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CANTORE
        E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIAALLA
        FINE DEL XVII SECOLO  
           
        A causa della completa dispersione dei documenti privati di Casa Giudici
        non ci era noto alcuno scritto autografo inviata da Don Gregorio ai suoi
        familiari in Ceccano. Nella
        meticolosa verifica della documentazione conservata nell’Archivio
        Notarile di Ceccano, l’autore della presente memoria biografica ha
        avuto modo di rinvenire, il 23 dicembre 2004, una preziosa lettera
        autografa di Don Gregorio al fratello Federico, inserita tra i fogli
        della terza di copertina rilegata di un Protocollo notarile.  Il
        testo risale al primo periodo di presenza di Don Gregorio a Roma ed è
        particolarmente interessante sotto molti aspetti, poiché ci rivela la
        forte personalità del giovane sacerdote e traduce bene i sentimenti, le
        ansie e le difficoltà che egli viveva in quel momento. Da
        un lato traspaiono le preoccupazioni per le spese che è costretto a
        sostenere a causa del suo stato, ma dall’altro si coglie, immediata e
        viva, la grande forza d’animo e la notevole determinazione che lo
        animavano a proseguire nella strada intrapresa, al fine di conseguire
        grandi traguardi artistici nelle istituzioni musicali della Città
        Eterna. Ugualmente
        emblematica si rivela la dichiarazione secondo cui egli non teme un
        contrasto con il Vescovo di Ferentino, in quanto è sicuro del fatto suo
        e delle proprie ragioni, convinto di riuscire, ben presto, a far
        ricredere il prelato.  Il
        tono nei confronti del fratello Federico è davvero affettuoso,
        familiare e pieno di umanità, a riprova di un saldissimo vincolo che da
        sempre li univa. E pur nelle difficoltà incontrate in questo primo
        periodo di residenza a Roma, Don Gregorio non cessa di inviare a Ceccano
        alcune pietanze e primizie di ortaggi, certamente non comuni nel mercato
        locale. Sempre
        dalla lettera apprendiamo che per qualche tempo l’amatissimo nipote
        Salvatore, figlio di Federico, fu al fianco di Don Gregorio a Roma.   "Sig.re
        fra.llo Cariss.mo   Sappia
        V.S. come molti giorni sono che uscii da S. Angelo perché m’accorgeva
        non so che da alcuni canonici, q.li avevano poco gusto che servisse et
        io pigliai questo mezzo termine di pigliarmi licenza p.a che me fusse
        data, ritrovandomi poi asciutto di borsa è senza pane, per avermi
        compro un feraiolo con sottana è calzoni, che per pigliare quest’ 
        ne fui forzato vendere un caldarello ch’haveva con un tavolino
        è cinque sgabelli per fare il fatto mio che q.a carta pecora me costa
        giuly trentasette è per finire il mio intento quando non sapessi altro
        modo di fare voglio vendermi il letto con le camiscie che altro non hò
        che sia mio. Vi mando Salvatore acciò non è habbiamo à perdere tutti
        doi. V.S. veda di farmi presentare le copie dell’acclusa una à Monsig.re
        e’ finale è l’altra alla parte per adesso hò data sicurta di 50
        scudi avanti l’A. della C. dove me sono costituito et ho tutta Roma c.
        carcere p.o. V.S. veda di farla quanto più presto pole con la referenda
        del mandatario con l’autentica della Com.ta col sigillo. Parli con il
        Sig.re Medico, che si facci restituire le fedi q.li gli le mandai per
        difendermi avanti Monsig.re e q.do non si potessero havere ne facci fare
        un’altra dal Cancelliere de Pofi che adesso voglio in ogni modo
        finirla è non mi curo che il vescovo me resti inimico perche mi
        prenderò d’altro maniere è ricuperarò la Cavalcata. Li mando li
        scafi è piselli q.li avevo compro dal p.° mercato di quaresima. Mi
        compatisca se rimando Salvatore che non ne posso far di meno che non me
        basta l’animo à campare me solo che q.do ce fosse stato altro ripiego
        se saria potuto stare. So che dirli solo se ricorda che li son fra.llo
        che q.do non se voglia pigliare q.o impiccio lei rimandi l’hinibitione
        indietro. Con che me li ricomando. Roma 5 marzo 1665 Di
        V.S. Molt’Ill.e   Aff.mo
        fra.llo      
        Gregorio de Giudici" (1).   Nella
        miscellanea delle copie dei documenti notarili di Federico de Giudici,
        oltre al frammento del Testamento della madre Donna Divitia Poti e ad
        una lettera di Salvatore,  figlio
        del notaio, si conserva una lettera dello stesso Federico indirizzata a
        Roma al fratello Don Gregorio e non più spedita. La
        missiva contiene alcuni particolari gustosi sui regolari invii di
        pietanze ed altri beni a cui provvedeva Don Gregorio da Roma: infatti
        Federico cita, con accenti davvero curiosi e un poco spiritosi "le
        dulci papaline" e i "doi
        Coppiettoni". Con
        lo stesso tono confidenziale, sinceramente affettuoso e non senza elogi
        e ringraziamenti molto ossequiosi, Federico formula al fratello l’ulteriore
        richiesta di un paio di calzoni. Nella
        parte finale, gli affetti familiari hanno di nuovo il sopravvento e
        Federico, riconoscendo, con un pizzico di galanteria, che Don Gregorio
        è il vero e proprio punto di riferimento per tutta Casa de Giudici,
        saluta a nome dell’intera Famiglia il fratello, citando anche il
        piccolo pronipote Fabio, assicurando che tutti sono in dolce attesa del
        prossimo ritorno di Don Gregorio a Ceccano, previsto per l’autunno
        dello stesso anno, quando, allo scadere dei venticinque anni di servizio
        nella Cappella Sistina, egli sarebbe stato giubilato e posto in
        pensione. Fra
        queste righe commoventi, di profondo affetto familiare e di intima
        unione dei cuori, nulla lascia presagire la serie di lutti familiari che
        nel giro di pochi mesi, si sarebbe abbattuta sulla Famiglia de Giudici,
        con la scomparsa durante l’estate di Federico e del figlio Salvatore e
        nel dicembre dello stesso Don Gregorio.   "Al
        m.o Ill.re e m.o R.do Sig.re sig.r mio pro.n          
        Sing.mo Il Sig.r Don Gio. Gregorio de                                
        Gregorio de Giudici Mu-                                              
        sico di Cappella                                                      Roma   M.
        Ill.re e M.o Rev.do Sig.r fr.ello Car.mo   In
        no.e tuo D.ne, dicio Retia. Rendo gratie à Dio prima, è poi à V.S
        come mio Benefattore. Godo assai delle cose dulci papaline mandatemi
        q.le ne resto tenuto alla sua cortese natura delli doi Coppiettoni, in
        Casa non s’e assaggiato, dubitando non essere in q.lli qualche
        Geroglifico alla sua usanza ridicolosa; solo io sono stato il Goloso che
        parte m’ho posta colla carne fresca allessa, e mi piacque per li
        condimenti d’aglio Coriandoli. Il neg.o dello Spetiale, lo dirrà
        meglio Salvatore à bocca à chi mi rimetto. Mi trovo sensa Calzoni, se
        V.S. avesse qualche paro usati l’havvrei di bisogno. Per mezzo di
        questi miei caratteri primitivi tesso la rete in nome del S. Dio, et ad
        esso li dedico, e poi alla sua natura come mio sollecitatore, e bussola
        nel mare della sua benevolenza. Del resto poi tutti di Casa la
        riveriscono, e Fabbio suo pronepote e sua madre e ci pare a tutti mill’anni
        di rivederla con salute e li bagio le mani Ceccano
        2 Giugno 1697   Di
        V.S. m.t’Ill.re e m.to R.da   Aff.mo
        fr.llo      Federico de Giudici" (2).         
        Con testamento rogato dal Notaio Carlo Almerici di Ceccano il 29
        giugno 1681, l’Illustrissima “Virgo”  Donna Anna de
        Judicibus, figlia del Capitano Salvatore, nubile, disponeva dei suoi
        beni in favore dei nipoti Filippo e Salvatore, figli del fratello
        Federico (3). Innanzitutto
        affidava la sua Anima come parte più nobile, alla Santissima Trinità,
        alla Santissima Madre di Dio e a tutta la Curia Celeste e disponeva come
        luogo di  sepoltura del suo
        corpo nella tomba di famiglia posta nella Cappella dedicata a San Carlo
        Borromeo nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista in Ceccano. Donna
        Anna istituiva un legato di scudi dieci per la celebrazione nella
        suddetta Chiesa di un Anniversario perpetuo all’anno; infine disponeva
        a carico dei suoi eredi la celebrazione in suffragio della sua anima
        delle Sante Messe di San
        Gregorio Magno, cioè di un ciclo delle trenta Sante Messe
        Gregoriane. L’atto
        venne rogato in Ceccano, nell’abitazione della Famiglia de Giudici,
        sita in Piazza, dove la testatrice giaceva malata, alla presenza dei
        testimoni Marco Antonio Stella, Cesare Cristofanilli, Pompeo Giovannone,
        Domenico Varnesio di Firenze, Rosato Giovannone, Antonio Del Brocco
        figlio di Pietro e Nicola Santarella. L’anno
        successivo, il 27 ottobre 1682, il Molto Illustre Federico de Giudici ed
        il Molto Illustre e Molto Reverendo Don Gregorio de Giudici, in piena
        concordia e come buoni ed affezionati fratelli, sancirono la divisione
        dei beni ereditari paterni e materni, secondo quanto stabilito con una
        loro nota scritta, consegnata al Notaio Carlo Almerici. Riproducendo
        nei Capitoli le prescrizioni redatte dai due fratelli, il Notaio
        Almerici elencava i beni paterni, divisi in tre parti:   "P.a
        Parte - La Sala della Casa sopra la loggia della Com.tà con la Camera
        contigua sopra d.a loggia sino al tetto che hà l’entrata dalla piazza
        publica per le scale.   2.a
        Parte - La Salotta detta la Cam.a dell’Apostoli con la Camera
        contigua, è Camerino a mani manca nell’entrare, che corrisponde all’uno
        ell’altro alla Stretta di Criscio sino al tetto con la mede.me
        entrata.   3.a
        Parte - Camerone a basso, con il Camerino contiguo à lato sopra la
        Stretta di Criscio con l’ingresso nella strada pub.a confinante da
        lato con la loggia della Com.tà, e le finestre sono corrispondente alla
        Stretta di Criscio, con le due Cantine di sotto d.o Cammerone, è loggia
        della Com.tà" (4).         
        Federico, tanto in nome proprio, che in quello dei figli
        Salvatore e Filippo (eredi universali di Donna Anna de Giudici, la
        quale, come figlia del Capitan Salvatore aveva diritto alla terza parte
        dei beni paterni) riceveva ed acquisiva pienamente la Prima  e la Seconda
        Parte  della eredità paterna.       
        Don Gregorio a sua volta, riceveva ed accettava la Terza Parte.       
        Sempre a Federico venivano assegnati tutti gli altri beni dell’eredità
        paterna, fra cui la Casa o Stallone in Contrada l’Hostaria.        
        Per quanto riguarda l’eredità materna, a Federico erano
        assegnati e consegnati i seguenti beni:  "1
        Casa e Casaleno in c.ta le Noce dorante, con un tomolo e mezzo di terra.      2
        Posess.e in c.ta la Fontana del Tufo, di cap.tà tomoli doi.      3
        Posess.e in c.ta il Cerello di cap.tà di tomoli quattro      4
        Posess.e in c.ta il Colle s.to Sebastiano di cap.tà di tomoli dieci      5
        Posess.e in c.ta il Castellone di cap.tà tomoli dieci      6
        Posess.e al Colle Cardarillo di cap.tà tomoli sei      7
        Posess.e in c.ta l’Olivella di cap.tà tomoli tre      8
        Posess.e in c.ta Calabretto di cap.tà di un rubbio      9
        Canavina in c.ta la Riccolta di cap.tà tomolo uno e mezzo 10  Mezza
        falce di Prato in c.ta Calabretto 11  Prato
        in d.a c.ta di cap.tà di due falce 12  Prato
        di una falce in d.a c.ta indiviso con la Sig.ra Elisabetta Poti 13  Prato
        di mezza falce da capo a Calabretto 14  Posess.e
        alli Caldarari di cap.tà di tre tomoli 15  Posess.e
        alla Valle del Sorbo di cap.tà di un tomolo 16  Posess.e
        selvata, in c.ta la Selvotta di cap.tà di doi tomoli 17  Posess.e
        alli fragati cap.tà di tomoli doi 18  Posess.e
        in c.ta le Mentella di cap.tà tomoli quattro 19  Posess.e
        in c.ta La Valle di Rovagno di cap.tà di coppe doi 20  Posess.e
        in c.ta La Vigna di Pom.o Colap.e di cap.tà tomolo mezzo 21  Colle
        in c.ta le pantane di Casa Marciano di cap.tà di doi tomoli e mezzo 22  Posess.e
        in c.ta la Selvotta della volta cap.tà tomolo uno 23
        Posess.e in c.ta il Vado di cap.tà di doi tomoli e mezzo (una parte di
        d.a posess.e fù donata al S. Federico dal q. Ab.te Matthia Saltasbarre). 24  Posess.e
        in c.ta il Vado di cap.tà tomoli uno e mezzo 25  Castagneto
        in c.ta Campanaro di cap.tà mezzo tomolo 26  Posess.e
        seu Rimata sop.a la Vigna che era della Corte cambiata con una poss.e di
        Castagne in c.ta S. Martino Casaleno
        posto dentro la Terra di Ceccano in c.ta il Montano ...   Et
        all’incontro d.o Sig.r Federico da asegna e consegna al Sig.r D.
        Gregorio Giudici suo fr.ello p.nte per la donatione fatta dalla q.
        Divitia loro ma.re ad titulum Patrimonii l’infra.tti beni   Arboreto
        in c.ta la Fontana Vecchia di cap.tà tomoli quattro   Posess.e
        in c.ta la Madonna della Pace vignata e non vignata di cap.tà tomoli
        tre   Casa
        dentro di Ceccano e proprio quella era di M.r Fabio Poti in c.ta la
        Piazza di doi membri confina con li Sig.ri Saltasbarre la strada et
        entrata davanti e li beni Paterni" (5).         
        Dopo aver confermato che tale divisione avveniva vicendevolmente
        per amore fraterno "ad invicem ob fraternum amorem", il
        Notaio Almerici precisava che l’atto era stato rogato in Casa di Don
        Gregorio, alla presenza dei Signori testimoni il Capitano Giovanni
        Battista Angeletti e Francesco Sforza del fu Erasmo.         
        In due atti notarili del Notaio
        Carlo Americi, alcune personalità di Ceccano furono chiamate a rendere
        testimonianza sulla piena proprietà vantata da Don Greogrio su una
        Selva sita in Ceccano in Contrada Le Farneta.          
        Nel primo, rogato in data 14
        febbraio 1680, era comparso il Signor Carlo Colapietro del fu Pompeo, di
        anni sessantacinque, chiamato a rendere la sua testimonianza di fronte
        al Notaio Almerici. Nel
        testo dell’atto così esordiva il notaio: "Ex.s
        fuit per me D. Carolus q. Pompei Colapietro ad instam et requisitione
        per Ill.ri et Ad.m R.D. Gregorii de Judicibus ad perpetua rei memoriam".
        E il teste, dopo aver reso il giuramento "de
        veritate", depose: "dico
        e depongo per la verità come conobbi la q.d. Divita Poti mentre fù al
        mondo la quale possedeva dentro è fuori la Terra di Ceccano oltre la
        sua dote di beni stabili, in particolare una Selva in c.ta le Farneta,
        quale selva assieme con gli altri beni, è dopo la morte di d.a q.
        d.Divitia continuò a possedere il S.re D. Gregorio de Giudici fig.o di
        essa q. Divitia, il quale si ordinò in Sacris, sapendo queste cose per
        essere miei Parenti, et ho veduto tanto d.a q. Divitia qu.to d.o Seg.re
        D. Gregorio dopo la morte di sua madre possedere d.i. beni, e specialm.te
        d.a Selva, facendo tutti quegli atti posessorii che fanno li veri Pr.oni
        con andarci, starvi, tagliare arbori, ricorre frutti, et altro che
        stavano in d.i beni per averlo io veduto, è per essere publica voce e
        fama, e pub.o e notorio a tutti non solo delle cose sudette che d.o S.re
        D. Gregorio possede dopo la morte di sua madre tra li altri beni per le
        cause sudette mà d.o S.r D. Gregorio si ordinò in Sacris con d.i beni
        e specialm.te con d.a Selva, del che come ne fù et è pub.a voce e fama
        e pubblico, e notorio a tutti quali la conoscevano per il nostro Paese"
        (6). L’atto
        venne rogato a Ceccano, nella casa di Federico de Giudici, alla presenza
        dei testimoni Mastri Cataldo Guerrieri e Francesco Gallucci,
        fabrilegnari. Nel
        secondo atto fu presente e si costituì il Signor Capitano Ambrogio
        Colone del fu Pietro, di anni settantacinque, il quale, esaminato
        ritualmente dal Notaio depose negli stessi termini del Colapietro,
        precisando di aver conosciuto Donna Divitia Poti, sapendola
        proprietaria, fra gli altri beni, di una Selva in Contrada Le Farneta.
        Tale selva, assieme ad alcuni possedimenti, venne ereditata da suo
        figlio Don Gregorio de Giudici "con li quali si ordinò in
        Sacris". Il Capitano Ambrogio Colone concludeva assicurando che a
        Ceccano era pubblicamente riconosciuto da tutti che tale Selva,
        appartenuta prima a Donna Divitia, attualmente faceva parte del
        patrimonio di Don Gregorio suo figlio. Anche questo atto fu rogato nella
        casa di Federico de Giudici, alla presenza degli stessi testimoni (7).           
        Con atto del Notaio Nicola de
        Ambrosi di Ceccano, del 20 agosto 1682, il "PerIll.i et Ad.m
        Rev.o D.no Gregorio de Judicibus" acquistava un Casaleno con orto in
        Contrada l’Hostaria per il prezzo di scudi quattro dal Signor Giovanni
        Battista Betti di Sgurgola (8).
        Per la stipula di questo atto, il Signor Betti aveva inviato da Roma una
        lettera circostanziata a Federico de Giudici, datata 23 luglio 1682,
        nella quale assicurava di aver già ricevuto a Roma da Don Gregorio la
        somma di quattro scudi e che, pertanto, suo fratello, il Signor Giovanni
        Felice Betti, era autorizzato e delegato a stipulare in sua vece l’atto
        di vendita. Dopo aver riportato integralmente la lettera, l’atto
        notarile precisava che a Sgurgola, in Piazza San Sebastiano, il Signor
        Giovanni Felice Betti, con le facoltà conferitegli, aveva proceduto
        alla vendita del casaleno ed orto, alla presenza dei testimoni Vincenzo
        Gentile e Horatio Rozzi di Sgurgola.            
        Nove anni dopo, Don Gregorio
        procedeva ad un nuovo acquisto di terreno a Ceccano, confermando così
        la sua viva predilezione per la cittadina natale. Con
        atto del Notaio Federico de Giudici del 12 ottobre 1691, Ginepra, figlia
        del fu Carlo Salvatori di Arnara e moglie di Salvatore Bartoli di
        Giovanni Antonio, vendeva a Don Gregorio, personalmente presente, un suo
        terreno dotale sito in Contrada detta il Velluccio della capacità di
        due tomoli per il prezzo di scudi romani tre (9).
        L’atto venne rogato in casa del Notaio Federico, alla presenza dei
        testimoni Mastro Giuseppe Olmetti, Achille Britio e Pasquale Pizzuti.            
        Il 25 settembre 1697, con atto del
        Notaio Carlo Almerici, Don Gregorio, personalmente presente, provvedeva
        alla estinzione di un censo di 100 scudi imposto da  Federico e Salvatore (rispettivamente suo fratello e nipote)
        alcuni anni prima sui loro beni, in favore del Signor Bartolomeo
        Bonanome (10). Sono
        testimoni dell’atto il Rev. ed il Signor Angelo Ludovisi di San
        Lorenzo. Probabilmente a causa della morte del fratello Federico e del
        nipote Salvatore, avvenuta pochi giorni prima della stipula di quest’atto,
        Don Gregorio dovette anticipare il suo rientro a Ceccano, previsto per
        la fine dell’anno.       
        Negli anni successivi alla sua morte, Don Gregorio è citato in
        qualche atto notarile riguardante i suoi eredi, Fabio e Federico de
        Giudici. In
        un documento del 4 ottobre 1703, rogato dal Notaio Giovanni Benvenuti di
        Frosinone, Giovanni Pietro Capuano riconosce un Censo di dodici scudi in
        favore di Don Gregorio de Giudici, imposto con atto rogato a Roma, su
        una nuova vigna di proprietà del Capuano sita in Contrada Vitoschi a
        Ceccano (11).
        Testimoni dell’atto rogato in Ceccano, sono Lorenzo figlio di Carlo
        Colapietro e Giuseppe figlio di Valerio Masi.          
        Dopo la morte di Don Gregorio, il
        Signor Giovanni Pietro Paterni e Don Giuseppe Paterni rivestirono le
        qualità legali di tutori dei suoi pronipoti, Fabio e Federico de
        Giudici, minori d’età.    
          
          
            
              | 
     1)
        Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
        Notaio Federico de Judicibus, Faldone 80, Prot. 200, foglio inserito
        nella terza di copertina.   2) Ibidem, Faldone 77,
        cc. 96 r et v.
        
          
        
         3)
        Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 95, Prot. 249, cc. 80 r
        et v.   4) Ibidem, c. 114 r.
        
          
        
         5)
        Ibidem, cc. 114v-116v.
        
          
        
         6) Ibidem, c. 45r.
        
          
        
         7) Ibidem, c. 47r.
        
          
        
         8)
        Ibidem, Atti del Notaio Nicola de Ambrosi, Faldone 99, Prot. 263, cc.
        13v-15r.   9)
        Ibidem, Atti del Notaio Federico de Judicibus, Faldone 81, Prot. 203, c.
        36v-37r.   10)
        Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 98, Prot. 258, cc. 53r
        et v.   11)
        Ibidem, Atti del Notaio Giovanni Benvenuti, Faldone 101, Prot. 267, cc.
        270 r et v.  |      
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