinalizio a nove porporati. Giunto il primo di essi nella Cappella
Paolina, Don Gregorio fece intonare i mottetti prescritti per tali
occasioni, che i Cantori Pontifici proseguirono fino alla conclusione di
questo primo momento di preghiera. Al termine della cerimonia di
imposizione del galero nella Sala del Concistoro, due soprani sotto la
guida del Maestro di Cappella, intonarono il primo versetto del Te
Deum, che fu cantato dal Coro, processionalmente, verso la Cappella
Paolina. Un altro Concistoro Pubblico si tenne, sempre al Quirinale, il
2 marzo dello stesso anno, per la promozione cardinalizia di Mons.
Giacomo Cantelmi.
Nell’Archivio
del Collegio dei Cantori Pontifici, si conservano alcune lettere
indirizzate a Don Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella
Pontificia, dal Cardinale Francesco Maidalchini, da Viterbo, creato da
Innocenzo X ed assegnato come Protettore dell’istituzione da
Alessandro VIII, il 22 ottobre 1689.
Le
prime riguardano l’ingresso, senza concorso, di due cantori in qualità
di soprannumerari, per diretta decisione del Pontefice. Il primo
cantore ammesso era il soprano Pasqualino Tiepoli, di Udine, che dopo
venticinque anni di servizio vestirà l’abito eremitico di Monte Luco
a Spoleto, con il nome di Frate Pier Clemente:
"Il
Sig. D. Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia darà la
cotta a Pasqualino Tiepolo, nella parte di soprano soprannumerario,
essendo questo l’ordine di N.S.
Dal nostro Palazzo, li 11 marzo 1690
F.
card. Maidalchini" (47).
In ossequio a questa decisione del Pontefice, Don Gregorio
fece chiamare il nuovo soprano, il quale, genuflesso davanti al Maestro
della Cappella Pontificia giurò di osservare le Costituzioni e le
consuetudini del Collegio. Subito dopo Don Gregorio gli impose la cotta
e lo ammise al bacio della pace, ufficializzando così il suo ingresso
nella prestigiosa istituzione.
L’altro cantore era il tenore romano Michele Fregiotti, morto
poi nel 1709:
"Sig.re
D. Gregorio de Giudici Maestro della Cappella Pontificia potrà dar la
Cotta à Michele Freggiotti, romano, per Ordine di N.ro Sig.re
ammettendolo alla parte di tenore sopra numerario, con che gli corra
l’anzianità, e giubilatione dal giorno che sara ammesso etc.
Dal N.ro Palazzo, q. di 9 di 8bre 1690
F. Card. Maidalchini
Niccolò
Frediani seg.rio "
(48).
La terza lettera riguardava il caso di Bartolomeo Monaci, ammesso
nel novembre 1689 come contralto castrato nella parte tradizionalmente
assegnata ai contralti naturali. Dopo aver constatato che tale decisione
era contraria alle consuetudini della Cappella e che, soprattutto, il
Monaci non poteva onorevolmente sostenere tale voce, troppo bassa per un
castrato, il Cardinale Protettore, con ordine del Sommo Pontefice,
decretò il passaggio del Monaci dalla voce di contralto a quella di
soprano.
"Al Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro di
Capella, della Capella Pontificia
Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro della Capella Pontificia.
Essendoci stato rapresentato nell’ultima Cong.ne tenuta avanti di Noi
dal Collegio de SS.ri Cantori della Cappella Pontificia e doppo anco da
gli Officiali incaricatoci il pregiudizio grande che nasce al Serv.o di
Dio, et della Santità di N.ro Sig.re dal mettere Contralti Castrati per
il servitio della sud.a Capella conoscendosi essere impossibile che li
suddetti possino esercitare come tali il Contralto nella detta Capella,
e non essendovi stato mai tale sempio, onde per oviare il futuro à tal
pregiudizio d’ordine di N.ro Sig.re datoci a bocca fara V.S. passare
Bartolomeo Monaci da Monte Alcino al Soprano per sopranumerario,
ammettendolo con la solita Giubilatione et anzianità, conforme hanno
goduto e godono gli altri. Iddio la prosperi, dal N.ro Palazzo li 12
genn. 1690
F.
Card. Maidalchini" (49).
Fra gli impegni che come Maestro della Cappella
Pontificia, vide confidati alla sua direzione, Don Gregorio de Giudici
curò personalmente le prove per i solenni riti della Settimana Santa,
che impegnarono tutti i cantori pontifici, con scrupoloso rigore, nei
giorni della settimana di Passione, precedente alla Domenica delle
Palme. Secondo le antiche consuetudini del Collegio, numerose
composizioni polifoniche dei grandi maestri Antifone, Responsori,
Tratti e Mottetti, erano destinate all’esclusivo uso
liturgico della Settimana Santa. Alcuni di questi brani, di purissima
melodia, ribadivano le istanze estetiche della scuola romana
post-tridentina, imponendosi per una grande serenità, solenne e
contemplativa al tempo stesso e per questo, erano unanimemente
apprezzati all’epoca.
Dopo la Cappella Papale della Domenica delle Palme, nel corso
della quale tre cappellani cantori cantarono solennemente il Passio,
il primo importante appuntamento per il Collegio dei Cantori Pontifici
fu, certamente, il Mattutino del Mercoledì Santo. Al termine di
alcune Antifone e Salmi, veniva intonata la prima Lamentazione
del Profeta Geremia, composta in canto figurato da Gregorio Allegri,
sui versetti tratti dal testo biblico, scritti dal Profeta Geremia e
deploranti la distruzione di Gerusalemme, con un acrostico sulle lettere
dell’alfabeto ebraico. Dopo la seconda e la terza Lamentazione di
Geremia in canto piano e le Lezioni del Notturno, fu cantato il Benedictus.
Ad ogni versetto del Cantico di Zaccaria, venne spenta una candela dal
candeliere triangolare posto sull’altare, creando un’atmosfera molto
intensa e suggestiva. Subito dopo il canto del Christus factus est,
il Papa lasciato il suo trono, si inginocchiò davanti all’altare e
tutti si prostrarono con lui. Appena conclusa la recita del Pater
noster segreto da parte del Pontefice, i cantori intonarono il Miserere
a due cori di Gregorio Allegri, una delle composizioni più ammirate e
celebri della Cappella Pontificia "che rapisce l’animo di
chi l’ascolta" (Andrea Adami) (50).
Questo
salmo in falso-bordone polifonicamente ornato e con versetti condotti in
stile monodico, affidato a due cori, uno di cinque voci e l’altro di
quattro voci, esercitava una profonda impressione sugli ascoltatori, sia
per i riti suggestivi che l’accompagnavano, sia per il geloso segreto
con cui il Collegio dei Cantori lo aveva avvolto e per gli abbellimenti
che i cantori si tramandavano dalla metà del secolo.
Tale
era l’apprezzamento generale di questa magistrale composizione, che
con espresso mandato, i pontefici proibirono la trascrizione e
l’esecuzione del Miserere di Allegri al di fuori delle
celebrazioni nella Cappella Papale.
La
liturgia degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il Triduo
Sacro, era pervasa da alcune ufficiature fra le più belle
dell’anno.
Al
mattino del Giovedì Santo 23 marzo 1690, la celebrazione fu consacrata
al vivo ricordo della istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio e
fra i brani più belli della Messa venne cantato il Mottetto per
l’Offertorio Fratres ego enim del Palestrina. Al termine della
Santa Messa, celebrata dal Cardinale Chigi, i cantori più novizi nelle
parti presero i libri e tutto il Collegio dei Cantori si recò fuori
dalla Cappella Sistina per la processione, nel corso della quale il
Pontefice Alessandro VIII, sorreggendo l’ostensorio, condusse il
Santissimo Sacramento verso l’altare della reposizione. Appena la
Croce uscì fuori dalla Balaustra della Cappella, Don Gregorio de
Giudici, in qualità di Maestro di Cappella, fece cenno ai cantori
contralti, i quali intonarono l’Inno Pange Lingua, che
accompagnò solennemente tutto il tragitto della processione.
Il
Venerdì Santo, la Solenne Azione Liturgica della Passione e Morte di
Nostro Signore Gesù Cristo, si svolse nella Cappella Sistina che aveva
assunto un aspetto di completa desolazione, con l’altare spoglio,
senza croce, né candelieri, né tovaglie.
Dopo
il canto del Passio, cioè della Passione secondo San Giovanni,
intonata da tre Cappellani Cantori, un soprano, un tenore ed un basso,
vennero recitate le Solenni Orazioni a cui seguì il rito
suggestivo dell’Adorazione della Santa Croce. Questo rito
traeva la sua origine nell’omaggio che i fedeli di Gerusalemme
tributavano il Venerdì Santo alla insigne reliquia della Croce, sulla
quale Nostro Signore Gesù Cristo era stato crocifisso. Il popolo
accorreva a prostrarsi davanti ad essa, baciandola con grande devozione.
Nella
liturgia latina, il solenne rito dello scoprimento e dell’adorazione
della Croce aveva inizio con l’ingresso della Croce coperta da un velo
violaceo ed accompagnata da due accoliti che recavano due candelieri
accesi. Prima veniva scoperta la sommità della Croce ed in due momenti
successivi il braccio destro e poi tutto il Santo Legno.
Ogni
volta, il Diacono del Vangelo cantava l’antifona Ecce lignum Crucis,
continuata da due tenori con le parole In quo salus mundi pependit,
a cui tutto il Coro dei Cantori rispondeva Venite adoremus.
Mentre
nel mezzo del Presbiterio il celebrante Cardinale Colloredo, tutto il
Sacro Collegio e la Prelatura si apprestavano ad adorare la Croce,
facendo tre genuflessioni e baciando i piedi del Santissimo Crocifisso,
Don Gregorio de Giudici fece intonare il canto devoto ed austero degli Improperi
a due cori del Palestrina, con cui i Cantori interpretavano la voce del
Signore, che invitava il suo popolo a ritornare a Lui, ricordandogli,
nei cosiddetti Rimproveri, i benefici innumerevoli di cui lo
aveva ricolmato attraverso i secoli, ottenendo in compenso
l’ingratitudine e le gravi offese e sofferenze della Passione.
Alcuni
versetti degli Improperi erano cantati, alternativamente dai due
cori, in greco ed in latino:
Agios
o Theos.
Sanctus
Deus.
Agios
ischiros.
Sanctus
Fortis.
Agios
athanatos, eléison imas.
Sanctus
Immortalis, miserére nobis.
Come
testimoniava Andrea Adami, gli Improperi del Palestrina venivano
intonati dai Cantori "adagio, e con voce sommessa, perché la
loro soavissima armonia rende un’interna devozione, e compunzione"
(51).
Al
Mattutino del Venerdì Santo, il Coro dei Cantori eseguì la Lamentazione
in canto figurato di Gregorio Allegri ed il Miserere a due Cori
dello stesso autore.
La
celebrazione della Vigilia Pasquale, svoltasi al mattino del Sabato
Santo 25 marzo, si componeva di varie parti, iniziando dal Canto dell’Exultet
iam Angelica turba caelorum, il festoso annuncio della Pasqua, il
Canto di Dodici Profezie, affidato ai Cantori Pontifici e le Litanie
Maggiori, sempre intonate dai Cantori, seguite dalla celebrazione
del Santo Sacrificio della Messa, il mistero in cui l’Agnello
pasquale, immolato sul Calvario per la salvezza del mondo e risorto dai
morti, ci ha meritato la redenzione.
Alla
Santa Messa celebrata dal Cardinale Lauria nella Cappella Sistina, fu
presente anche Papa Alessandro VIII.
Ai
Vespri, i Cantori intonarono all’inizio il Salmo Laudate Dominus
omnes gentes, in canto figurato ed al termine il Magnificat
di Luca Marenzio.
Nel
corso della Santa Messa della Domenica di Pasqua, celebrata dal
Cardinale Altieri, presente il Papa, prima del Vangelo, venne cantata la
celebre Sequenza Victime paschali laudes, testo di Vipo,
Cappellano dell’Imperatore Corrado, posta in musica dal Cantore
Pontificio Matteo Simonelli. Al termine del Canone, secondo una
antichissima consuetudine, il Coro dei Cantori non rispose Amen
alle parole del celebrante Per omnia saecula saeculorum. Tale
singolare tradizione aveva avuto inizio molti secoli prima: mentre San
Gregorio Magno celebrava in San Giovanni in Laterano, alla fine del
Canone, gli Angeli del Cielo risposero Amen, per cui in
venerazione di tale grande prodigio, le Costituzioni della Cappella
Pontificia prescrivevano tale omissione di risposta.
Ugualmente,
al Maestro di Cappella era confidata la direzione di alcuni particolari
servigi resi dal Collegio dei Cantori Pontifici, nelle solenni
cerimonie, in occasione delle quali essi erano chiamati ad allietare i
solenni conviti, offerti dal Papa nei Palazzi Apostolici, ai cardinali
che avevano assistito alle funzioni. Sotto la guida del Maestro di
Cappella, i Cantori eseguivano concerti e cantavano mottetti sacri in
latino, accompagnandosi con l’organo, il violoncello ed altri
strumenti. Anche le principali solennità dell’anno offrivano ai
musici pontifici l’occasione di far conoscere agli illustri personaggi
della Curia Romana ed agli ospiti di riguardo della Santa Sede le loro
eccelse qualità musicali.
Conclusi
i Primi Vespri di Natale, nel Palazzo Apostolico si trattenevano quei
cardinali che intendevano assistere al Mattutino ed alla Messa della
Notte di Natale, ai quali la Reverenda Camera Apostolica offriva "una
lautissima Cena, con apparecchio nobile di varj Trionfi, che
rappresentano i fatti della Natività del nostro Redentore"
(52). L’apparato della cena veniva prima benedetto e visitato dal
Sommo Pontefice, che ammirava le ricchissime argenterie ed i Trionfi,
preparati con i vari simboli e le decorazioni allusive del Santo Natale.
Prima
della cena, sotto la direzione del Maestro di Cappella, veniva offerto
un sacro componimento in musica con l’esecuzione di una Cantata
sopra la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, curata dai migliori
Cantori della Cappella Pontificia. L’esecuzione avveniva all’ora una
di notte nel salone riccamente addobbato ed illuminato della Sala Borgia
se il pontefice risiedeva in quei giorni al Vaticano o
nell’appartamento al piano del cortile se le funzioni si svolgevano al
Quirinale. Alla Cantata pastorale erano ammessi i cardinali che
intervenivano in mozzetta e ferraiolone rosso, la prelatura e la nobiltà
romana. Al termine della rappresentazione, il Maestro di Cappella, i
cantori e strumentisti partecipavano alla cena imbandita per i
cardinali.
Nel
1690, la Cantata per la Notte di Natale curata dal Maestro della
Cappella Pontificia Don Gregorio de Giudici fu “La Gioia nel seno
d’Abramo”, su testo di Silvio Stampiglia e musica di Flavio Lanciani,
Virtuoso del Cardinale Ottoboni, con la direzione dell’orchestra
affidata ad Arcangelo Corelli (53).
Ugualmente,
il giorno di Pasqua di Resurrezione, il Collegio dei Cantori Pontifici,
durante il pranzo offriva al Papa ed alla sua Corte dei virtuosi
concerti, per i quali i musici ottenevano, secondo un costume
antichissimo, le uova pasquali in marzapane, "l’Agnello,
e le Paste della Mensa del Papa, e un Doblone di mancia"
(54).
Il
16 ottobre 1690, giorno anniversario della Incoronazione di Papa
Alessandro VIII vi fu Cappella Papale in San Pietro in Vaticano. Cantò
la Santa Messa il Cardinale Altieri, alla presenza del Pontefice e del
Sacro Collegio. Nella stessa mattina, Alessandro VIII promulgò i
decreti di Canonizzazione dei beati spagnoli Giovanni di San Facondo
agostiniano, Pasquale Baylon francescano, Giovanni di Dio, fondatore
degli Ospitalieri, Giovanni da Capistrano OFM e Lorenzo Giustiniani.
Nel
Diario Sistino del 1690, alla data indicata, il puntatore volle
registrare tutta la solenne cerimonia della canonizzazione, al fine di
regolare anche per il futuro tutta la funzione ed i vari momenti
musicali.
I
Cantori Pontifici, sotto la guida del Maestro di Cappella, Don Gregorio
de Giudici, si ritrovarono nella Cappella Sistina in Vaticano, dove
giunto il Papa intonò l’Inno Ave Maris Stella, proseguito dai
Cantori posti all’interno della prima cancellata. Subito dopo, i
Cantori processionalmente, si recarono fino a Piazza San Pietro e poi
entrarono nella Basilica dalla Porta Maggiore, prendendo posto nel Coro
preparato per loro. Con l’arrivo del Pontefice e del Sacro Collegio
nella Basilica ebbe inizio la cerimonia della Canonizzazione, regolata
minuziosamente dai Maestri delle Cerimonie e dalle prescrizioni scritte
e distribuite a tutti i Cantori. Terminata questa "solenne e
lunga funzione, si comincia la Messa", che fu cantata dal
Cardinale Altieri (55).
Come
annota il Diario Sistino "Furno
presenti alla Funzione sudd.a tutti li Sig.ri Compagni",
insieme alla maggior parte dei Giubilati (56).
Mentre
concludeva il suo mandato di Maestro della Cappella Pontificia, Don
Gregorio volle curare un prezioso Liber Psalmorum in pergamena,
che dedicò al Pontefice regnante Alessandro VIII. Questo codice di
manoscritti musicali, con lettere iniziali di pagina ornate da
miniature, conservato nell’Archivio della Cappella Sistina, nel
frontespizio reca l’iscrizione:
ALESSANDRO
VIII
R.
D. GREGORIO DE IUDICIBUS
Magistro
Cappellae Pontificiae
Pro
tempore existente
Anno
MDCXCI
Jacobus
Tartanus Romanus
Scribebat
(57).
I manoscritti riguardano quattro composizioni musicali di tre
autori di inizio secolo molto apprezzati in quegli anni, utilizzate dai
Cantori della Cappella Pontificia per le solenni cerimonie
dell’Ufficio Divino:
Archangelus Crivelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet,
Octavi Toni cum 8 vocibus
Rogerii
Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Sexti Toni cum 8 vocibus
Rogerii
Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Primi Toni cum 8 vocibus
Octavi Catalani,
Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Septimi Toni cum 8 vocibus (58).
Alessandro
VIII morì il 1 febbraio 1691, nel Palazzo del Quirinale ed il giorno
successivo, nella prima ora della notte, il suo cadavere fu trasportato
in Vaticano, nella Cappella Sistina. Il 3 febbraio venne esposto nella
Cappella del Santissimo Sacramento ed il 5 febbraio, all’ora del
tramonto fu inumato in Basilica, presenti i cardinali che aveva creato,
il Cardinale Barberini, i nipoti e tutta la Camera Segreta.
Conclusi i Novendiali, il 12 febbraio, nella Cappella
della Pietà il Cardinale Chigi, in luogo del Cardinale Cibo, Decano del
Sacro Collegio, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo, alla
presenza del Sacro Collegio.
Come
riferisce il Diario Sistino,
all’Offertorio venne cantato il Mottetto a otto voci Cantate Domino
di Ruggiero Giovannelli. Terminata la Santa Messa, l’Abate
Bonanventura fiorentino tenne l’orazione De eligendo Summo
Pontifice. Conclusa l’orazione, due soprani dentro la cancellata
della Cappella intonarono l’Inno Veni Creator Spiritus "che
fu seguitato in Canto figurato dalli S.ri Compagni". Finito
il primo verso, si avviò la processione
verso la sede del Conclave, nella Cappella Paolina (59).
Il
Conclave si concluse il 12 luglio 1691, con la elezione del Cardinale
Antonio Pignatelli, del Titolo di San Pancrazio, Arcivescovo di Napoli,
che assunse il nome di Innocenzo XII.
Alle
ore 13, il Cardinale Spada comparve sulla Loggia sopra il Portico di San
Pietro e diede il pubblico annuncio della elezione del nuovo Pontefice.
Il
Diario Sistino del 1691 registra, con compiacimento, che "alle
hora 17 l’Ecc.mo Savelli gran Maresciallo del Conclave introdusse
tutti li Sig.ri Compagni dentro il Conclave prima che vi introducesse
altri.
Il
Puntatore subito fu alla stanza di S.E. Protettore al quale fu
presentato Memoriale diretto a N.S. il contenuto era che si dimandassero
le solite Vesti che suole dare ogni nuovo Pontefice, fu subito da S.E.
presentato à N.S. il quale diede buona speranza di consolar li Sig.ri
miei Compagni" (60).
Subito
dopo, il nuovo Papa, accompagnato dal Sacro Collegio, venne
processionalmente nella Cappella Sistina, dove fu rivestito degli abiti
pontificali e, posto a sedere presso l’altare, ricevette la cosiddetta
“adorazione” da parte dei
cardinali presenti.
Alle
ore 18, due soprani Cantori intonarono "l’Ecce Sacerdos
Magnus, in canto fermo, et fu seguitato à cantare in contrapunto,
facendo qualche volta un poco di riposo, tra un verso et l’altro, et
si fece durare fino che fu
arrivato N.S. et Sacro Coll.o al’Altar delli Apostoli in S. Pietro,
dove l’E.mo Chigi intonò il Te Deum, et fu cantato assai adagio dando
tempo che si facesse l’altra adoratione, che finita il sud.to E.mo
disse alcuni versetti, à quali fu sempre fatto risposta da’ Musici,
che detta dal med.o l’oratione, fu da N.S. dato la Benedizione, così
finì" (61).
Con
solenne cerimonia, Innocenzo XII venne incoronato nella Basilica di San
Pietro in Vaticano il 15 luglio, dal Cardinale Urbano Sacchetti ed il 13
aprile 1692, prese possesso della Basilica Lateranense.
Si
mostrò di inesauribile carità e di costumi purissimi, dedicandosi con
grande cura al miglioramento morale e materiale dei sudditi, dando
grande sviluppo all’Ospizio di San Michele, dove erano accolti ed
istruiti i giovani poveri e destinando il Palazzo Lateranense agli
invalidi al lavoro. Riordinò l’amministrazione e ridusse le spese di
corte, riunì tutti i tribunali nel Palazzo di Montecitorio, la Curia
Innocenziana e promosse lo sviluppo delle missioni di Propaganda
Fide in America, Persia e Cina.
Nella lieta ricorrenza del venticinquesimo anno del suo ingresso
nella Cappella Pontificia, Don Gregorio fu giubilato, cioè cessò
dal servizio, conservando comunque a vita, secondo un antico privilegio
dei Cantori, l’emolumento mensile.
Il
Diario Sistino, alla data del 12 dicembre 1697, così registrava:
"In questo giorno il S.r D. Gregorio de’ Giudici da
Ceccano compì gl’anni 25 di servitio nella Cappella Pontificia in
conformità della Bolla di Papa Sisto Quinto, essendo stato il S.r D.
Gregorio de’ Giudici puntuale nel servire la Cappella, e fece li
soliti complimenti al Collegio"
(62).
Nelle verbalizzazioni cronologiche dei Diari Sistini sono
registrate alcune celebrazioni solenni nelle quali Don Gregorio de
Giudici ebbe un ruolo significativo fra i solisti del Collegio dei
Cantori Pontificio.
Il
15 aprile 1677, la sera di Giovedì Santo, nella Cappella Sistina in
Vaticano, presente Papa Innocenzo XI ed il Sacro Collegio, venne cantato
il Mattutino. Dopo la Prima Lamentazione del Profeta
Geremia, in Canto Figurato di Giovanni Pierluigi da Palestrina a
4 voci, Don Gregorio de Giudici, basso e Raffaele Raffaelli, soprano,
cantarono il famoso versetto Jerusalem, Jerusalem, convertere ad
Dominum Deum tuum.
Seguirono
la Seconda Lamentazione in Canto Piano e la Terza
Lamentazione in Canto Piano, interpretata dal celebre cantore
contralto Siface.
Subito
dopo, a Don Gregorio venne affidata la Prima Lezione del
Secondo Notturno, "Protexisti me, Deus" (IV
Lectio del Mattutino) (63).
Il
30 marzo 1684, la sera del Giovedì Santo, Cappella Papale nella
Cappella Sistina in Vaticano, il Cardinale Decio Azzolini celebrò l’Offitio
di Mattutino. Dopo la Lamentazione del Primo Notturno,
in Canto Figurato del Palestrina, la Seconda e la Terza
Lamentazione in Canto Plano, Don Gregorio cantò la Prima
Lezione del III Notturno (Lectio VII, De Epistola Beati
Pauli Apostoli ad Hebraeos “Festinemus ingredi in illam requiem”)
(64).
L’11
aprile 1686, la sera del Giovedì Santo, il Cardinale Decio Azzolini
cantò l’Officio di Mattutino, assente il Sommo
Pontefice, alla presenza del Sacro Collegio.
Prima
Lamentazione - Primo
Notturno in Canto Figurato a 4 voci
Giuseppe
Vecchi - Francesco Fabrini
Raffaele
Raffaelli - Giovanni Carlo Anatò
Ad
Hierusalem
R.
D. Gregorio de Iudicibus
Lamentationes
in Canto Plano
Raffaele
Panuntio
Giovanni
Carlo Anatò
Ad
Lectiones 2 Nocturno
Raffaele
Raffaelli
Giovanni
Battista Felici
Giovanni
Antonio Ceva
Ad
Lectiones 3 Nocturno
R.D.
Gregorio de Iudicibus
Giovanni
Matteo Leopardi
Francesco
Fabrini (65).
Nei
primi anni del suo servizio nella Cappella Pontificia, Don Gregorio, in
ossequio alle prescrizioni delle Costituzioni del Collegio dei
Cantori Pontifici, cantò solennemente le Lettioni de Morti, nei Tre
Notturni, nel Mattutino e Laude de Morti, la sera del
1 novembre di ogni anno e le Profetie la mattina del
Sabato Santo. Ognuna delle nove Lettioni de Morti e delle
dodici Profetie era affidata ad un cantore, secondo un ordine
prestabilito, iniziando dal novizio, cioè dall’ultimo entrato
a far parte del Collegio.
Ad
esempio, il 1 aprile 1684, nella Cappella Papale del Sabato Santo,
tenutasi nella Cappella Sistina, dopo il canto dell’Exultet e
la benedizione del Cero Pasquale, Don Gregorio cantò la decima Profetia,
nella quale si esalta la misericordia del Signore, operata per mezzo del
Profeta Giona, in favore del popolo della città di Ninive (66). E due
anni dopo, sempre nella Cappella Papale del Sabato Santo, a Don Gregorio
venne affidata la stessa X Profetia del Profeta Giona (67).
Alcune
interessanti notizie sugli anni di attività di Don Gregorio sono
ugualmente registrate nei Diari Sistini.
La
mattina della festività dell’Epifania del 1682, il Maestro della
Cappella Pontificia Giuseppe Toci, lesse al Collegio dei Cantori un
Memoriale di Don Gregorio de Giudici, nel quale il cantore chiedeva al
Cardinale Protettore un periodo di licenza per recarsi nella sua
cittadina natale. Il Collegio, chiamato dal Cardinale Protettore a
decidere in merito, accordò la licenza a Don Gregorio, obbligandolo però
a rientrare in servizio "alla Capp.a della Purificatione
Capp.a importan.ma ove si và a baciar li S.ti Piedi del Sommo Pontefice
à prender la Candela Benedetta" (68).
Don Gregorio ebbe a
soffrire alla fine del 1696 gravi problemi di salute e durante la Santa
Messa del 23 dicembre di quell’anno, fu costretto a partire "dal
Coro dopo l’Offertorio per non poter stare in piedi per una
indisposizione di una gamba" (69).
Dal ricchissimo repertorio del Collegio, i Cantori della Cappella
Pontificia amavano trarre con grande varietà le messe composte dai
migliori maestri, che eseguivano nel corso delle cappelle papali, a
seconda della solennità, del tempo liturgico e
della festività del giorno. Da una analisi dei Diari Sistini
emerge che la messa più amata ed eseguita dai Cantori negli anni in cui
Don Gregorio fu membro del Collegio, fu, certamente, la celeberrima Missa
Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina.
A titolo di esempio, seguono alcuni dati registrati dal Diario
Sistino del 1680:
6 gennaio,
sabato: Festa dell’Epifania Cappella Papale
nella Basilica di San Pietro, Santa Messa cantata dal Cardinale Cibo. I
Cantori Pontifici cantarono la Missa Papae Marcelli ed il
Mottetto Surge illuminare Hyerusalem di Palestrina.
18 gennaio,
giovedì: Festa della Cattedra di San Pietro,
venne eseguita la Messa Sacerdos et Pontifex ed il Mottetto Tu
es Petrus di Palestrina.
2 febbraio,
venerdì: Cappella Papale della Purificazione
della Beatissima Vergine Maria, alla presenza del Sommo Pontefice
Innocenzo XI, venne eseguita la Messa Vidi turbam magnam di
Gregorio Allegri ed il Mottetto Accepit Lumen di Palestrina (70).
Nel novero dei mottetti più amati, che ricorrono spesso nelle
esecuzioni di quegli anni, si segnalano Hodie nobis caelorum Rex
di Giovanni Maria Nanino, per la Cappella Papale di Natale e Christus
resurgens di Felice Anerio per la Cappella Papale di Pasqua.
Fra gli illustri cantori della Cappella Pontificia che furono
colleghi carissimi di Don Gregorio, ricordiamo alcuni nomi:
-
Giovanni Francesco Grossi, detto Siface,
contralto, ammirato per la dolcezza e la soavità del canto, reputato
come uno dei migliori cantanti d’Europa. Nato il 12 febbraio 1653 a
Chiesina Uzzanese di Pescia, in Provincia di Pistoia, fu discepolo di
Tommaso Redi a Loreto. Nella sua prima apparizione teatrale a Roma
interpretò il ruolo di Siface nel dramma per musica Scipione
l’Africano libretto di N. Miniato e musica di Francesco Cavalli,
da cui ebbe il soprannome che lo rese celebre. Musico della Regina di
Svezia e del Cardinale Francesco Maidalchini, fu interprete di numerosi
drammi sacri nell’Oratorio del Santissimo Crocifisso di San Marcello
al Corso. Membro della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, il 14
ottobre 1674 entrò a far parte, insieme ad alcuni musici della Cappella
Pontificia, dell’Arciconfraternita delle SS. Stimmate di San
Francesco. Fu ammesso nella Cappella Pontificia il 10 aprile 1675, come
soprano soprannumerario su diretta concessione del Pontefice Clemente X
e fu il primo contralto ad entrare nel Collegio come soprano. Il 5
settembre 1677 rinunciò al suo posto e continuò con memorabili
successi la carriera di teatro, fino alla sua morte, avvenuta nel 1697,
per mano di due sicari che lo assassinarono crudelmente, sembra per
conto di una nobile famiglia bolognese. Dopo i funerali, venne sepolto
nella Chiesa di San Paolo a Ferrara.
-
Andrea Adami, da Bolsena, soprano, ammesso nella
Cappella il 13 ottobre 1690, virtuoso del Cardinale Pietro Ottoboni,
Pastore Arcade e Beneficiato di Santa Maria Maggiore, autore di una
preziosa opera sul Collegio dei Cantori Pontifici, nella quale, a pag.
211, ricorda Don Gregorio de’ Giudici da Ceccano.
-
Matteo
Simonelli, romano, contralto, ammesso il 15
dicembre 1662, maestro tra gli altri di Arcangelo Corelli, autore di
molte importanti composizioni utilizzate dal Collegio, fra cui la
bellissima Sequenza cantata nel giorno di Pasqua.
-
Antimo Liberati, di Foligno,
contralto, ammesso il 29
novembre 1661, discepolo di Orazio Benevoli, compositore e celebre
teorico musicale.
-
Don Domenico del
Pane, soprano e compositore, Giuseppe
Fede da Pistoia, soprano, Raffaele Raffaelli da Montefiascone, soprano,
Giuseppe Ceccarelli da Rieti, soprano, tutti legati all’ambiente
aristocratico ed alla corte della Regina Cristina di
Svezia.
Anche due ciociari entrarono in Cappella negli anni in cui Don
Gregorio fece parte del Collegio: Giovanni Battista Felici di
Sora,
basso, ammesso nel 1675 e Giuseppe Antonio Jacobelli di Casalvieri,
contralto, ammesso nel 1693.
|

1)
Enciclopedia Cattolica, voce Cappella Musicale Pontificia
(di Luisa Cervelli), Vol., Città del Vaticano 19, coll. 700-702;
NICCOLO’ DEL RE, Mondo Vaticano, voce Cappella Musicale
Pontificia (di M. Ilari), Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1995, pagg. 200-205.
2) ANDREA ADAMI, detto il Bolsena,
Osservazioni per ben
regolare il Coro de i Cantori della Cappella Pontificia,
riproduzione anastatica dell’edizione stampata a Roma da Antonio de
Rossi nel 1711, a cura di Giancarlo Rostirolla, Libreria Musicale
Italiana Editrice, Lucca 1988, pag. XIV.
3)
Ibidem, pag. XVIII.
4)
GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica,
voce Cantori Pontifici, Vol. VII, in Venezia, dalla Tipografia
Emiliana, MDCCCXLI, pag. 27
5)
Ibidem, pag. 39.
6)
Ibidem, pagg. 36-37.
7)
Ibidem, pag. 27
8) ENRICO
CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia
nei secoli XVII e XVIII, Fratelli Bocca Torino, 1909, pag. 83.
9)
MATTEO FORNARI Narrazione Istorica / Dell’origine, progressi, e
Privilegi / Della Pontificia Cappella / Con la Serie degl’Antichi
Maestri, e Cardinali Protettori / col Catalogo de Cantori della Medesima
/ Formato da Matteo Fornari / Cantore dell’istessa Cappella / L’Anno
1749 / sotto il glorioso Pontificato del / Regnante Sommo Pontefice
Benedetto XIV, manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di
Roma, citato da Enrico Celani, pag. 84.
10)
Idem.
11)
GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica,
voce Famiglia Pontificia, Vol. XXIII, in Venezia, dalla
Tipografia Emiliana, MDCCCXLIII, pag. 29.
12)
Ibidem, pag. 30
13) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina,
Diario Sistino n. 85, anno 1668, cc. 16v. e 17r
14) Ibidem, Diario Sistino n. 88, anno 1670,
cc. 14v e
15r.
15)
Ibidem, Diario Sistino n. 90, anno 1672, c. 19v. GIANCARLO ROSTIROLLA, La
musica nelle istituzioni religiose romane al tempo di Stradella, in Chigiana,
Firenze Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXIX, pagg. 743-744.
16)
ENRICO CELANI, op. cit., pag. 64.
17)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 90,
anno 1672, cc. 19v e 20r.
18)
Ibidem, Diario Sistino n. 92, anno 1674, cc. 74-75.
19)
Ibidem, Diario Sistino n. 93, anno 1675, cc. 95-99. Sul Giubileo del
Collegio si veda c. 84.
20) Idem, c. 98.
21) Idem, c. 99.
22)
Ibidem, Diario Sistino n. 95, anno 1676, c. 19v.
23)
Ibidem, Diario Sistino n. 100, anno 1681, c. 45r. Per gli emolumenti
attribuiti a Don Gregorio in questa occasione si veda c. 45v.
24)
Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, cc. 41, 46, 53-54.
25)
Ibidem, Diario Sistino n. 101, anno 1682, cc. 54 r et v e 55 r.
26)
Ibidem, Diario Sistino n. 102, anno 1683, c.38v.
27)
Idem, cc. 38v e 39r.
28) Idem, c. 41r.
29) Idem, c. 39v.
30)
Ibidem, Diario Sistino n. 104, anno 1685, c. 29.
31)
Idem, c. 33.
32)
Ibidem, Diario Sistino n. 105, anno 1686, c. 48.
33) Idem.
34) Idem, c. 51.
35) Idem.
36) Idem, c. 37v.
37)
Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, c. 60.
38)
Idem, c. 62.
39)
Ibidem, Diario Sistino n. 108, anno 1689, c. 138.
40) Idem, c. 140.
41) Idem,
cc. 235-236.
42) Idem, c. 237.
43) Idem,
cc. 239-240.
44) Idem, c. 240.
45) Idem, 229.
46)
Ibidem, c. 348.
47)
ENRICO CELANI, op. cit., pag. 72.
48)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109,
anno 1690, c. 74.
49)
Idem, cc. 72-73.
50)
ANDREA ADAMI, detto il Bolsena, op. cit., pag. 38.
51)
Ibidem, pag. 44.
52)
Ibidem, pag. 101.
53)
Ibidem, pag. 65.
54)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109,
anno 1690, cc. 50v-52v.
55)
Idem, c. 51v.
56)
Idem, c. 52v.
57)
JOSEPHUS LLORENS, Capellae Sixtinae Codices, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960, pag. 141, n. 89.
58)
Idem.
59)
Ibidem, Diario Sistino n. 110, anno 1691, cc. 31 r et v.
60)
Idem, c. 74r.
61)
Idem, c. 74v.
62) Ibidem, Diario n. 116, anno 1697, c. 129 r et v.
63)
Ibidem, Diario n. 96, anno 1677, cc. 18 r et v.
64)
Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 9v.
65)
Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 15r.
66)
Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 12r.
67)
Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 17r.
68)
Ibidem, Diario n. 101, cc. 13 r et v.
69)
Ibidem, Diario n. 115, anno 1696, cc. 211-212.
70)
Ibidem, Diario n. 99, anno 1680, cc. 1v, 4r e 6r.
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