Copia di Clavicembalo tedesco anonimo - inizii XVIII secolo

Suona "Mr. Kelly" live

che si ringrazia infinitamente per la concessione nel sito GFH

Immagine nel quadro:

FRANZ  WERNER VON TAMM (1658 - 1724)
Collezione privata

Qui riportiamo altre informazioni sull'Opera Handeliana

Opera seria in tre atti

Musica di George Frideric Handel, composta nella primavera del 1720

Libretto di Nicola Francesco Haym, da L'amor tirannico, o Zenobia di Domenico Lalli. 

Prima rappresentazione: 27 Aprile 1720, King's Theatre, Haymarket, Londra

Cast della prima:

Radamisto: Margherita Durastanti, soprano 
Zenobia:
Anastasia Robinson, contralto 
Farasmane: Signor Lagarde, basso 
Tiridate: Alexander Gordon, tenore 
Polissena: Ann Turner Robinson, soprano 
Tigrane: Caterina Galerati, soprano 
Fraarte: Benedetto Baldassari, castrato soprano

Orchestra:  
2 trombe, 2 corni, flauto traverso, 2 oboi, 2 fagotti, violino, violoncello, archi e basso continuo.

Note:  
16 rappresentazioni nella stagione.
Handel apportò in seguito una seconda versione dell'opera per un altro cast di cantanti, con Senesino al debutto sulla scena londinese, e con 10 nuove arie, un duetto, un quartetto e alcuni tagli nella partitura, denominata:

 

Prima rappresentazione: 28 Dicembre 1720, King's Theatre, Haymarket, Londra

Cast della prima:

Radamisto: Signor Senesino, castrato contralto  
Zenobia:
Margherita Durastanti, soprano 
Farasmane: Signor Lagarde, basso 
Tiridate:
Giuseppe Maria Boschi, basso 
Polissena: Maddalena Salvai, soprano 

Tigrane: Matteo Berselli, castrato soprano 
Fraarte: Caterina Galerati, soprano 

Orchestra:  
2 trombe, 2 corni, flauto traverso, 2 oboi, fagotto, archi e basso continuo.

Note:
5 rappresentazioni nella stagione.   
Radamisto HWV 12b fu ripreso a Londra nel novembre 1721 e nel gennaio 1728, per altre 11 spettacoli. Nel 1722 ebbe ben 17 rappresentazioni ad Amburgo con il titolo di Zenobia

RADAMISTO è la prima opera di Handel composta per l'Accademia Reale di Musica, compagnia creata nel 1719 da un gruppo di nobili inglesi allo scopo di promuovere l'opera italiana a Londra.

La loro intenzione era quella di ingaggiare i più grandi cantanti, strumentisti e compositori disponibili: dei cachets stravaganti furono offerti ai migliori interpreti d'Italia per attirarli, e come Handel era uno dei compositori dell'Accademia , non è strano che Londra sia stata la capitale musicale dell'Europa negli anni 1720-1730. 

Di ritorno da Dresda (capitale europea dell'opera italiana, accanto a Vienna e Londra) per ingaggiare cantanti, Handel si occupò intensamente dell'Accademia Reale di Musica.
Partecipava a riunioni del consiglio e si incaricava di molti compiti d'impresa (ecco un aspetto di compositore impresario, capace anche di operare scelte che fruttino introiti assecondando i gusti del pubblico).
Tuttavia questo comportava una grossa riduzione del tempo da dedicare alla composizione musicale. E' per questo motivo che la sua nuova opera non fu pronta per la Solenne apertura della prima stagione dell'Accademia, che ebbe luogo il 2 aprile 1720 con l'opera NUMINTORE, su libretto di Rolli, di
Giovanni Porta. Questi, che a quell'epoca era a servizio del duca di Wharton, veniva considerato un buon compositore che si atteneva al genere consueto dell'opera di arie, che maneggiava con disinvoltura avendo cura di soddisfare il pubblico.
Il 27 Aprile 1720 venne rappresentata la prima opera di Handel composta per l'Accademia: il teatro era esaurito e fra il pubblico c'erano il Re con le sue "dame" e il Principe di Galles.
Mainwaring racconta che "molti gentiluomini non poterono entrare pur avendo offerto 40 scellini per un posto in galleria (da dire che di solito quei posti venivano venduti a 2 scellini e mezzo!).
Radamisto fu uno dei più bei trionfi del nostro Caro Sassone. Presenta anche un buon libretto, e il lavoro è composto in modo conciso ed efficace, pur essendo di vaste proporzioni, comprendendo numeri strumentali complessi, ritornelli e preludi.
Lasciamo dipingere certe scene ancora a Mainwaring che narra come l'entusiasmo raggiunse lo zenit:
"Se bisogna credere a coloro che in vita assistettero a quella rappresentazione, l'applauso che [Radamisto] ricevette arrivò quasi ad eguagliare quello di Agrippina: comunque la folla ed i tumulti del teatro di Venezia non furono certo pari a quelli di Londra. Tra tante signore così splendide e così alla moda (tanto entusiasmo va attribuito proprio al loro gusto eccellente) non rimase ombra alcuna di cerimonia o di forma; scarsa fu persino ogni parvenza di ordine o regolarità, di educazione o decenza. Molte di loro, che si erano fatte strada nel teatro con foga che mal si addiceva al loro rango non meno che al loro sesso, a causa del caldo eccessivo e dell'aria viziata finirono per svenire. Persino molti gentiluomini, che erano giunti ad offrire 40 scellini per un posto in galleria dove avere (invano) sperato di trovare uno in platea o in qualche palco, furono mandati indietro".
Burney scrive: "più compatto, più ingenioso e pieno di fuoco di qualsiasi altro dramma che Handel abbia mai Musicato", poichè presentava la strumentazione più ricca fino a quel momento: I corni infatti per la prima volta comparivano in teatro, nella bellissima aria, "Alzo in volo" cantata da Tiridate, nel terzo atto.
Hawkins riferisce che Handel considerava l'aria
"Ombra cara" ( aria cantata da Radamisto nell'opera Omonima nel momento in cui il protagonista crede che la moglie sia morta ), la sua più bella melodia, accanto a "Cara sposa" di Rinaldo.

«Farasmane, Re di Tracia ebbe due figli, Radamisto e Polissena. Radamisto si maritò con Zenobia principessa di nobil sangue, ma di maggior virtù. Polissena fu data in moglie a Tiridate Re d'Armenia, il quale di là a qualche tempo trasferitosi a corte del suocero, in tempo che non v'era Radamisto, vide la cognata, e se ne invaghì.
Ritornato nel suo regno, non vedendo altra strada per soddisfare al suo ingiustissimo amore, mosse guerra improvvisamente a Farasmane, e gli tolse tutto il suo stato, fuor che la sua capitale, dove Radamisto, e Zenobia, s'erano rinferrati per difenderla; avendo prima di ciò in una battaglia fatto prigione Farasmane.
Condusse seco nel campo la moglie, per dubbio che nella sua lontananza non gli suscitasse qualche sollevazione.
Renduta alla fine la città, dalla quale fortunatamente con la fuga salvati s'erano Radamisto, e Zenobia, scoperti da soldati nemici, Radamisto per dubbio che la moglie non cadesse in mano del Tiranno, la ferisce, a ciò fare anche esortandolo l'istessa moglie; e credendola morta, la gitta nel fiume; dal quale fu salvata dai soldati, che l'inseguivano, e condotta a Tiridate. Radamisto disperato per aver ucciso la moglie, s'introduce nel di lui campo con animo d'ammazzarlo. Trova quivi la moglie viva, e prigione; e dopo vari accidenti, gli riesce di recuperar lei ed il Regno.
Vedi Tacito negli annali, Lib. XII cap. 51. Questo fatto seguì nell'Anno XII di Claudio Imperatore; l'anno 53 dell'era Cristiana. »

 

Si inizia con una Ouverture, grave dall'andamento francese, seguita subito da un Allegro, tutto formato da archi che si intrecciano, e giocano innestando tema su tema. Poi il tutto sfocia, né in un recitativo, né in un arioso, ma in una cavatina.


Polissena sola davanti al suo padiglione; la scena si apre infatti in un campo militare, dove i padiglioni sono disposti dinnanzi alla città da espugnare, presso la quale passa il fiume Arasse, sopra il quale s'erge un ponte (facente parte della scenografia del 1720).
"Sommi Dei, che scorgete i mali miei, proteggete un mesto cor!"

Arriva Tigrane che preannuncia che Tiridate si è invaghito di Zenobia: consiglia di lasciare il marito.
Faarte stesso, fratello di Tiridate, sfocia in un'aria di una freschezza ed energia, mossa anche da un intento personale: cova amore per la cognata:
"Dhe fuggi un traditore!"

Da sottolineare che Faarte in questa registrazione è impersonato da un soprano, per cui le note scattano a picchi altissimi: il tutto indorato da fiumi di note, anche se tutta l'orchestrazione si basa essenzialmente agli archi.
Insiste anche Tigrane: preannuncia che Polissena vedrà quanto è invaghito Tiridate, e poi sfocia in un'aria che sfoltisce gli archi alla voce:
"L'ingrato non amar, ma rendi a un fido cor se non amor pietà".

Ma arriva Tiridate, circondato dalle guardie: e in un recitativo, già si vede la perfidia del personaggio, dove si sfoga ordinando la strage di Città vecchi donne e fanciulli: templi e altari devono essere distrutti; poi confida sottovoce il suo amor ad una delle guardie che stanno lì appresso a Polissena che voleva intercedere per la critica sorte del padre Farasmane:
"Partiti o Donna!"
Ed ecco un'aria
"Tu vuoi ch'io parta, io parto!" dove si delinea il carattere sottomesso della moglie, che comunque non odia il marito per ciò che sta facendo ("idolo del mio cor" lo definisce nell'aria lenta in questione).

Ecco che arriva Farasmane incatenato perché catturato, e circondato dalle guardie: Tiridate gli comunica che vuole la città, se non l'avrà tutto il suo odio si scaglierà su suo figlio Radamisto: Farasmane si propone di esser nunzio delle richieste del nemico - genero (Tiridate appunto): Tiridate concede a Farasmane di vedere il figlio, ma che sia accompagnato da Faarte, che circondi la città con l'esercito: se c'è qualche trucco "ogni cosa sia orror lutto e cordoglio!"
Ed ecco un'aria con archi in allegro di Tiridate:
"Con la strage dei nemici sono avvezzo a trionfar", a mio avviso davvero bellissima, dove i gorgheggi possenti del baritono riescono ad evocare la furia del Re d'Armenia.

Cambia la scena, siamo sotto le mura della città: escono Zenobia e Radamisto; Zenobia vuole seguire Radamisto, che arriva quasi a scusarsi per la cruda sorte del suo sposo poichè sa che la "cagion" di tutto è lei: Tiridate infatti ha mosso guerra solo per poterla avere. Radamisto la consola affermando che non sempre il ciel irato volgerà il suo sdegno su di lui:
"Cara sposa, amato bene", dove al cembalo e ad un mesto violoncello non s'aggiunge alcun altro strumento, se non che alla fine per rafforzare il ritornello.

Ma arriva Faarte, con l'esercito; fra essi c'è Farasmane incatenato: si incontrano.
Faarte: renditi e libero vai o Radamisto, altrimenti si prenderà la città con la forza e Farasmane sarà ucciso: al titubare di Radamisto, Zenobia propone una soluzione: la sua morte. E qui parte un'aria meravigliosa::
"Son contenta di morire, crude stelle, astri tiranni, per placar il vostro furor!"

I violini, che si staccano dal continuo, la voce, alla terza volta parte con i gorgheggi su "placar". All'energia del primo pezzo, si passa alla fase centrale, dove il ritmo è lo stesso costante, ma spariscono i violini, e agisce solo il continuo: ma alla parola "sì la morte darà fine al mio dolor" tutto si ferma anche il continuo che è ostinato in tutta l'aria. Ritorna il ritornello iniziale: cambiano però a tal punto gli ornamenti vocali di Juliana, che abbellisce, infioretta gli "astri tiranni", uscendo dalla posizione di note che aveva prima: ma senza cadere in eccessi: credo che sia un abbellimento che possa definirsi calcolato e non eccessivo.
Farasmane incita il figlio Radamisto a seguire la sua sposa, implicitamente decidendo la sua sorte.
Parte lo sprezzo di Radamisto, che rivolto a Faarte:
"Perfido! dì a quell'empio tiranno che l'alme grandi non hanno timor": un'aria incisiva, che però non è caratterizzata da una varietà strumentale (archi e cembalo).

Rimasto solo con Faarte, Farasmane chiede la morte: Tigrane però impedisce che il soldato esegua l'ordine. Lo stesso Faarte non voleva macchiarsi del sangue di un "sì nobil rege". Farasmane viene condotto alla tenda scortato dalle guardie.
Farasmane poi parte con una possente aria,
"Son lievi le catene, a un petto forte", dove si dà coraggio per affrontare la situazione "e di costanza armato il petto sempre avrò" e "costante nelle pene" alla fine trionferà.

Ma qual era l'ordine di Tiridate se la città non si arrendeva?
"ogni cosa sia orror lutto e cordoglio!"
Faarte e Tigrane partono ad espugnare la città: e giù una corroboante sinfonia per la circostanza.
La città è presa.
Tiridate giunge con la scorta nel cortile dinnanzi al palazzo di Radamisto: eppure non vede Zenobia. Tigrane intercede per Farasmane, Tiridate preso dalla preoccupazione di non vedere Zenobia, glielo concede.
Vuole vedere ai suoi ceppi Radamisto e Zenobia.
Polissena cerca di placare Tiridate nel suo disappunto, chiedendo la grazia per Radamisto, ma il Re non connette
"Alle morti, alle stragi alle vittorie!".

Polissena intanto ringrazia l'operato di Tigrane che ha salvato il padre.
Tigrane dice che "avrà prove di fedeltà dal fido amante (che poi sarebbe lui)", così sfocia il recitativo nell'aria, arricchita da oboi,
"Segni di crudeltà".

Polissena rimasta sola, si rende conto di quanto il suo adorato Tiridate abbia perso la testa per Zenobia.
Il primo atto si conclude con
"Dopo l'orride procelle", arricchita da oboi con archi, dove esprime la sua speranza di un ritorno alla felicità che prima aveva.


La scena si apre su una campagna bagnata dal fiume Arasse, da una parte si notano ruine di fabbriche antiche, fra le quali una sotterranea. Radamisto e Zenobia escono da quest'ultima, ed ecco che Zenobia sfocia in un'aria senza il da capo, con oboi dal suono intenso, che simulano un continuo lamento, il tutto coronato da note di arciliuto "Quando mai spietata sorte fine avrà tanto penar!".

Arrivano i nemici, Zenobia è risoluta a morire e chiede a Radamisto di ucciderla, i nemici si apprestano... presto Radamisto che fai? l'uccidi o lasci che cada nelle mani del terribile Tiridate?
Cerca con la spada di ferirla, ma non riesce, gli cade la spada:
"Ah! Zenobia sdegnata della viltà dello sposo", si getta nel fiume, chiedendo di vendicar la sua morte: nel recitativo si sente l'urlo della caduta.
Ma giungono i soldati capeggiati da Tigrane, Radamisto si lancia verso i soldati che puntano contro di lui.
Tigrane li ferma: quando mai tutti contro uno solo? c'è un codice d'onore!
Radamisto vuole morire rendendosi a Tigrane, ma Tigrane volendo far felice la sua sovrana,
"vuol trarlo in nascosto": e qui indica in un'aria ancora una volta la sua passione per Polissena, in un'aria andante, con continuo rafforzato da arciliuto.
Radamisto sconsolato, segue Tigrane, ma "il suo perduto tesor" ora non c'è più: e parte la struggente aria con orni oboi, violoncelli,
"Ombra cara di mia sposa, deh, riposa e lieta aspetta la vendetta che farò!"

unisono di voce con fagotto, messe di voce, interventi cupi di archi, ornamento di arciliuto: è questa la melodia che Handel associava a "Cara Sposa" in Rinaldo come la sua più bella Melodia.
Faarte cattura intanto Zenobia, salvandola dai flutti del fiumi: non è morta! ah, ma Radamisto non lo sa...
Niente da fare: viene condotta via da Faarte, che la esorta a sperar in una sorte migliora: "Esplode l'aria squillante
"Lascia pur amica speme le tue pene a consolar", aria con oboi, che accompagnano la voce durante l'aria a tratti.

Naturalmente i violini non è che se ne stanno calmi, e come onde nel mare arrivano a decorare il testo dell'aria con freschi riflussi. Suvvia Zenobia, in fondo dice Faarte : "Lieti i giorni che verranno, faranno poi scordar le pene tue".
Un recitativo accompagnato da accordi di cembalo, è preludio di un'aria incisiva di Zenobia, che cerca di opporsi alla sua cruda sorte:
"Giacchè morir non posso, furie del cieco abisso accompagnatemi nel mio dolor": quest'aria presenta la particolarità che al ritornello iniziale, la voce canta con pochi strumenti, per poi essere interrotta da andate di violenti interventi di archi e cembalo. L'effetto è bellissimo, pur non avendo una varietà fuori dallo standard. 

Cambio scena: Siamo in giardino con veduta del Palazzo.
Faarte comunica a Tiridate che Zenobia è in suo potere, dopo aver lui raccontato le ragioni della ferita inflittale da Radamisto e del perchè era fra i flutti.
Ed ecco: L'amor che ha generato tutta l'opera: Zenobia e Tiridate una di fronte all'altro.
Sdegno dell'una lusinghe di Tiridate che le si offre con tutto il regno.
Tiridate è sicuro di se stesso:
"Sì che ti renderai, quando vedrai quanto il mio cor ti sia fedel". L'aria è in allegro.
Dopo un breve recitativo con arciliuto dove Zenobia pensa al suo sposo, sorge un'altra aria in ritmo lento, e dove il cembalo si evidenzia bene, arciliuto si inserisce a commentare il"soffrir potrò il mio fato". Anche i flauti con tono cupo sottolineano la disperazione della sventurata Zenobia. L'aria è
"Fatemi, o cieli, almen saper dov'è il mio ben".

Intanto Tigrane porta Radamisto abbigliato in modo non regale alla sorella Polissena. Ancora Tigrane si bea della gioia che è riuscito a provocare con quest'azione nel cor di Polissena: aria in andante con oboi: "La sorte il ciel amor promettono al tuo cor gioia e contento". Ci sono dei pezzi del ritornello rafforzati dall'arciliuto che danno un carattere aulico all'aria, per non parlare dell'oboe.
Ed ecco Polissena e Radamisto, ma mentre Polissena si slancia nell'amore per il fratello, Radamisto le chiede di esser condotto in sì mentite spoglie dove giace il tiranno Tiridate: Polissena dice, uccidi me prima: Radamisto si offende e si stupisce per il comnportamento della sorella:
"Vanne sorella ingrata! Vanne rapisci a morte quel barbaro consorte che ti tradisce ancor!" e qui Radamisto, con oboi, sfoggia una buona dose di trilli vocali, non solo nella prima parte, ma pure nella parte centrale, dove si inalbera con un acuto.
Polissena è ancora sola: Fra incudine e martello: da che parte schierarsi? chi proteggere? straziata da 2 amori, quello per il crudele marito e quello per l'adorato fratello: un bel dilemma: poi alla fine decide di schierarsi e proteggere chi si trova più in difficoltà ed in pericolo: e così l'aria con oboi, "Che farà quest'alma mia".
Ecco che parte ora un arioso seguito da un commento di Zenobia "Troppo sofferse già questo mio petto, numi del cielo (con flauti) in tanto dolor": naturalmente fa sempre capolino oltre gli archi e il cembalo il bell'arciliuto.
Due seggi, olà - sbotta Tiridate Ma mentre si siede con Zenobia, arriva Tigrane che annuncia che Radamisto è morto, portando il mantello del nobil uomo. Tigrane presenta un servo Ismeno che ha assistito Radamisto negli ultimi istanti della sua vita.
Ismeno profferisce:
"Eccoti illustre donna il cor di Radamisto egli al tuo piè si prosta, s'inginocchia e per bocca d'Ismen così ti dice:
"Cara adorata sposa, se questa man vibrò crudele il ferro contro il casto tuo sen, se questo spirto fede non ebbe e ardire di seguirti nell'acque e morir teco, perdonami te n' priego."
E ancora: " Se ben schiava u sei in man del mio più fiero empio nemico, serbami l'amor tuo, la pura fede! odia!, sprezza un tiranno, mio perverso uccisore! e ....".
Tiridate interviene: troppo quell'Ismeno si avvicina alle labbra di Zenobia!
Parte l'aria di Zenobia:
"Empio perverso cor!" a Tiridate con furore "Caro fedel Ismen a Ismeno con dolcezza". L'aria è un correre e frenarsi con un maggior indugio da parte del Caro Sassone sul tema patetico.
Visto il buon ascendente di Ismeno verso Zenobia, Tiridate gli chiede di spianargli la strada in cambio di compensi.

Rimasti soli Ismeno e Zenobia, si scopre che sotto le spoglie di Ismeno, c'è Radamisto, i due sposi si riabbracciano... ed ecco completarsi il secondo atto con un duetto dall'andamento andante/allegro: presenza di oboi discreti e rispettosi del dialogo dei due sposi: "Se teco vive il cor" dove le voci partono staccate, a poi cantano insieme contemporaneamente...

Si riapre le scena: siamo nel cortile del palazzo reale; Tigrane propone a Faarte di levare le armi in segno di rivolta a Tiridate:
"Non è disegno mio - espone Tigrane - che a Tiridate o la vita si tolga o la corona: gli si tolga la via d'esser più ingiusto e ravveder si faccia il cieco amante".
Faarte appoggia l'idea ed esplode in "S'adopri il braccio armato, il ciel gli dia favor" dove sulla "a" di armato si concentrano turbinii di gorgheggi che riescono ad evocare il valore del personaggio: l'aria è freschissima ed ha la particolarità di alcuni fagotti che accompagnano le note dei violini.

Tigrane sa che non riuscirà mai ad aver Polissena, ma il suo amor è discreto e pur avendo una matrice ingiusta, si distingue da quello irruento di Tiridate, perchè è generoso, nel senso che tutto l'operato è per placare il tormento dell'alma della sua amata Polissena.
Intanto in una delle stanze reali, Radamisto e Zenobia sono in in intimità, e Zenobia teme che Tiridate ben riconosca in Ismeno la nobil figura di Radamisto, e propone che per la sua salvezza se ne vada.
Ma Radamisto, già una volta ha perso la sua adorata sposa e replica:
"Dolce bene di quest'alma, no giammai ti lascerò"

un'aria lenta dove arciliuto cembalo e violoncello rappresentano il continuo, mentre oboi e fagotti, danno un tocco malinconico a tutto l'exploit di Radamisto: quest'aria è un grosso esempio di come Handel riesca a variare i temi che precedentemente aveva creato: in effetti la melodia proviene da una cantata degli anni romani, una Grande cantata, Apollo e Dafne: l'aria in questione è "Come in ciel Benigna stella di Nettun placa il furor": melodia dolente in Radamisto, furiosa (in allegro mi sembra davvero troppo poco per descrivere le pirotecniche nella cantata) nell'aria di Dafne. Anche gli strumenti cambiano di peso: in Radamisto oboi e fagotti spiccano rispetto gli archi.
Arriva Tiridate con corona e scettro, la vuole... l'afferra, lei si oppone esce Radamisto con il ferro in mano, ma Polissena fa schermo col suo petto a Tiridate: Farasmane interviene e depreca l'atteggiamento della figlia: perchè bloccare la vendetta di Radamisto?
Tiridate furioso, ordina la morte di Radamisto e Farasmane! Ha riconosciuto il rivale Radamisto: ormai i giochi sono allo scoperto!
Vani gli interventi e le intercessioni di Zenobia e Polissena.
Ed ecco il recitativo accompagnato: Radamisto gli offre il petto... "saziati spietato del mio sangue onorato!"
e ancora Radamisto insiste:
"essa (la morte) per il mio cor non ha terrore, le sono andato mille volte incontro, e l'ho vista per me piena d'onore". "Vile! se mi dai vita, Vile! se mi dai morte, vedrai che l'alma forte sempre ti sprezzerà";

questa è un'aria eroica dell'eroe handeliano sventurato che combatte contro le avversità.
E continua in concitato, provocando Tiridate:
"Empio! non hai sì ardita la destra senza gloria? compisci la vittoria con atto di viltà!"
Polissena in ginocchio prega Tiridate, di salvare padre e fratello, ricordando che lei col suo petto lo ha salvato dal ferro di Radamisto: Tiridate gli concede la vita del padre, ma quella del fratello non se ne parla: Polissena, all'ordine del monarca "Parti!" sboccia in un'aria "Barbaro! partirò, ma sdegno poi verrà!" che non la caratterizza più come una semplice donna sottomessa: promette vendetta, e se oserà realizzare il suo proposito di uccidere Radamisto, le sarà per sempre sua nemica. Non si è più dinnanzi a arie lente "deboli", ma dinnanzi ad un'aria più decisa: la strumentazione evoca la risolutezza della decisione della Regina d'Armenia.
Tiridate dinnanzi alla risolutezza anche di Zenobia di voler morire, salva pure Radamisto,
"Orsù, vedi la bontà, vedi la clemenza! Perdono a Radamisto, purchè tu sia mia sposa....Zenobia o la tua mano o il capo di colui vuol Tiridate".
"Alzo al volo di mia fama la speranza che ho nel cor": ecco la possente aria ricca di strumentazione di Tiridate: dove i fagotti e i corni coronano le pirotecniche del basso-baritono Tiridate: epica, mitica, chissà se ci sono altri aggettivi per esaltarne la bellezza.


Zenobia e Radamisto decidono di morire: quindi non gli dà la mano, per cui il capo di Radamisto sarà dato a Tiridate...Zenobia però risolve di morire pur'essa.
Ed ecco un'aria di Zenobia con 2 affetti: il primo esprimente il dolore per lasciare il caro sposo
"Deggio dunque, o Dio, lasciarti, dolce spene di quest'alma!" un pezzo lento con oboi e violoncelli che danno quell'ombra a tutta l'esposizione, ma poi sente che è enorme l'ingiustizia del Fato, e invoca con furor "Ciel pietà del mio dolor" dove violini violenti, con basso ostinato e oboi coronano la richiesta.
Zenobia esce dalla scena e Radamisto se ne resta da solo:
"Qual nave smarrita tra sirti e tempeste": una dolente aria di Radamisto: pochi strumenti, mentre c'è la voce, il ritmo sembra un respiro, si evidenziano le note "cupe" evocate dal violoncello: l'andamento lento permane anche nel motivo centrale dell'aria
"tal io senz'aita fra doglie funeste non trovo conforto al misero cor".
Al Tempio, Tiridate pregusta il matrimonio con Zenobia, Farasmane preannuncia che sprezzo avrà e non amore da Zenobia, e quest'ultima aggiunge lo sprezzo per il "crudel tiranno": Tiridate vuole eliminare Radamisto, ma ....
ecco raggiunge Polissena: e ..
"trema (verso Tiridate)! stanchi de' tuoi misfatti, han preso le armi, han preso le armi i tuoi guerrieri, e seco son Tigrane e Faarte".
Rivolta, insurrezione... la situazione gli sta sfuggendo di mano:
ma Tiridate è Re, e ben saprà morir: All'armi amici! - ordina Tiridate - ma tutti fuggono...
"Dove fuggite? il vostro Re, felloni, s'abbandona così?! Son Tiridate e su quel trono istesso, che mi diede il valor più che la sorte, regnar saprò, saprò morir da forte."
E mentre cerca di andar a combatter, viene trattenuto.
Parte un quartetto
"O ceder o perir !" sublime, di una bellezza pari a quella dal Trionfo del Tempo e del Disinganno del 1707, si formano 2 fazioni, uno specie di duello canoro:


da una parte i tre personaggi perno: Radamisto, Zenobia e Polissena, invitano Tiridate a riflettere e a cambiar desio, dall'altra parte Tiridate che sceglie piuttosto di morire anzichè rinunciare alle sue posizioni
"cedi all'amore!" gli dice Polissena
"cedi all'onore!" gli dice Zenobia
"cedi alla virtù!" gli dice Radamisto,
due soprani e un controtenore, ecco come i timbri alti si contrappongono, marcando la differenza di posizione, con la risposta basso-baritonale di Tiridate
"Perir!"
Arrivano in scena il ministro Tigrane e il fratello Faarte: e alla vista Tiridate "su venite, già mi toglieste il trono, eccovi il brando, toglietemi la vita!" e getta la spada a terra....
Tigrane consegna il trono a Farasmane. Ma ecco che Radamisto perdona Tiridate.

Tiridate confessa il suo error e ringrazia per il generoso perdono (davvero generoso): E poi trova conforto nel perdono di Polissena.
Ma non finisce qui: Radamisto riconsegna il trono a Tiridate dell'Armenia, su cui regnerà con Polissena, e giù un altro duetto:
"Non ho più affanni, no" dove Zenobia e Radamisto esprimono la gioia di ritrovarsi dopo sì gran pene...
Poi si ordina il festeggiamento generale...
Ed ecco il bel coro che chiude il Terzo atto:
"Un dì più felice, bramarsi non lice sperarsi non può".

Il coro è inframmezzato da duetti: Zenobia e Radamisto in primis, coro, duetto Polissena e Tiridate, coro, e Faarte e Tigrane, e coro finale. Naturalmente oltre agli archi e al ritmo allegro andante, si affiancano le trombe, e gli altri fiati.

                                                                        

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