In occasione dell'uscita del Primo Volume della serie "Bologna, tra Clavicembalo e Pianoforte" edito dalla Associazione Clavicembalistica Bolognese, sotto l'egida della professoressa Maria Pia Jacoboni con gli apporti e suggerimenti del Principe Troubetzkoy, che ha visto la sua presentazione al pubblico nel mese di Ottobre 2015, e di cui qui ricordiamo qualche assaggio, e in relazione anche alle riflessioni ed ascolti della evoluzione della musica da tasto fra il 1750 ed il 1780, torniamo a trattare l'argomento evolutivo della tastiera in relazione anche ad alcune problematiche di scelta esecutiva odierna.

La musica da tasto scritta nel periodo tra 1760 - 1770 reca alcune problematiche circa lo strumento per il quale queste composizioni erano destinate.

Per chiarire alcuni punti, si devono prendere brevemente in considerazione alcuni compositori, tra cui anche alcuni italiani operanti al di fuori del suolo italico.

La Francia e l'Inghilterra nella metà del XVIII° secolo erano i punti focali di attrazione per compositori in cerca di fortuna.

A Parigi le composizioni di J. Schobert e la scuola dei sinfonisti di Manheim rappresentano una svolta decisiva circa il gusto e soprattutto l'esigenza di esprimere, in musica, nuove modalità espressive.

Le prime composizioni di Schobert rappresentano il punto di partenza della grande innovazione per la musica da tasto.

Tutte le composizioni per cembalo solista o con accompagnamento di violino ad libitum o con altri strumenti, recano dei mezzi espressivi innovativi: dinamiche dove per la prima volta si assiste esplicitamente all'indicazione di p e di f e addirittura in alcuni caso ff.

Non solo il linguaggio è completamente innovativo, frutto di una soggettiva sintesi della scuola italiana e i primi sinfonisti di Manheim.

Il dilemma è: Ma queste composizioni da tasto per quale strumento erano destinate? Un ramo della filologia più recente ritiene che siano destinate a uno strumento molto simile al tangentflugel o fortepiano a tangenti oppure destinate a un clavicembalo a martelletti, dalla meccanica differente di quella di Bartolomeo Cristofori, ma che soddisfaceva in parte a quell'espressività che il vero clavicembalo non era in grado di offrire. Al clavicembalista, organista e cembalaro francese Virbes, viene accreditata l'invenzione, come dice il Gerber, di "Un clavecin harmonieux et celeste”.

Oltre che Schobert, vanno menzionati (ad eccezione di J.G. Eckard) i compositori Leontin Honnauer e Felice Bambini le cui opere per tastiera secondo alcuni sicuramente erano concepiti per il clavicembalo a martelli o meglio a una primitiva struttura del tangentflugel.

Sarà effettivamente dagli anni 1770 in poi che la maggior parte delle composizioni recheranno l'indicazione pour le clavecin ou le pianoforte (in questo caso il vero forte piano con tutte le sue dinamiche espressive). Infatti le composizioni da tasto in Francia sfoceranno nelle magnifiche composizioni di J.F. Ederlmann, J.L.Adam, del giovane Dussek, e Mehul.

In Inghilterra il primo ad eseguire su strumenti "espressivi e innovativi" fu J. C. Bach che era solito eseguire le sue prime composizioni sullo strumento Zumpe e successivamente sul vero fortepiano.

Questa cosa influenzò alcuni compositori quali il napoletano Mattia Vento, che anche in questo caso, forse per questioni commerciali, nei suoi primi libri di "Lessons" indica le composizioni fatte semplicemente “for the harpsichord”.

Sicuramente Mattia Vento a Londra avrà avuto il modo di assistere ai primi esperimenti ed iter di perfezionamento del vero e proprio fortepiano e ciò comportò nei suoi successivi libri di Lessons l’indicazione per lo strumento da utilizzare “for the Harpsichord or the Pianoforte”.

Le composizioni che qui presentiamo sono la testimonianza concreta di quale tipologia di musica venisse eseguita nei salotti intimi dell'alta aristocrazia londinese e dell'alta borghesia.

Il

Rondò in do maggiore

di Mattia Vento è contenuto in “A Ninth Book of Six Sonatas for Harpsichord or Piano Forte” pubblicate dall'editore Welcker nel 1765.

Del compositore Giacomo Croce invece non si conosce pressochè nulla. Ci sono solo pervenute le “Six Sonatas for the Harpsichord” pubblicate a Londra da H. Fougt, 1769 c.

Queste sonate sono molto interessanti in quanto nell'edizione manoscritta, conservata presso la biblioteca del conservatorio di S. Cecilia di Roma, il titolo indica “Sei sonate per arpicordo”, senza data.

Presentiamo qui di Giovanni Croce

la Sonata IV e la Sonata VI

Tutte le sei sonate sono in un unico movimento.

Ci siamo avvalsi dell'edizione di Fought.

Strumento utilizzato per l'esecuzioni di questi brani è un tangentflugel, senza data, ma molto probabilmente costruito nel sud della Germania, realizzato all'incirca nel 1780.

Lo strumento è funzionate al 70% ed è in fase di restauro, e purtroppo alcuni registri non sono ancora funzionanti.

Uno strumento molto similare a questo si trova nella splendida collezione Bradford Tracy-Fritz Neumeyer nel Castello di Bad Krozingen in Germania.

Lo strumento sul quale sono state effettuate le registrazioni si trova presso una collezione privata a Berna.

Buon ascolto di buona musica....

On line il 31 Dicembre 2015

A cura di

Il Principe del Cembalo - Rodelinda da Versailles

Arsace da Versailles - Faustina da Versailles

Arbace - Alessandro - Andrea - Carla

Avv.to Stefano Gizzi

 

Torna al Salone del Cembalo Aristocratico

Torna alla Home

Torna a Versailles

Vai a haendel.it

Vai in GFHbaroque.it