
CANTORE
E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA
ALLA
FINE DEL XVII SECOLO

Nell’anno
1697, tristissimo per la Famiglia de Giudici, in pochi mesi lasciarono
questo mondo il notaio Federico ed il figlio Salvatore, a cui fece
seguito, nel mese di dicembre, la morte di Don Gregorio (1).
Sopraffatto
dal grande dolore per la scomparsa delle persone a lui più care, presso
le quali aveva sperato di chiudere i suoi giorni, Don Gregorio si ammalò
ed al suo capezzale non cessarono di alternarsi parenti, amici ed
estimatori, per ossequiarlo e per informarsi della gravità del male che
si dimostrò subito molto preoccupante. Cosciente della prossima fine, il
18 dicembre 1697, nel Palazzo della Famiglia de Giudici nella
cittadina natale di Ceccano, Don Gregorio rogò il suo testamento
per gli atti del notaio Carlo Almerici (2).
Nel
documento, innanzitutto, implorava la Misericordia Divina e
l’assistenza della Santissima Vergine Maria, Madre di Dio e di tutti
la Chiesa Celeste nella speranza di addormentarsi nel Signore e venir
introdotto nella Gerusalemme Celeste.
Don
Gregorio stabiliva come luogo della sua sepoltura la tomba dei sacerdoti
nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista di Ceccano.
Nella stessa chiesa e precisamente nel sepolcro di famiglia nella
Cappella di San Carlo Borromeo, riposavano già i suoi genitori ed i
parenti più cari.
Fra
le sue prescrizioni testamentarie, nell’atto notarile indicava le due
chiese romane in cui disponeva la celebrazione delle Sante Messe di
suffragio per la sua anima:
"Item
lascia che il p.o mese che vengono in suo potere l’Entrate della
Cappella di Palazzo che sono scudi sedici e baiocchi sessanta sub.o
seguita la sua morte se le facciano celebrare tante Messe per l’Anima
sua tante Messe de defunti nella Città di Roma nella Chiesa di S.to
Bernardo, e nella Chiesa della Mad.a SS.ma del Pianto" (3).
Nella
parte conclusiva del testamento, la lacerazione della carta ha impedito
di conoscere compiutamente le disposizioni relative al suo patrimonio,
attribuito ai suoi nipoti diretti.
Giunta
a Roma la notizia della scomparsa di Don Gregorio avvenuta in Ceccano,
il Collegio dei
Cantori della Cappella Pontificia fece celebrare nella Chiesa di Santa
Maria della Vallicella (conosciuta come la Chiesa Nuova, fatta edificare
da San Filippo Neri) le solenni esequie in suffragio dell’anima del
loro sodale.
Il
Diario Sistino del dicembre 1697 così annotava:
"29
Domenica 30 Lunedì furono fatte l’esequie al q.m D. Gregorio de’
Giudici nostro Compagno nella Chiesa Nuova a hore 16 in punto conforme
l’invito fatto dal Puntatore senza l’intervento de’ Sig.ri Maestri
di cerimonie per non essere stati invitati" (4).
Il
Collegio dei Cantori Pontifici, con questa Santa Messa di suffragio,
volle rendere un ultimo omaggio
alle preziose qualità che avevano adornato l’illustre scomparso,
stimatissimo per il rigore morale e per la sua integrità di vita.
Tutti
i cantori furono presenti nella Chiesa Nuova parata a lutto e, sotto la
guida del Maestro di Cappella, intonarono per il riposo eterno
dell’anima di Don Gregorio le struggenti melodie della Messa da
Requiem.
Venne
scelta la Chiesa Nuova poiché in essa, fin dal 1640 i Cantori Pontifici
avevano eretto il sepolcro per la comune sepoltura di tutti i membri del
Collegio, che si trovava davanti la Cappella di San Filippo Neri, vicino
l’altare dell’Annunciazione ed in cui, fra gli altri, nel febbraio
del 1652, era stato sepolto il celebre Gregorio Allegri.
Sulla
tomba, una lapide in marmo bianco a livello del pavimento, con figure ed
ornati, recava un commovente epitaffio ed un simbolico canone musicale.

Come
ben ricorda Raffaele Casimiri, la carità fraterna del Collegio dei
Cantori Pontifici aveva dettato la significativa iscrizione che chiudeva
la tomba, poiché essi, nel provvedere al comune sepolcro "vollero
affermare la concordia degli animi e l’ardore dell’affetto fraterno,
come concorde fu in vita il loro canto; mentre un canone infinito veniva
inciso là, come un simbolo, a perpetuare per secoli l’eco delle voci
canore" (5).
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1)
L’ultimo documento che attesta la permanenza in vita del
notaio Federico è la lettera datata 2 giugno 1697, indirizzata
al fratello Don Gregorio e rinvenuta fra i suoi documenti
notarili, pubblicata integralmente
nel capitolo successivo, insieme ad altri atti. Sempre in questa
lettera è citato come vivente anche Salvatore. In un atto del
25 settembre dello stesso anno del notaio Carlo Almerici, sia
Federico che il figlio Salvatore risultano deceduti.
Salvatore, morto probabilmente alla fine dell’estate, lasciò
la moglie Giovanna Paterni in attesa del suo secondo figlio, che
nacque poi il 20 aprile 1698 e venne battezzato con i nomi di
Federico, Salvatore e Gregorio in ricordo del padre, del nonno e
dell’illustre prozio.
2)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano,
Atti del Notaio Carlo Almerici, fald. 98,
prot 258, cc. 70 r et v.
3)
Idem, c. 70v.
4)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario n. 116,
1697, c. 134; ENRICO CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia
nei secoli XVII e XVIII, Fratelli Bocca Torino, 1909, pagg. 65;
GIANCARLO ROSTIROLLA, La musica nelle istituzioni religiose
romane al tempo di Stradella, in Chigiana, Firenze Leo S.
Olschki Editore, MCMLXXXIX, pagg. 743-744.
5)
RAFFAELE CASIMIRI, Il Sepolcro dei Cantori Pontifici nella
Chiesa Nuova di Roma, in Note d’Archivio per la Storia
Musicale, Anno III, dicembre 1926, n. 4, pag. 228. |

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