
CANTORE
E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA
ALLA
FINE DEL XVII SECOLO
LA
FAMIGLIA DE GIUDICI DI CECCANO
La
Famiglia de Giudici si stabilì a Ceccano, nella Diocesi di Ferentino,
nel 1617, con l’Illustrissimo Signore Salvatore de Giudici, Capitano
di Casa Colonna di Paliano, nativo della cittadina di San Lorenzo,
l’attuale Amaseno. Il 24 gennaio 1617, nella Chiesa Arcipretale di San
Giovanni Battista, Salvatore si unì in matrimonio con Donna Divitia
Poti, figlia del Signor Fabio, di antica ed illustre famiglia ceccanese.
Come registrato nell’atto a firma dell’Arciprete Fabrizio Pandolfi,
lo sposo, per il “bacio”, attribuì a Donna Divitia Poti la
considerevole somma di cinquanta scudi d’oro (1).
La
dote della sposa venne stabilita con atto del notaio Ambrogio de Ambrosi,
nel quale erano contenuti i capitoli matrimoniali e la “risposta”
del Capitano Salvatore, il quale accettava di trasferirsi nella Casa di
Fabio Poti, ricevendo come dote la somma di scudi romani mille, di cui
centocinquanta in beni mobili e ottocentocinquanta in beni immobili (2).
Il
Capitano Salvatore de Giudici godeva di grande prestigio e di una
particolare considerazione da parte della Eccellentissima Casa dei
Principi Colonna di Paliano, testimoniata da un corposo carteggio di
lettere indirizzate da Salvatore a Filippo I e Girolamo Colonna,
conservate nell’Archivio Colonna a Subiaco.
Dai
registri comunali, risulta che il Capitano svolse una intensa attività
pubblica in Ceccano, come Viceconte del Principe Filippo I Colonna nel
1615 e come membro autorevole del Consiglio della Comunità. Nei periodi
di assenza del Viceconte rappresentante dei Colonna, negli anni
1633-1634 e 1636, Salvatore presiedeva il Consiglio in qualità di “Luogotenente”
del Viceconte ed in tale veste firmava il verbale delle sedute con la
formula in latino <<Salvator pro V. Comes>> ed in un
caso con il nome e cognome in italiano <<Salvatore di
Giudici>> (3).
Sempre
i documenti di quegli anni testimoniano l’intervento del Capitano in
alcune importanti decisioni, tra le quali si ricorda la costruzione del
Convento dei Frati Minori Conventuali attiguo alla Chiesa di San
Sebastiano. Il 6 gennaio 1623 la Comunità di Ceccano provvide alla
nomina di un Camerlengo per la conservazione di tutte le entrate della
Chiesa di San Sebastiano e delle offerte necessarie per la costruzione
del Convento (4). Il 30 giugno 1638, dinnanzi al Notaio Ambrogio Ambrosi,
la Comunità di Ceccano ed i Frati Minori Francescani stipularono una
Convenzione per la Chiesa ed il Convento di San Sebastiano. Nell’atto,
egli compariva come primo rappresentante della Comunità: <<Ill.mus
D. Capitaneus Salvator de Judicibus>> (5).
Per
quanto riguarda gli affari familiari, Salvatore, dopo il suo matrimonio,
procede a vari acquisti di case e terreni, di cui abbiamo memoria in
numerosi atti notarili di quegli anni, conservati nell’Archivio
Notarile di Ceccano, presso l’Archivio di Stato di Frosinone.
Il
palazzo della Famiglia de Giudici, ancora visibile nella Piazza Vecchia
di Ceccano, con le sue caratteristiche proporzioni seicentesche, è il
frutto degli interventi di ampliamento operati a più riprese dal
Capitano Salvatore sulla casa appartenuta alla Famiglia Poti. Il grande
portale del Palazzo in pietra bianca con cornice, si affaccia sulla
Piazza che un tempo era la principale della cittadina, a pochi metri
dall’antico ingresso della Chiesa Arcipretale di San Giovanni
Battista. Nella seconda metà del XIX secolo, con i lavori di
ampliamento della Chiesa Collegiata di San Giovanni Battista, una parte
notevole della Piazza pubblica venne occupata dal grande presbiterio
della Chiesa, la cui entrata principale venne capovolta verso
l’attuale Piazza del Municipio. Al piano terra della facciata del
Palazzo è inglobato un arco che immette in una stradina, la “Stretta
Criscio”, che prosegue sotto il primo piano dell’abitazione ed
al cui interno vi sono alcune porte di ingresso a Casa Giudici ed alle
cantine.
Dal matrimonio del Capitano Salvatore con Donna Divitia nacquero
cinque figli, tra cui il primogenito Federico e l’ultimo Gregorio.
Federico fu notaio pubblico, agente dei Colonna di Paliano,
Cancelliere della Comunità di Ceccano, Consigliere civico e Luogotenente
in più occasioni, fra il 1689 e il 1690 del Viceconte Carlo Antonio de
Carolis (6). I volumi dei suoi Protocolli notarili hanno inizio nel 1653
e terminano nell’anno 1696 (7).
Fin dalla sua prima giovinezza, il padre Capitano Salvatore si
impegnò ad ottenergli privilegi e distinzioni da parte dei Colonna di
Paliano, come conferma una lettera della Principessa Anna
Barberini-Colonna del 2 agosto 1636, nella quale la nobildonna segnalava
al Capitano che l’assenza da Roma del Gran Connestabile Colonna gli
aveva impedito di proporre al Principe l’assegnazione al giovane
Federico dei “Benefici che erano per vacare in Patrica” (8).
Nel corso dei decenni, il figlio del notaio Federico e di Donna
Flamina, Salvatore junior, coadiuvò il padre nella gestione del
patrimonio di Famiglia, che nel catasto del 1667 era stimato in ben 37
appezzamenti, con una proprietà di circa 100 tomoli di terreni, una
delle maggiori della cittadina (9).
Salvatore
junior sposò a quarantotto anni la Signora Giovanna Paterni ed ebbe due
figli Fabio e Federico, quest’ultimo nato pochi mesi dopo la morte del
padre.
Fabio
fu per molti anni membro del Consiglio della Comunità di Ceccano,
sostituito nell’ufficio dal nipote Costantino (figlio di Federico e
della sua sposa Angela Maria Lauretti, figlia del notaio Domenico
Lauretti).
Costantino, Sindaco della Comunità nel 1771 e Consigliere per molti
lustri, fino al 1805 (quando venne sostituito da uno dei figli, il
notaio Salvatore), si segnalò per notevoli capacità amministrative,
rafforzò il patrimonio di Famiglia con numerosi acquisti di terreni e
di case, assumendo anche importanti incombenze. Il 24 ottobre 1765, egli
stipulò un contratto con il Capitano Francesco Liburdi, delegato
dell’Erario di Casa Colonna Felice Con salvi, divenendo “Affittuario
dei terreni di Ceccano, della Fida dei Principi Colonna di Paliano”
(10).
Il fratello di Costantino, Domenico fu uno stimato chirurgo e morì
nel settembre del 1772, senza aver fatto testamento, circostanza che
rese necessaria la redazione dell’inventario dei suoi beni, giunto
fino a noi. Il figlio di Domenico, Lorenzo sposò la Signora Elisabetta
Gizzi, figlia di Antonio.
Tra i figli di Costantino si distinsero Salvatore, notaio pubblico in
Ceccano, Saverio e Vincenzo.
Da Vincenzo e la sua sposa Giovanna Lauretti, il 16 marzo 1817, nacque
Angelo, giovane di grandi speranze, che morì a soli trent’anni,
lasciando grande rimpianto per le sue qualità personali ed umane.
Angelo curò i beni di Famiglia e sposò la Signora Maddalena De
Nardis, da cui ebbe tre figlie, Nazzarena, Lucia e Colomba. Nel gennaio
1842 presentò l’offerta per l’ufficio di Esattore Comunale di
Ceccano, chiedendo come emolumento il 4% e proponendo come “Sicurtà
solidale” il Signor Giuseppe Bonanome (11).
Pochi mesi prima della morte, Angelo, per gli atti del Notaio Giovanni
Battista Gizzi, rogò il suo testamento, nel quale innanzitutto invocava
la Misericordia Divina per l’Anima <<come più nobile del
corpo>> e disponeva come ultima dimora il sepolcro della
Confraternita della Buona Morte nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni
Battista, sua parrocchia, prescrivendo la celebrazione dei funerali con <<Messa Parata, coll’Officio doppio di Requiem>> (12).
In qualità di “tutore” delle sue tre figlie femmine,
deputava il Signor Giuseppe Meschini, padrino di battesimo di Nazzarena
e uomo d’affari molto noto in Ceccano, <<confidando molto
nella sua attività e bontà per esse>> (13).
Nel Catasto Gregoriano, fra i beni di Lucia, Nazzarena e Colomba,
provenienti dall’eredità del padre Angelo Giudici, figurano dei
terreni in Contrada Cardegna di oltre 4 ettari, in Contrada
Sant’Angelo e Contrada Maiura (14). Una grande casa posta
in Contrada Le Querciole, appartenuta ad Angelo e
proveniente dal patrimonio del nonno Costantino, venne venduta dalle
figlie Lucia, Colomba e Nazzarena nel 1865, per 122 scudi e 95 bajocchi
al Signor Domenico Peruzzi (15).
La Signora Lucia Giudici nel novembre 1859 sposò il Signor Leone
Gizzi ed i giovani sposi si stabilirono in Casa Giudici nella Piazza
Vecchia, nella quale nacquero tutti i figli, fra cui l’ultimo, il
nonno dell’autore di questa memoria biografica, Cesare Benedetto, nel
1884. Proprio in quell’anno, la Famiglia si trasferì nella nuova casa
costruita da Leone Gizzi nei pressi dell’abside della Chiesa di San
Nicola. L’antica abitazione della Famiglia Giudici venne venduta al
Dottore Pirro Pirri, il quale nel luogo dell’antica Loggia della
Comunità installò la Farmacia Comunale.
Lo stemma gentilizio della Famiglia de Giudici raffigura una bilancia
a due piatti, con il Motto “Aequa Ministrat”, simbolo
araldico della giustizia e dell’equità, ispirato direttamente al
cognome.
NOTE
1)
Archivio della Collegiata di San Giovanni Battista in Ceccano, Liber
Matrimoniorum, carte 82.
2)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Ambrogio Ambrosi, Fald. 49, Prot. 134, f. 82, r et v.
3)
Archivio Comunale di Ceccano, Libri dei Consigli, Pre.2/7, f. 184r, 189v, 261v e 262r; Pre.2/5, f. 133v.
4)
CARLO CRISTOFANILLI, Storia della Chiesa di San Sebastiano di Ceccano,
Amministrazione Comunale di Ceccano, Assessorato alla Cultura, 1995,
pagg. 67-68.
5)
Ibidem, pagg. 69-70.
6)
Archivio Comunale di Ceccano, Libro dei Consigli, Pre.2/11;
7)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Federico de Judicibus, anni 1653-1696.
8)
Ibidem, Fald. 81, Prot. 203, Lettera del 2 agosto 1636, terza di
copertina.
9)
Archivio Comunale di Ceccano, Libro del Catasto Anno 1667, f. 116 r et
v.
10)
Ibidem, Libri dei Consigli, Pre. 2/16-20; Archivio di Stato di Frosinone,
Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Loreto d’Ambrosi, Fald.
190, Prot. 414, cc 354-355 rr et vv e 370-371 rr et vv.
11)
Archivio Comunale di Ceccano, Pre.10/1;
12)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Giovanni Battista Gizzi, Fald. 309, f. 43 r et v.
13) Ibidem, f. 43 v.
14)
Ibidem, Catasto Gregoriano, Ceccano, Registro Matrici, Vol. II, 585, n.
747.
15)
Ibidem, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del Notaio Luigi Bucciarelli,
Fald. 326, Prot. 716, ff. 96-98 rr et vv. La divisione dei beni di Casa
Giudici fra le tre sorelle Colomba, Lucia e Nazzarena è contenuta in un
atto del Notaio Luigi Bucciarelli del 3 marzo 1863, Fald. 325, Prot.
713, ff. 31-42 rr et vv.
ALBERO GENEALOGICO
DELLA FAMIGLIA DE GIUDICI DI CECCANO
(parziale)
CAPITANO
SALVATORE DE JUDICIBUS
di
San Lorenzo
+
Il
24 gennaio 1617 sposa
nella
Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista in Ceccano
Donna
DIVITIA POTI, figlia di Fabio
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________________________________________________________________________
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|
FEDERICO
Anna
STEFANO
Vittoria
GREGORIO
nato il 2 maggio 1621
n. 28 agosto 1623
n. 4 agosto 1626
n. 22 luglio 1630 n. il 24 dicembre 1633
morto nel 1697
battezz.il 29 agosto
battezz. 10 agosto
battezz. il 25 luglio
batt. il 27 dicembre
|
morta nel 1681
morto
dicembre 1697
|
|
+
sposa Donna Flaminia
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_________________________________________
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|
|
FILIPPO
SALVATORE
FABIO MODESTO
nato il 18 ottobre 1645
nato il 12 giugno 1648
battezzato il 19 ottobre
morto nell’estate 1697
+
il 23 marzo 1693
sposa Giovanna Paterni
|
|
_________________________________________
|
|
FEDERICO
FABIO Antonio Epifanio
nato il 20 aprile 1698
nato
il 6 gennaio 1694
battezzato il 21 aprile
battezzato il 7 gennaio
+
+
sposa la Sig.ra Angela Maria
Lauretti
sposa la Sig.ra Lucia Muccosi di Ferentino
figlia del Notaio Domenico
figlia del Tenente Filippo Andrea
|
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|
IGNAZIO BENEDETTO
|
nato il 21 marzo 1732
|
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|
|
|
|
_____________________________________________________
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|
COSTANTINO
DOMENICO
nato il 6 giugno 1726
nato il 30 luglio 1728
morto il 1 giugno 1806
morto nel settembre 1772
+
+
sposa la Sig.ra Anna de Luca
sposa la Sig.ra Colomba Caprini romana
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|
|
|
|
|
________________________________________
|
|
|
|
|
VINCENZO
SALVATORE
SAVERIO
LORENZO
nato il 9 luglio 1772
Notaio
batt.
il 3 settembre 1766
morto il 22 novembre 1826
+
+
sposa
Elisabetta Gizzi
Il 3 aprile 1809 nella
figlia di Antonio
Chiesa di San Giovanni Battista
sposa Giovanna Lauretti
|
|
ANGELO
nato il 16 marzo 1817
battezzato nella Chiesa
Abbaziale di San Nicola
morto il 6 dicembre 1847
+
il 21 febbraio 1841
nella Chiesa Arcipretale di San
Giovanni Battista
sposa Maddalena De Nardis
|
|
|
__________________________________________________________
|
|
|
LUCIA
COLOMBA
NAZZARENA
nata il 2 giugno 1843
nata il 25.XI.1845
nata l’8.II.1842
battezzata nella Chiesa di
+
+
San Giovanni Battista il 4
giugno
sposa
sposa
morta il 25 agosto 1926 ALESSANDRO
PATRIARCA
BENEDETTO TASSI
|
|
+
Il 29 novembre 1859
Sposa LEONE GIZZI
NASCITA,
GIOVINEZZA ED ASCESA AL SACERDOZIO
Ultimo
figlio del Capitano Salvatore e di Donna Divitia Poti, Don Gregorio de
Giudici nacque a Ceccano il 24 dicembre 1633 nel Palazzo di Famiglia,
sito nella Piazza principale della cittadina.
Il
27 dicembre venne condotto nella Chiesa di San Giovanni Battista,
contigua alla sua abitazione, dove l’Arciprete Fabrizio Pandolfi gli
amministrò il Sacramento del Battesimo, di cui resta memoria
nell’atto registrato al termine della cerimonia e conservato nel Liber
Baptizatorum della Chiesa Arcipretale:
<<Gio: Gregorio Preforo Rocco nato di Cap.no Salvatore de
Giudice e da D. Divitia sua moglie è stato battezzato da me Arcip.te e
patrino è stato il Sig.r Francesco Ant.o Conti di Pofi e S. Portia
Lucia nacque al 24 d.m.>> (1).
E’
significativa la presenza come Padrino di un membro della Famiglia Conti
di Pofi, legata strettamente ai Colonna, a conferma dei legami
sapientemente intessuti da Salvatore con i dignitari dello stato feudale
dei Colonna, di stanza nella piccola capitale di Pofi.
L’ambiente
familiare, la condizione di prestigio e le qualità umane dei suoi
genitori garantirono a Gregorio ed ai fratelli una sicura ed adeguata
educazione, che li fece vivere in un’atmosfera piena di premure, e
serena di affetti.
La
Famiglia de Giudici, guidata dal senso di responsabilità e dal rigore
del Capitano Salvatore ed illuminata dall’amore materno di Donna
Divitia, costituì una realtà umana che si impresse durevolmente
nell’animo di Gregorio.
Dopo
la morte del Capitano Salvatore, avvenuta quando Gregorio aveva cinque
anni, fu Donna Divitia a curare l’educazione personale, umana e
religiosa dei figli, vigilando sulla loro adolescenza e prima
giovinezza.
Il
17 gennaio 1657, Donna Divitia Poti, vedova de Giudici, gravemente
malata, con suo testamento stabiliva come luogo di sepoltura la Cappella
di San Carlo Borromeo all’interno della Chiesa Arcipretale di San
Giovanni, disponendo, per il suo funerale, l’Ufficio doppio e la Messa
Cantata.
Dei
figlioli, Federico era ormai un notaio di prestigio e ben avviato verso
una carriera di successo, già sposato e padre di alcuni bambini.
Le
preoccupazioni principali per questa donna di doti non comuni, che univa
al grado sociale uno spirito profondamente religioso, erano tutte per il
suo ultimogenito, da lei educare personalmente, che aveva reso meno
tristi i lunghi anni della vedovanza.
Da
lei, Gregorio aveva imparato a vivere rispettoso dei doveri verso se
stesso e verso gli altri, con grande senso di riguardo e stima per
tutti. Intelligente e volonteroso, con la sua spiccata personalità,
egli rispondeva brillantemente alle premure materne ricevute.
L’ambiente
semplice di un piccolo borgo come Ceccano, la protezione e l’immenso
amore della madre, lo stimolo a vivere con coerenza gli insegnamenti
della Chiesa e con l’assidua frequenza ai Sacramenti, favorirono la
maturazione nel fanciullo di una sincera vocazione sacerdotale.
Proprio
dal testamento della madre apprendiamo che, nel 1657, Don Gregorio era
alla vigila del conseguimento dell’importante traguardo del
sacerdozio.
Nell’atto,
di cui conosciamo solo l’incipit, Donna Divitia lasciava al figliolo,
affinché egli potesse accedere agli Ordini Sacri, la somma di scudi
trecento, in stabili minuziosamente specificati:
<<A’
D. Gregorio suo figliolo leg.mo, et naturale, la terza parte d’una
Casetta, che sta fuori della Terra di Ceccano nella c.ta dove si dice Le
noci durante, vicino gli altri beni d’essa testatrice;
Lascia
al d.o D. Gregorio suo figlio come sopra, acciò arriva agl’ordini
sacri in tanti stabbili scudi trecento, e con li detti stabbili
s’intendano specificati, e nominati primieram.te l’Alboreto d’essa
Testatrice che stà posto nel Terr. Di Ceccano nella c.ta detta La
Fontana Vecchia di cap.tà circa sei tommoli vicino li beni delli Sig.ri
Angeletti, la strada pub. da tre lati, et altri fini; la Casa, dove
abitava, e stava il q.m m.e Fabio Poti Padre d’essa d. Testatrice, con
patto, che esso D. Gregorio sia tenuto, et obligato annuatim consegnare
ad un Sacerdote da messa tom. mezzo di grano, quale sii obligato
celebrare tante messe per l’Anima d’essa Testatrice, sino à tanto,
che non arrivarà esso D. Gregorio alla Santa Messa, e doppo, ch’esso
sarà arrivato à cantare la Messa>>
(2).
Con
il conferimento degli Ordini Sacri, il giovane si consacrò
definitivamente ed irrevocabilmente al Signore, iniziando un fecondo
apostolato a servizio dei suoi concittadini. Come manifestazione di
stima e di rispetto per la sua opera, il Consiglio della Comunità di
Ceccano, nella seduta dell’8 dicembre 1660, rilevando che Don Gregorio
de Giudici era l’unico sacerdote ceccanese a non avere alcun beneficio
ecclesiastico, lo elesse Cappellano della Chiesa della Madonna de Loco,
di juspatronato della Comunità, in sostituzione prima di Don Cesare
Britio e successivamente di Don Pertio Poti suo parente
(3).
Fra
le prime preoccupazioni del giovane sacerdote vi fu anche quella di
svolgere una attività educativa e pedagogica nella piccola scuola della
Comunità in favore dei fanciulli, come ci conferma una deliberazione
del Consiglio pubblico di Ceccano del 6 novembre 1662:
<<Il
Sig.r D. Gregorio Giudici ha intent.ne d’aprir scuola di grammatica et
insegnarli alli scolari leggere e scrivere e grammatica col salario solo
delli scudi dodici senza prete.dere salario dalli scolari, ma solo legna
e norma>>
(4).
E
questa sincera e generosa aspirazione del giovane sacerdote venne
apprezzata dal Consiglio Pubblico della Comunità di Ceccano, che
all’unanimità, gli affidò ufficialmente la piccola scuola comunale,
unica istituzione in grado di assicurare ai giovani poveri e bisognosi i
primi indispensabili elementi del sapere.
Anche
alcuni atti notarili conservati nell’Archivio Notarile di Ceccano,
testimoniano la presenza di Don Gregorio nella cittadina natale, prima
del suo trasferimento a Roma.
Il
primo è l’atto rogato dal Notaio Silverio Ceccoli, datato 4 maggio
1648, un contratto di vendita della Selva nella Contrada Celletta per
Scudi romani 510, effettuato dall’Illustrissima Signora Divitia Poti,
vedova del Capitano Salvatore de Giudici, presente anche il loro ultimo
figlio, Gregorio.
Il
giovane non era ancora entrato in seminario, poiché non viene citato
come chierico. La vendita è fatta in favore dell’Eccellentissimo e
Reverendissimo Mons. Egidio Colonna, Arcivescovo di Amasia,
rappresentato dall’Illustrissimo Signore Giovanni Rosato Saltasbarre
(5).
In
un atto del Notaio Domenico d’Ambrosi di Ceccano, datato 5 febbraio
1663, Don Gregorio concede in affitto novennale ad un suo confratello
nel sacerdozio, Don Gregorio Liburdi alcuni beni di Casa Colonna:
<<Costituito
il Sig.r Sacerdote D. Gregorio Giudici da Ceccano pr.nte asserendo che
da S.E. li nà stato dato in allocat.ne vita durante l’affitto del
Castello come meglio appare all’ordine di S.E., quale affitto di
Castello dico delle Casi che comincia col primo portone e segue dentro
comprenti però l’horto e lavorativo di lo retrocede, e concede al
Si.r D. Gregorio Liburdi p.nte per anni nove d’ancominciare hoggi, e
finire come, per il quale affitto durante gl’anni nove esso Sig.r D.
Gregorio Liburdi p.nte promette e s’obliga pagare al d.to Sig.r
Giudici o a chi per lui un scudo l’anno a Santa Maria d’Agosto, et
esso Sig.r D. Gregorio Giudici promette mantenere detto affitto per
dett’anni nove di dette casi del Castello, e non rimuoverlo sotto
qualsivoglia quesito ogni volta che detto Sig.r Liburdi pagarà come s.a
detto scudo in detto tempo e così in solido s’obbligano loro
stessi>> (6).
L’atto
è rogato nella Chiesa di Sant’Angelo, alla presenza dei testimoni, il
Signor Nicola Colone e Lionardo Paterno da Ceccano.
Il luogo ed i musicisti con i quali il giovane chierico completò
la sua formazione artistica non sono noti, ma la condizione agiata della
sua Famiglia ci induce a pensare che non furono risparmiati maestri e
precettori di sicuro valore.
In ogni caso, fin dagli esordi della sua carriera musicale, Don
Gregorio si trasferì a Roma con l’intento di perfezionare la
preparazione e per tentare l’ingresso in qualche prestigiosa
istituzione musicale della Città Eterna.
NOTE
1)
Archivio della Ven. Collegiata di San Giovanni Battista in Ceccano, Liber
Baptizatorum anni 1613-1646, c. 120r.
2)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Federico de Judicibus, Faldone 77, c. 4r.
3)
Archivio Comunale di Ceccano, Preunitario, Delibere del Consiglio anni ,
vol. 10, f. 34 r et v e f. 117r.
4)
Ibidem, ff. 70v e 71r.
5)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Silverio Ceccoli di Frosinone, Faldone 71, Prot. 183, cc 40-43 rr
et vv.
6)
Ibidem, Atti del Notaio Domenico D’Ambrosi, Faldone 60, Prot. 160, c.
164r.
MEMBRO
DELLA CONGREGAZIONE
DEI
MUSICI DI SANTA CECILIA IN ROMA
Quando Don Gregorio de Giudici giunse a Roma, la città gli
apparve come uno straordinario scrigno di tesori di arte millenaria, nel
quale erano incastonati i migliori gioielli del rinnovamento urbanistico
promosso dai pontefici negli ultimi decenni. L’immagine dell’Urbe
che si spalancò dinnanzi agli occhi attoniti del giovane chierico
offriva una serie imponente di opere architettoniche, senza eguale al
mondo, fra cui si ergevano, accanto a ruderi dell’antichità classica,
i modelli più ammirati dell’arte costruttiva del momento, che
ispiravano un senso di vivissima sorpresa e di intensa emozione per
grandiosità, linee, colori e concezione spaziale. Proprio in quegli
anni, Bernini aveva completato il Colonnato di San Pietro, Francesco
Borromini lo strepitoso Sant’Ivo alla Sapienza e pittori del calibro
di Pietro da Cortona e Carlo Maratta, nobilitavano sale e cappelle con
affreschi ammiratissimi.
L’immagine della Roma pontificia tracciata da Sisto V con
l’apertura di nuove strade, piazze e monumentali palazzi era stata
ripresa e perfezionata dai suoi successori, Alessandro VII Chigi e
Clemente IX Rospigliosi, che avevano promosso grandiose opere di
incredibile suggestione, simboli del potere pontificio, capaci di
dettare legge in Europa per oltre due secoli.
Roma era meta di schiere di letterati, pittori, artisti,
musicisti, viaggiatori e attori, che convenivano da ogni parte
d’Europa. Con regolari cadenze ed in occasione di particolari
cerimonie, fioriva una serie impressionante di celebrazioni con musiche,
cori, luci, decorazioni, scenografie e grandi apparati nei luoghi sacri,
negli oratori e nei palazzi nobiliari e degli ambasciatori stranieri.
Come centro mondiale della Cristianità, la Roma papale aveva
accentuato, anche per mezzo di cerimonie ed apparati fastosissimi, quel
sincero rinnovamento religioso e spirituale promosso dal sacrosanto
Concilio di Trento. Sede del Sommo Pontefice, la città era divenuta un
centro ineguagliabile di committenza artistica in cui facevano a gara
fra loro i cardinal-nepoti, gli alti prelati, i nobili romani e
stranieri, le confraternite e le numerose fiorenti istituzioni
religiose.
Un aspetto fondamentale caratterizzava la religiosità barocca:
la Chiesa militante celebrava la Gloria del Signore ed il suo splendore
incomparabile, attraverso l’opulenza dei materiali e delle forme,
esaltando la Fede e la Religione per mezzo dei migliori aspetti
sensibili che alludevano e preludevano, in terra, a quelli spirituali ed
ultraterreni della beatitudine celeste. All’interno delle chiese,
l’arte barocca celebrava i suoi suggestivi trionfi: dorature, stucchi,
drappi di stoffa pregiata, panneggi, marmi policromi, pitture e
sculture, tutto convergeva verso l’Altare, sul quale la Chiesa offriva
il Santo Sacrificio della Messa. Il fasto echeggiava anche nelle
facciate esterne delle chiese, popolate da un susseguirsi di statue di
santi, cornici, capitelli, colonne, stemmi ed emblemi.
Alla straordinaria e memorabile attività culturale che
contrassegnò la seconda metà del XVII secolo a Roma, diede un impulso
notevole la Regina Cristina di Svezia, convertitasi alla vera fede e
stabilitasi nella Città Eterna fin dal 1655, accogliendo nel Palazzo
Riario, sede della sua residenza, numerosi intellettuali, letterati,
scienziati e musicisti (come Bernardo Pasquini, Alessandro Stradella ed
in seguito Arcangelo Corelli ed Alessandro Scarlatti). La Regina
Cristina promosse rappresentazioni, concerti, accademie culturali,
cerimonie ed eventi festivi, in cui veniva accentuata al massimo la
meraviglia e l’effimera bellezza delle forme e la caducità delle
cose. L’idealizzazione classica con ninfe, muse e pastori, ispirata ai
miti greci, portò, nel 1690, alla fondazione dell’Arcadia, un
nuovo e prestigioso sodalizio letterario ed artistico che influenzerà
il gusto dell’Europa intera.
Fra i mecenati che si susseguirono negli anni di presenza di Don
Gregorio a Roma ebbero maggior luce i cardinali Benedetto Pamphili e
Pietro Ottoboni. Il primo fu rinomato per le accademie domenicali che
riuniva nel suo Palazzo al Corso, in cui venivano rappresentate
importanti composizioni e gli Oratori per i quali egli stesso scriveva
il libretto. Con l’elezione di Alessandro VIII Ottoboni, avvenuta
nell’ottobre 1689, il pronipote del Papa, il giovanissimo Card. Pietro
Ottoboni, inaugurò un eccezionale periodo di mecenatismo artistico e
musicale, che lo fece salutare come uno dei più grandi mecenati di
tutti i tempi. Con una vastità di interessi culturali e musicali di
certo non comuni, il Card. Ottoboni promosse una serie di eventi
musicali di genere sacro e profano con il concorso dei migliori
musicisti, fra cui le celebrazioni nella Chiesa di San Lorenzo in Damaso,
le Cantate per la Notte di Natale nel Palazzo Apostolico, alla presenza
del Papa e dei cardinali, numerosi oratori, cantate e sonate da camera,
eseguite nel suo Palazzo della Cancelleria, a cui guardavano con
ammirazione i musici di tutta l’Europa.
Fra
i musicisti che operarono alla corte del Pamphili e poi dell’Ottoboni
ricordiamo innanzitutto Arcangelo Corelli, geniale violinista e
compositore fra i più grandi di tutta la Storia della Musica, membro
dell’Arcadia e vera autorità musicale della Roma di fine seicento.
Grande
stima godette anche Bernardo Pasquini, uno dei maggiori cembalisti e
organisti del secolo, che brillava per le sue improvvisazioni, con cui
sbalordiva gli ascoltatori. Verso il 1670, Pasquini divenne Maestro di
Cappella del Principe Giambattista Borghese, poi della Regina Cristina e
membro infine dell’Arcadia. Giacomo Carissimi, considerato ed ammirato
come il padre della forma moderna dell’Oratorio, Maestro di Cappella
della Chiesa di Sant’Apollinare del Collegio Germanico-Ungarico dei
Padri Gesuiti, portò a grande perfezione il genere oratoriale, in cui
la varietà drammatica era sostenuta da un accuratissimo accompagnamento
orchestrale.
Come
compositore di musica sacra si impose Giuseppe Ottavio Pitoni, Maestro
di Cappella fra i più celebrati dell’epoca, autore di un numero
immenso di messe, mottetti, antifone e salmi, che concluse la sua
carriera musicale come Maestro della Cappella Giulia in Vaticano e venne
sepolto nella Chiesa di San Marco.
Molti
musicisti di assoluto talento del periodo barocco soggiornarono a Roma,
dove iniziarono la loro parabola ascendente, propagando la loro
influenza in tutta l’Europa. Fra i compositori che si formarono a Roma
e vi dimorarono per un certo tempo, ricordiamo Alessandro Scarlatti,
giuntovi a soli dodici anni, che fin dalla sua prima giovinezza operò
con successo nell’ambiente musicale romano, presentando la sua prima
opera nel 1679, a diciannove anni, sotto la protezione della Regina
Cristina di Svezia e del Cardinal Pamphili.
Ugualmente,
il giovanissimo musicista modenese Antonio Maria Bononcini fu presente a
Roma negli ultimi anni di residenza di Don Gregorio de’ Giudici,
facendosi ammirare per le proprie geniali qualità di violoncellista e
compositore.
Negli
anni cruciali per l’affermazione dell’arte musicale barocca, con il
rinnovamento dei gusti, degli stili, tecniche e pratiche musicali e
l’emancipazione dai vincoli polifonici, l’ambiente romano fu
estremamente idoneo all’affermarsi di iniziative musicali che
impegnavano una folta schiera di protettori e mecenati, esecutori,
editori e tipografi nel genere sacro e profano, nell’intento di
superare con fervida fantasia, i canoni del classicismo rinascimentale.
Proprio a Roma si dispiegò l’opera di numerosi artisti di prima
grandezza, verso le nuove conquiste estetiche del melodramma e della
musica strumentale che iniziarono a definirsi con una propria ed
acclamata dignità artistica.
In
questo particolare momento, assunse un ruolo di primissimo piano la
Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, un organismo a statuto
pontificio ordinario, riconosciuto ed approvato con vari documenti
papali, fra cui una Bolla di Papa Sisto V ed un Breve di Urbano VIII
(1).
Queste
disposizioni apostoliche simili a quelle emanate in occasione della
costituzione di nuovi ordini religiosi, istituti, collegi e
confraternite, assegnavano al sodalizio ceciliano dei compiti molto
prestigiosi nel panorama artistico e culturale della Città Eterna. Le
cerimonie musicali negli appuntamenti prestabiliti per statuto nel suo
calendario liturgico e l’assistenza sociale dei musici confratelli
infermi o indigenti, ne fecero un eccellente istituto di arte musicale e
di provvida assistenza benefica.
Alla
metà del XVII secolo, i membri della Congregazione erano interpellati
dall’alto patriziato romano per gli interventi musicali in occasioni
festive e celebrative, fornendo strumentisti, musici, cantori e
organisti di primissima scelta e svolgendo una assidua vigilanza nei
settori della vita musicale pubblica romana. Proprio in quegli anni,
l’attività dei Barberini e dei Rospigliosi nell’organizzazione
degli spettacoli musicali, consentì alla Città di Roma di assumere una
posizione di assoluta preminenza nel panorama del teatro musicale
dell’epoca.
La
Congregazione dei Musici di Santa Cecilia aveva una struttura interna
precisamente definita nelle cariche onorarie ed effettive. Il Cardinale
Protettore conferiva prestigio, lustro e protezione al sodalizio in
tutte le sue difficoltà, mentre il Prelato Primicerio assumeva
le vere funzioni di presidente dell’istituzione. Accanto a queste
figure si affiancavano, per i compiti pratici ed organizzativi, i “Guardiani”,
presidenti delle varie categorie dei congregati: maestri di cappella,
strumentisti, cantanti (musici) e organisti. Il Camerlengo era il
tesoriere e responsabile amministrativo, afiancato dal Segretario.
Molta
importanza rivestivano le cariche di Infermiere e Visitatore
delle Carceri, impegnati scrupolosamente nelle pratiche
assistenziali in favore dei congregati, che costituivano una parte
ammirevole dell’attività del sodalizio ceciliano.
I
Verbali di due sedute della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia
documentano l’aggregazione del sacerdote e musico ceccanese Don
Gregorio de Giudici all’insigne istituzione romana e, nel contempo,
offrono uno squarcio di luce sulla sua biografia artistica e sulla sua
personalità umana.
Egli
risultava aggregato al sodalizio ceciliano nella categoria degli
esercenti, come musico cantore che svolgeva stabilmente ed ufficialmente
una apprezzata attività artistica nelle cappelle e basiliche romane.
In
ogni caso, i dati su Don Gregorio che si ricavano dalle due sedute,
hanno valore retrospettivo e ci inducono a ritenere che il giovane
cantore facesse parte del sodalizio già da qualche tempo, figurando fra
i congregati intervenuti alle riunioni nella categoria degli artisti che
godevano di una posizione sociale e di una affermazione artistica
riconosciuta professionalmente.
Nel
caleidoscopico e fervido ambiente musicale romano, Don Gregorio era una
personalità musicale già in vista ed un serio professionista, che
svolgeva la sua attività in posizioni di prestigio e con una precisa
vocazione musicale. Certamente, egli si sentiva molto fiero del grande
privilegio che gli veniva concesso di appartenere alla
istituzione, considerandosi quasi insignito di una preziosa
onorificenza artistica.
La
prima seduta in cui figura il nome di Don Gregorio de Giudici si tenne
il 18 marzo 1664, nella Chiesa di Santa Maria Maddalena, presso i Padri
Ministri degli Infermi di San Camillo de Lellis (2). In quella
occasione, la Congregazione Generale composta da ben 48 membri, venne
chiamata ad eleggere i nuovi Officiali, cioè i quattro Guardiani,
il Camerlengo, il Segretario, i Sindici e gli Infermieri.
Nel corso delle votazioni, fu confermato Guardiano dei Maestri di
Cappella Antonio Maria Abbatini, mentre per l’ufficio di Guardiano
degli Organisti, si fronteggiarono varie candidature fra cui quella
di Ercole Bernabei e Arcangelo Lori.
Il
Verbale della seduta costituisce un documento di grande importanza
storica, nel quale Don Gregorio risulta a diretto contatto su un piano
non solo artistico, ma anche umano e sociale, con alcune personalità
del mondo musicale romano di assoluto rilievo ed estremamente influenti,
come Antonio Maria Abbatini, Francesco Foggia, il celebre violinista
Carlo Mannelli ed il cantore Francesco Litrico. Questi personaggi, con
intenti di sincera fraternità e spirito di collaborazione,
partecipavano all’attività di un sodalizio che preparava, in quegli
anni, una nuova epoca per l’arte musicale, scenica, vocale e
strumentale romana, promovendo, nello stesso tempo, una serie ammirevole
di iniziative di carità.
Il nome di Don Gregorio è nuovamente citato nel Primo Volume dei “Verbali
delle Congregazioni Generali e Segrete”, in data 22 ottobre 1669
fra i partecipanti alla Congregazione che si riunì sotto la presidenza
del Primicerio, Mons. Girolamo Casanate, celebre letterato e futuro
cardinale (3). Nella seduta vennero assunte delle importanti decisioni
in ordine alla organizzazione di grandi celebrazioni musicali per
l’imminente festa di Santa Cecilia.
Come
attestano i due verbali, in queste sedute della Congregazione vennero
trattati problemi di particolare natura e di significativa portata,
relativi ai domini dell’arte e dell’assistenza sociale, a conferma
dell’importanza dei compiti assunti dal sodalizio ceciliano negli anni
del rinnovamento culturale e musicale della società romana, che
caratterizzarono la seconda metà del XVII secolo.
NOTE
1)
Sulla Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, si veda REMO GIAZOTTO, Quattro
secoli di storia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, 2 voll.,
Roma 1970. Per uno sguardo d’insieme sul periodo romano negli anni di
Arcangelo Corelli, si veda lo Speciale Amadeus su Arcangelo Corelli,
De Agostini – Rizzoli Periodici, Milano 1998, con articoli di Massimo
Rolando Zegna, Gloria Staffieri e Carlo Vitali.
2)
Archivio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Verbali delle
Congregazioni Generali e Segrete, Volume I, cc. 41 r et v. Nei
registri del sodalizio, la posizione di Don Gregorio de Giudici come
congregato è la numero 299.
3) Ibidem, cc. 21 r et v.
NELLE
PRESTIGIOSE CAPPELLE MUSICALI ROMANE
Nelle
istituzioni ecclesiastiche della Città Eterna si susseguivano a ritmo
incessante occasioni estremamente propizie e sagacemente disciplinate,
in cui veniva affidato alla musica di genere sacro il compito di rendere
solenne e splendido il culto divino.
Con
grandi risorse e protezioni autorevoli, le realtà musicali cittadine
formavano ed arricchivano gli orientamenti estetici di numerosi maestri
di cappella, cantanti e strumentisti, per i quali non rari erano gli
attestati di stima e di onori da parte della Corte Pontificia e degli
ambienti aristocratici ed ecclesiastici.
Anche
Don Gregorio de Giudici, negli anni precedenti al suo ingresso nella
Cappella Pontificia, strinse intensi e fecondi legami con alcune
Cappelle Musicali romane, fra cui quella della Chiesa di Santo Spirito
in Sassia e di San Luigi dei Francesi, dove fu al servizio in iniziative
musicali importanti e prestigiose, che gli consentirono di affinare il
gusto, la tecnica e lo stile del canto sacro romano.
L’Ospedale di Santo Spirito in Saxia, affidato nel 1204 da Papa
Innocenzo III al Beato Guido di Montpellier ed ai suoi confratelli e
suore nel borgo presso San Pietro, era considerato da secoli l’Hospitale
Pontificium per eccellenza, il più celebre ed antico di Roma ed il
più grande d’Europa. Nella Chiesa annessa all’Ospedale, secondo Don
Antonio Allegra, autore di uno studio sull’Archivio Musicale di Santo
Spirito in Saxia, <<fiorentissima era l’attività musicale
liturgica, che aveva occasione di esplicarsi, sia nelle esecuzioni
ordinarie, sia in quelle straordinarie delle festività più solenni,
nelle quali la Chiesa di Santo Spirito, privilegiata per la sua
posizione, (San Pietro essendo da quella poco distante), doveva
mantenere un eccezionale decoro, tanto più che non di rado aveva
l’onore di essere sede prescelta per la Cappella Papale. Così spese
straordinarie si facevano nell’occasione della processione di
Pentecoste, a cui il Pontefice interveniva>> (1).
Sempre secondo Don Allegra, l’epoca del più grande splendore per la
Cappella di Santo Spirito fu proprio il XVII secolo, quando Ercole
Pasquini e Girolamo Frescobaldi erano organisti, Giovanni Francesco
Anerio, Gregorio Allegri ed Oratio Benevoli Maestri di Cappella.
La Cappella Musicale di Santo Spirito in Saxia era composta dal
Maestro di Cappella, dai Cappellani Cantori e dall’organista, che
assistevano in Choro alle Sante Messe, ai Vesperi ed alle Feste
che si celebravano nella Chiesa, con il concorso della Cappella
Musicale. I Cantori utilizzavano degli splendidi Codici musicali,
alienati in seguito e passati ad arricchire la collezione della Scuola
Benedettina di Ratisbona, che oggi si ammirano nella Biblioteca
Prose-Haberl a Ratisbona. Nella Chiesa erano presenti due organi, uno
dei quali maggiore, fabbricato da Nicola Dezzano da Cremona, costato ben
400 scudi ed inaugurato nel 1546.
In particolar modo, la Domenica ed il Lunedì di Pentecoste, con la
processione, richiedevano la partecipazione di cantori e strumenti, che
sotto la guida del Maestro di Cappella eseguivano brani musicali durante
le funzioni. Varie altre feste liturgiche si tenevano in Santo Spirito e
richiedevano ugualmente la solenne presenza della Cappella Musicale.
Proprio nell’esame dei documenti che testimoniano la vita musicale
di questa Cappella Romana, Don Antonio Allegra ha rinvenuto il nome di
Don Gregorio de Judicibus, come secondo basso e nella data del 4 agosto
1668 (2). Nel periodo in cui è attestato il servizio di Don Gregorio
come Cappellano Cantore nella Cappella di Santo Spirito, l’ufficio di
Maestro di Cappella era ricoperto da Don Francesco Berretta, religioso
della Congregazione ospedaliera e quello di organista da Pietro Angelo
Guidoni.
Dalla
lista dei candidati ad un posto di Basso nella Cappella Pontificia del
1670, risulta che Don Gregorio de Giudici faceva parte in quel periodo
della Cappella Musicale della Chiesa di San Luigi dei Francesi di Roma,
in qualità di “Musico”, cioè cantante (3).
Jean Lionnet, autore di un saggio sulla storia musicale di San
Luigi dei Francesi ha ipotizzato che Don Gregorio sia succeduto a
Giuliano Reali, quando questi aveva lasciato Roma alla volta di Monaco
di Baviera, alla fine del 1665 (4).
Il periodo di attività nella Cappella Nazionale francese a Roma
fu molto importante per la carriera artistica di Don Gregorio, in quanto
l’istituzione era formata da musici di primissimo piano, gravitanti
nell’ambiente dell’Ambasciata di Francia, i quali, con grandiose
rassegne musicali nelle solennità religiose (come le festività di San
Luigi IX Re di Francia e di Sant’Ivo di Chartres) accrescevano lustro
alla potenza politica e diplomatica alla “Figlia
Primogenita della Chiesa”nella sede del Vicario di Cristo.
Maestro
di Cappella in quegli anni era un compositore molto apprezzato nella
cerchia della Regina Cristina di Svezia, Ercole Bernabei, che di lì a
poco avrebbe assunto l’ufficio di Maestro della Cappella Giulia in
Vaticano, succedendo al suo maestro Orazio Benevoli, prima di
raggiungere con grandi onori la Corte Elettorale di Monaco di Baviera.
Per il Prof. Giancarlo Rostirolla, <<parallelamente alla sua
attività sistina, il Giudici partecipò spesso a celebrazioni con
musica che si tenevano per festività e ricorrenze speciali nei maggiori
istituti ecclesiastici di Roma>> (5).
Il Rostirolla cita in proposito due importanti presenze di Don
Gregorio nella Basilica di Santa Maria Maggiore, la prima nella Messa
Solenne della Domenica fra l’Ottava della Natività di Maria,
l’11 settembre 1672, quando, come cantore in voce di Basso, figura in
un cospicuo gruppo di musici, che cantò sotto la guida del celebre
compositore e Maestro della Cappella Liberiana Antonio Maria Abbatini
(6) e la seconda il 5 agosto 1679, per le grandiose celebrazioni di Santa
Maria ad Nives, cioè nell’anniversario della Dedicazione della
Madonna della Neve, celebrata in Santa Maria Maggiore con grande
solennità e fasto, in ricordo della miracolosa nevicata che delimitò
l’area della futura basilica, la prima dedicata alla Vergine Maria a
Roma (7).
Dalla lista di pagamenti del 1672, si apprende che Don Gregorio
sarebbe stato attivo anche nella Cappella Musicale della Chiesa di Santa
Maria in Traspontina.
NOTE
1)
Don ANTONIO ALLEGRA, La Cappella Musicale di S. Spirito in Saxia di
Roma: appunti storici (1551-1737), in Note d’Archivio
per la Storia Musicale, Anno XVII, n. 1-2 (gennaio-aprile 1940),
pagg. 26-38.
2)
Don ANTONIO ALLEGRA, Mastri e Cantori nella Cappella di Santo Spirito
in Sassia (1551-1737), Tesi per Magistero in Composizione Sacra,
Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, 1937 (alla data).
3) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina,
Diario n. 88, 1670, c. 14v e 15r;
4)
JEAN LIONNET, La musique à Saint-Louis des français de Rome au XVII°
siècle, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 1985-1986, supplemento a Note
d’Archivio per la Storia Musicale, n.s. Anno III, 1985, I Volume,
pag. 106 e supplemento a Note d’Archivio per la Storia Musicale,
n.s. Anno IV, 1986, II Volume, pag. 111.
5)
GIANCARLO ROSTIROLLA, La musica
nelle istituzioni religiose romane al tempo di Stradella, in Chigiana,
Firenze Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXIX, pag. 744.
6)
GALLIANO CILIBERTI, Antonio Maria Abbatini, Perugia 1996, pagg.
553 e 596. Il compenso attribuito a Don Gregorio fu di 0,60 scudi
romani.
7)
JOHN BURKE, Musicians of S. Maria Maggiore Rome 1600-1700/a
social and economic study, Edizioni Fondazione Levi, Venezia 1984,
pag. 117. Il compenso attribuito a Don Gregorio fu di uno scudo
romano.
CANTORE
E MAESTRO DELLA CAPPELLA PONTIFICIA
L’attività svolta da Don Gregorio, con serietà e dedizione,
in molte cappelle musicali romane lo aveva posto in luce negli ambienti
musicali ecclesiastici, procurandogli rispetto e considerazione.
Ormai, nel complesso e suggestivo ambiente musicale romano, egli
era considerato un cantore
nella voce di Basso di notevolissime qualità, dedito al solo genere
sacro, romano a tutti gli effetti, per scuola, vocazione ed elezione,
dotato di una forte personalità in cui convergevano gli aspetti
migliori della scuola artistica e culturale erede della tradizione
polifonica palestriniana e del canto gregoriano.
Legittimamente, la sua personalità aspirava alla dignità ed al
prestigio della maggiore Cappella musicale Romana, quella Pontificia, di
rinomanza mondiale, che costituiva simbolicamente ed idealmente il
coronamento delle sue aspirazioni di artista, consentendogli di
sviluppare a pieno le esigenze della sua vita musicale e, come
sacerdote, di servire da vicino la sacra persona del Pontefice Romano.
La Cappella Musicale Pontificia, vantava le sue antiche e
nobilissime origini nella Schola Cantorum riorganizzata da San
Gregorio Magno nella Basilica di San Pietro allo scopo di conservare i
canoni interpretativi dei canti della tradizione ecclesiale romana.
Divenuta
il coro personale del Pontefice, fu denominata anche Sistina,
perché Papa Sisto IV, con Bolla del 1 gennaio 1480 aveva riorganizzato
la Cappella Musicale come cantoria stabile e riservata per le funzioni
papali, dandole nuova disciplina giuridica ed amministrativa. Per tali
motivi, il Collegio dei Cantori era impiegato nelle funzioni papali, la
cui ufficiatura avveniva nella Cappella Sistina <<Sacellum
Sixtinum>>, del Palazzo Apostolico in Vaticano, affrescata da
Mino da Fiesole, dal Signorelli, dal Beato Angelico, dal Perugino e poi
da Michelangelo.
I
Cantori Pontifici dovevano cantare ogni giorno nella Cappella o nelle
altre chiese in cui si recasse il Pontefice, impreziosendo le grandi
ufficiature delle Cappelle Papali nelle feste e nelle domeniche.
La
Cappella dei Cantori Pontifici costituiva il complesso di voci adibito
al servizio liturgico presso la Corte Papale e godeva di una universale
e vivissima stima, sempre rinnovata da parte dei Pontefici Romani, di
molte Case Regnanti e di numerosi personaggi di rilievo.
L’illustre
ceto dei Cantori era annoverato tra gli ordini più cospicui della
gerarchia ecclesiastica e già Papa Eugenio IV, nella sua Bolla “Et
si erga cunctos”, del 1 febbraio 1403, onorava i Cantori come veri
“Famigliari, e continui commensali del Pontefice” (1).
Andrea
Adami, Cantore soprano della Cappella Pontificia, autore di un prezioso
volume Osservazioni per ben regolare il Coro de i Cantori della
Cappella Pontificia, a tal proposito, così si esprimeva:
<<La
stima fatta sì da i Pontefici Romani, che dagli altri Principi, e
Personaggi insigni de i Cantori della Cappella Pontificia, è stata
sempre tale, che non poca ragione si ha di poterli annoverare tra gli
ordini più cospicui della Gerarchia Ecclesiastica ne i secoli
passati>> (2).
<<Hanno poi i Sommi Pontefici sempre procurato di avere
i migliori Virtuosi d’Europa per il servizio della loro Cappella>>
(3).
Nel
corso dei secoli, si erano succedute numerose Bolle e Brevi Pontifici
che specificavano i grandi privilegi, le prerogative e le alte
distinzioni concesse dai Sommi Pontefici all’illustre Collegio dei
Cantori Pontifici.
Anche
Gaetano Moroni, nel suo Dizionario di Erudizione
Storico-Ecclesiastica, aveva parole di vivo elogio per la Cappella
Musicale Pontificia, a testimonianza della grandissima stima di cui
l’istituzione continuava a godere nei secoli:
<<Il Collegio dei cappellani Cantori della cappella
Papale, è composto di ecclesiastici, scelti dopo gli sperimenti più
rigorosi ne’ concorsi, sì per le voci, che per la perizia del canto.
La loro musica è composta di sole trentadue voci, quando il numero è
pieno, senza l’aiuto di verun istrumento; ed è tanto armonica,
esatta, e divota, che in un alla sua gravità ecclesiatica, ha formato
sempre lo stupore, e l’ammirazione delle più colte nazioni, ed
accresce maestà alle auguste funzioni sagre, assistite o celebrate dal
Sommo Pontefice e dal sagro collegio de’ Cardinali>> (4).
Sempre
il Moroni ricordava con profondo rispetto ed ammirazione gli <<uomini
illustri ed insigni per dignità, santità, dottrina e scienza musicale
che fiorirono nella Scuola dei cantori, e nel collegio di essi, i più
rinomati professori di musica, e insigni cantori che accrebbero lustro
al collegio e che lo arricchirono di preziose composizioni>>
(5).
<<Quando
il Pontefice dispensa al trono nella cappella, le candele, le ceneri, le
palme, e gli Agnus Dei benedetti, quattro cappellani cantori vi si
recano a riceverle dopo i cubicularii, e nel venerdì santo altrettanti
vanno all’adorazione della Croce, mentre gli altri proseguono il canto
in coro, cioè nella cantoria. Anticamente tutto il collegio de’
cantori si recava all’adorazione della Croce, e al trono per ricevere
dal Papa le sopradette cose. Il loro posto nelle processioni è avanti
la prelatura, che ha l’uso del rocchetto>>
(6).
<<Nelle
cappelle Cardinalizie, e prelatizie, fanno da diacono e suddiacono due
cappellani cantori, assumendo allora i rispettivi paramenti sagri. Il
Passio della domenica delle palme è cantato da tre sacerdoti cantori,
cioè da un tenore, un contralto, e un basso, vestiti di amitto, camice,
cingolo, e stola diaconale>> (7).
Enrico
Celani, nel 1903, ricordando che la Cappella Pontificia <<tanto
racchiude per la storia della musica sacra in Italia>> (8)
pubblicò alcune notizie tratte da un manoscritto conservato nella
Biblioteca Corsiniana di Roma, redatto dal Cantore della Cappella
Sistina Matteo Fornari, nel 1749.
Il
Fornari, nel riflettere, con vari argomenti, sulla considerazione che i
Pontefici avevano sempre manifestato per la <<celebre>>
Cappella Pontificia e <<del pregio in cui hanno i medesimi in
ogni tempo tenuto il canto ecclesiastico, distinguendovi i professori
con laute grazie>> (9), illustrava lo scopo della sua
narrazione storica: <<che il Collegio dei Cantori Pontifici
abbia notizia di tanti valenti uomini che parte con la perizia e maestà
del canto, parte con le scelte composizioni con le quali arricchirono il
nostro archivio, hanno appo tutto il mondo resa cospicua la Cappella del
Papa>> (10).
Del
Collegio facevano parte i “Cantori
esercenti”, cioè quelli iscritti al ruolo nell’attuale
ed effettivo servizio, per ciascuna delle quattro parti di Soprano,
Contralto, Tenore e Basso, ed i “Giubilati”, cioè i cantori che avevano raggiunto il
traguardo dei 25 anni di servizio presso l’istituzione e continuavano
a ricevere gli emolumenti fino alla loro morte.
Nella erudita ricostruzione operata da Gaetano Moroni, la “Famiglia
Pontificia”, composta da quegli ecclesiastici e secolari
addetti al domestico e personale servizio del Sommo Pontefice, ed agli
uffici del suo Palazzo Apostolico, si divideva in due ceti, cioè i “Famigliari
intimi e personali del Papa” ed i “Famigliari
addetti al servigio dei Palazzi apostolici”.
I Cantori Pontifici, riuniti in Collegio, per l’ufficio e la
carica a loro conferita, godevano del titolo e della considerazione di “Famigliari
e commensali del Papa”.
Per
questo, secondo le antichissime graduazioni e precedenze relative alle
qualifiche dei “Famigliari
intimi e personali del Papa”, il Collegio dei Cantori
Pontifici era registrato nel ruolo del Sagro Palazzo Apostolico con le
sue proprie prerogative, precedenze e con particolari attribuzioni ed
emolumenti.
Il
superiore della “Famiglia
Pontificia” era il prelato Maggiordomo Prefetto dei Sagri
Palazzi Apostolici.
Sempre
secondo il Moroni, prestare domestico e personale servigio al Pontefice
Romano, <<sovrano d’uno de’ più floridi stati d’Italia,
che ha per capitale l’antica regina del mondo, riunisce la sublime e
suprema dignità ed autorità di vicario di Gesù Cristo, e di capo
della Chiesa Cattolica: grado eccelso che non ha pari sulla terra>>
(11) costituiva una preziosa onorificenza ed una soddisfazione
religiosa. Grande onore provavano i familiari del Papa nel vedersi
continuamente impiegati nel suo servizio, abitare nella sua stessa
nobile residenza e sperimentando gli effetti benefici, spirituali e
temporali, di questa fortunata condizione.
Per
tali motivi, ai “Famigliari del
Sommo Pontefice”, fra cui i Cantori Pontifici, si richiedevano <<bontà
di vita, esemplarità di costumi ed integra condotta>> (12)
quali veri omaggi di profonda venerazione prestati al Successore del
Principe degli Apostoli.
Il
Collegio dei Cantori Pontifici aveva il diritto al Sigillo grande e
piccolo, con l’immagine di Maria Santissima Assunta in Cielo, titolo
della Cappella, insieme ai privilegi della immediata privativa
dell’ordinamento amministrativo di governare se stesso ed il diritto
di fare leggi interne e multare i colleghi con pene pecuniarie e di
altro genere, minuziosamente prescritte e regolate dalle Costituzioni.
Don
Gregorio de Giudici partecipò per la prima volta al concorso per voce
di Basso nella Cappella Pontificia il 18 giugno 1668 e fra molti
concorrenti ottenne 20 voti in favore ed 11 contrari, risultato
lusinghiero, ma non sufficiente per l’ingresso nel Collegio (13).
Il
24 novembre 1670 tentò nuovamente la sorte, partecipando al concorso
per la parte di basso, a cui veniva attribuita la mezza paga vacante per
la morte del Cavalier Loreto Vittori, ma ottenne solo 6 voti favorevoli
e 25 contrari (14).
Nel 1672 venne emanato l’Editto per un posto di Basso e Don
Gregorio, al termine di un intenso periodo di preparazione, consapevole
delle sue potenzialità, per la terza volta partecipò al concorso, che
si svolgeva secondo delle norme ben precise e severe.
Con
Bolla “Romanus Pontifex Christi Vicarius”, datata apud S.
Petrum il 17 novembre 1545, Papa Paolo III aveva approvato le
Costituzioni della Cappella presentate da Mons. Ludovico Magnasco,
Vescovo di Assisi, Maestro della Cappella, concedendo al Collegio il
privilegio di poter ammettere un nuovo Cantore, nella mancanza di un
altro, per mezzo di una elezione da parte dei Cantori stessi con voti
segreti. S’intendeva ammesso all’ufficio il concorrente che giungeva
al partito di un voto in più di due terzi dei votanti.
Paolo
V con Breve del 7 febbraio 1607 confermò tale Bolla ed in particolar
modo il privilegio della scelta dei nuovi Cantori, secondo le solennità
prescritte dalle Costituzioni della Cappella, con concorso fatto per
pubblico Editto e successivo esame dei candidati ad opera dai membri del
Collegio stesso, a cui seguiva una votazione segreta.
Preliminarmente,
si riunì la Congregazione del Collegio per un esame di quelli che
dovevano concorrere e sopra le loro qualità, con una verifica dei loro “buoni
costumi e buona nascita”.
Il
14 dicembre 1672, si svolse la sessione solenne del Concorso.
Il
Cardinale Protettore, Virginio Orsini, romano, creato da Urbano VIII e
nominato protettore da Clemente X il 5 settembre 1671, in abito corale,
sedente sul ripiano del Trono della Cappella Pontificia, fu chiamato a
presiedere alla prova dei concorrenti al cantorato, assistito dal Prelato Maggiordomo
Prefetto dei SS. Palazzi Apostolici.
I
trenta membri del Collegio dei Cantori Pontifici, vestiti con sottana
paonazza e ferraiolo nero, presero posto nei banchi dei Cardinali.
I
concorrenti, dopo aver fatto i consueti esperimenti, uno per volta
cantarono una lezione. Fatti uscire aveva inizio la votazione da parte
dei cantori presenti, che giudicavano così la performance del
candidato.
Il
Collegio iniziava a votare e di mano in mano si portavano le bussole al
Signor Cardinale, che provvedeva personalmente a porre i voti ancora
segreti in un contenitore, su cui veniva scritto sopra il nome del
concorrente.
Al
termine dell’esame e delle votazioni ed alla presenza del Collegio, il
Cardinale Orsini procedette all’apertura dei piccoli contenitori ed
allo spoglio dei voti.
Il risultato, questa volta premiò pienamente la tenacia e le
grandi qualità vocali di Don Gregorio. Caso molto raro in un concorso
della Cappella Pontificia, egli ottenne all’unanimità il voto degli
esigentissimi cantori pontifici e conseguì immediatamente l’ambito e
prestigioso ufficio.
Il Diario Sistino del 1672, nella sua immediatezza ci offre la
cronaca del grande successo conseguito da Don Gregorio:
<<Don
Greg.o de Judicibus in fav.re 30>>
<<E
così con commune applauso fù chiamato il Sig.r D. Greg.o e gli fù
data dall’Em.mo Protett.re la Cotta con gusto un.le, e dopo si mise
all’ult.o luogo e li fù dato l’osculum pacis>>
(15).
Con sua grande soddisfazione, Don Gregorio poté ricevere le
congratulazioni dei suoi nuovi colleghi e rivestirsi dell’Abito dei
Cantori Pontifici, cioè la veste talare, fascia e collare di seta
paonazza, con mostre, asole e bottoni cremisi e mantello o ferraiolone
di seta nera. Quando era in servizio nelle Cappelle e Funzioni
liturgiche, sulla veste o sottana paonazza, egli doveva indossare la
cotta clericale.
Il canto solenne, i luoghi ricchi di storia e i riti legati al
loro servizio musicale avevano fatto sì che il Collegio assumesse un
significato quasi mitico. I Cantori Pontifici, infatti erano partecipi
di un’aura leggendaria ed immersi nell’atmosfera sacrale della Corte
Pontificia, che si era mantenuta e rafforzata nel tempo, tra storia e
leggenda, con le sublimi creazioni del Palestrina e con la piena
applicazione delle direttive musicali sancite dal Sacrosanto Concilio di
Trento.
Il
canto nel suo stile solenne aveva le sue caratteristiche “romane”
specifiche nella sobrietà e nell’atmosfera sacra della lode divina,
da cui emanava una interpretazione artistica della scrittura polifonica
di prima grandezza e suggestione.
Solo
dopo che Don Gregorio, nella sua qualità di novizio,
ebbe prestato il giuramento di fedeltà alle Costituzioni del
Collegio, i Cantori Pontifici iniziarono a disvelare ai suoi occhi le
chiavi interpretative ed i segreti nel canto di cui erano gelosi
depositari, insieme alle notizie sulla vita collegiale dei maestri
cantori e sulle consuetudini della Cappella Pontificia.
Possiamo
ben immaginare con quanta emozione egli fece il suo ingresso, per la
prima volta, nella Cantoria monumentale della Cappella Sistina,
opera di Mino da Fiesole e G. Dalmata, la loggia marmorea destinata ai
cantori, a forma di parapetto sporgente, nella quale il coro intonava le
sue splendide melodie.
I
luoghi delle celebrazioni solenni in cui interveniva il Pontefice erano
in primo luogo la Cappella Sistina nel Palazzo Apostolico Vaticano, la
Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale e la Basilica di San Pietro
in Vaticano.
Nei
fastosi apparati e cerimonie della Roma papale, il Collegio dei Cantori
Pontifici utilizzava dei preziosissimi Codices Cantorum, cioè
dei libri musicali in pergamena, con le esclusive opere musicali dei più
famosi cantori-compositori, scritti con bellissimi caratteri da
eccellenti calligrafi ed adornati con splendide miniature, capolettera e
fregi spesso di soggetto religioso, secondo lo stile dei tempi.
Un
solo codice di notevoli dimensioni, posto sul leggio, permetteva la
lettura delle note da parte di tutti i cantori del coro.
Per il loro ufficio musicale, i Cantori potevano consultare
l’Archivio del Collegio dei Cantori Pontifici, che aveva il suo
ingresso nella quarta porta della Sala Ducale, su cui era affisso il
cartiglio:“Archivio de’ Musici cantori della Cappella
Pontificia”. Negli armadi delle sue stanze, si conservavano libri
e pergamene delle più preziose composizioni musicali utilizzate nelle
funzioni fatte dal Papa o in cui interveniva un Cardinale. Un posto
d’onore era riservato alle nobilissime composizioni del Principe
della Musica, Giovanni Pierluigi da Palestrina, che conferivano ogni
splendore al canto ecclesiastico della Chiesa di Roma.
Gli emolumenti spettanti ai Cantori Pontifici erano molto pingui.
Gregorio XIV con Breve datato 1 ottobre 1591 aveva stabilito le rendite
del Collegio dei Cantori, concedendo 200 scudi annui a ciascuno di essi.
Quali Famigliari Pontificii, i Cantori avevano diritto, dal 1672,
al pane ed al vino, concessione che traeva la sua origine dalle
colazioni e pranzi che essi in passato ricevevano nel Palazzo Apostolico
ogni volta che in Cappella celebrasse un Cardinale o un Vescovo
Assistente al Soglio Pontificio. Inoltre, a turno ricevevano una scatola
di confetti. Numerose e molto consistenti erano le propine di cui
godevano da sempre in occasione della concessione dei cappelli
cardinalizi, di cerimonie cardinalizie e con vescovi assistenti al
Soglio Pontificio e di vari introiti, in occasione di canonizzazioni,
beatificazioni ed esequie di cardinali e vescovi.
Al suo ingresso nella Cappella Pontificia, come era antica
consuetudine, Don Gregorio ebbe “metà della paga” ed il 20
settembre 1680, con esplicito mandato del Cardinale Protettore, Felice
Rospigliosi, venne ammesso a godere dell’altra “mezza paga”,
godendo così dell’emolumento pieno (16).
Nel
Diario Sistino del dicembre 1672, sono compiutamente registrati i
primi impegni ufficiali di Don Gregorio de Giudici, nella sua nuova
veste di Cantore Pontificio (17).
Domenica
19 dicembre, Cappella Papale, Cantò la Messa Mons. De Angelis, Vice
Gerente, alla presenza del Pontefice Clemente X.
24
dicembre, Cappella Papale per la Natività di N. S.re Gesù Cristo, alla
presenza di Sua Santità Clemente X, rivestito della Cappa Magna.
Notte
di Natale, Cappella Papale senza la presenza del Papa. Cantò la Messa
l’Em.mo Cardinale Carpegna, Datario.
Mattina di Natale, Cappella Papale in Monte Cavallo, cioè
nella Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale, colla presenza di N.
S.re. Cantò la Messa il Cardinale Barberini, Decano del Sacro Collegio.
Lo
stesso giorno, dopo il pranzo, il Collegio cantò il Vespro Segreto
nelle Camere di N. S.re.
Lunedì
26 dicembre, Festività di Santo Stefano Protomartire, Cappella Papale,
colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale d’Este.
All’Offertorio, il Collegio dei Cantori Pontifici intonò il mottetto Cum
autem esset Stephanum, del Palestrina
Martedì
27 dicembre, Festività di San Giovanni Apostolo ed Evangelista,
Cappella Papale colla presenza di N. S.re. Cantò la Messa il Cardinale
Portocarrero. All’Offertorio, venne eseguito il mottetto Hic est
Beatissimus Discipulus, del Palestrina.
Il
Pontefice regnante, al cui servizio entrò Don Gregorio era il romano
Emilio Altieri, eletto Papa con il nome di Clemente X, a ottanta anni,
dopo cinque mesi di conclave, il 29 aprile 1670. Di animo mite e consapevole
delle difficoltà del governo, aveva affidato gli affari amministrativi
dello Stato della Chiesa al Cardinal Paluzzo Paluzzi degli Albertini,
concedendogli il cognome Altieri. In politica internazionale fu amico di
Giovanni Sobieski, favorendo la sua elezione a Re di Polonia nel 1674.
Il
pontificato di Clemente X fu fecondo di opere volte ad assicurare il
benessere dei sudditi e l’abbellimento di Roma, sede del Papato,
favorendo le arti e le
ultime opere dell’ormai anziano Bernini, che su mandato del Papa eseguì
il ciborio in bronzo per la Cappella del Santissimo Sacramento in San
Pietro ed alcune statue per la decorazione di Ponte Sant’Angelo.
Sempre il Pontefice nominò architetto di corte Carlo Rainaldi, in
sostituzione del Bernini. Nelle ultime promozioni cardinalizie di Papa
Clemente X, ottennero il galero illustri personalità ecclesiastiche: il
16 gennaio 1673, il Cardinale Felice Rospigliosi, nipote di Clemente IX;
il 12 giugno 1673, Francesco Nerli, Girolamo Gastaldi, il celebre
letterato Girolamo Casanate e Pietro Basadonna, mentre l’ultimo
Concistoro del Pontificato si tenne il 27 maggio 1675.
Papa Clemente X celebrò il XV Giubileo della Storia della
Chiesa, l’ultimo del XVII secolo. Il primo Anno Santo era stato
introdotto da Papa Bonifacio VIII, nel 1300, su ispirazione dello zio,
il Beato Andrea Conti dell’Ordine Francescano.
Clemente X lo aveva indetto alla veneranda età di 84 anni, con
la Bolla “Ad apostolicae vocis oraculum” del 16
maggio 1674.
Per il Collegio dei Cantori Pontifici, l’Anno Santo fu ricco di
impegni solenni, a cui il Collegio seppe far fronte in maniera
impeccabile, destando l’ammirazione dei pellegrini, accorsi da ogni
parte del mondo nel numero di un milione e mezzo, che poterono
apprezzare quanto fossero accurate le esecuzioni della Cappella,
insuperabile nell’arte polifonica e nello spirito liturgico.
La Notte di Natale del 1674, il Pontefice aprì solennemente la
Porta Santa nella Basilica di San Pietro. Assistevano alla cerimonia la
Regina Cristina, insieme a molte principesse e principi tedeschi. I
romani videro in quell’occasione, per la prima volta, il ricco
Tabernacolo della Cappella del Santissimo Sacramento, eseguito secondo
il disegno di Gian Lorenzo Bernini e costato 40.000 scudi romani.
La solenne cerimonia ebbe inizio nella Cappella Sistina, dove
Papa Clemente X giunse in Sedia Gestatoria <<alle 20 hore,
accompagnato dal Sacro Collegio>> (18).
Dopo
aver pregato dinnanzi al Santissimo Sacramento esposto, il Papa intonò
l’inno Veni Creator Spiritus, proseguito dal Coro dei Cantori,
che intonarono tutti i versetti nella processione che giunse in Piazza
San Pietro e, successivamente, nel Portico della Basilica. Giunto il
Pontefice in Sedia Gestatoria nel Portico, salì sul Trono ed il Coro
intonò il versetto conclusivo dell’Inno. Come nota puntualmente il Diario
Sistino del 1674, una metà dei Cantori Pontifici rimase fuori dal
piccolo coro eretto per loro, cosa che creò qualche piccolo problema.
Anche se il Maestro di Cappella aveva inviato due Cantori vicino al
Papa, <<per il gran tumulto del Popolo>>,
fu molto difficile per il Coro rispondere ai vari versetti.
Sceso
dal Soglio, il Papa prese dalle mani del Cardinale Penitenziere Maggiore
il Martello d’Argento, con cui percosse la parete della Porta Santa,
intonando le parole:
Aperite
mihi Portas iustitiae
A
cui il Coro rispose
Ingressus
in ea confitebor Domino.
Percuotendo
poi la seconda volta la Porta con il Martello, il Papa cantò le parole:
Introibo
in domum tuam Domine.
Sempre
il Coro dei Cantori rispose:
Adorabo
ad templum sanctum tuum, in timore tuo.
Percuotendo
la terza volta la Porta Santa il Papa cantò:
Aperite
Portas, quondam nobiscum est Deus.
E
il Coro rispose:
Qui
fecit virtutem in Israel.
Subito
dopo cadde la Porta e mentre venivano puliti gli stipiti, il Coro dei
Cantori intonò il Salmo Jubilate Deo. Dopo altre cerimonie, il
Papa, tenendo nella mano destra la Croce e nella sinistra una candela
accesa, si inginocchiò in mezzo alla Porta ed intonando il Te Deum
laudamus, proseguito dal Coro dei Cantori, entrò nella Basilica di
San Pietro per la Porta Santa, mentre il Coro, dopo aver terminato il
canto dei versetti dell’inno, si poneva nello spazio ad esso
assegnato, accanto all’altare degli Apostoli. Il Sommo Pontefice
rientrò quindi nelle sue stanze ed il Vespro venne cantato dal
Cardinale Orsini. Il Mattutino fu cantato dal Cardinale Carpegna e la
mattina della Festa del Santo Natale di Nostro Signore Gesù Cristo, fu
il Cardinale Francesco Barberini a cantare la Santa Messa nella Cappella
Sistina, alla presenza di Clemente X.
Come
registra il Diario Sistino,
tutti i cantori furono presenti e diligenti nel prestare il servizio
musicale durante la celebrazione solenne.
La Domenica in Albis, 21 aprile 1675, presso l’Altare della
Cattedra nella Basilica di San Pietro, Clemente X pubblicò il Breve
Pontificio con cui veniva dichiarato Beato il Servo di Dio Giovanni
della Croce, celebre mistico e fondatore dell’Ordine dei Carmelitani
Scalzi.
Domenica 30 giugno, di nuovo nella Basilica Vaticana, venne
dichiarato Beato il francescano spagnolo della stretta osservanza,
Francesco Solano, inviato da Re Filippo II nelle Americhe, dove si era
distinto per l’amore per i nativi, tanto che nel Paraguay ed in Perù
venne chiamato “il Taumaturgo del nuovo mondo”.
Sempre nella Basilica Vaticana, il 24 novembre 1675, Clemente X
proclamava Martiri e Beati i 19 Servi di Dio martirizzati a Gorkum in
Olanda, nel 1572.
Clemente
X, che aveva promulgato i decreti di Canonizzazione di San Gaetano da
Thiene, Francesco Borgia, Filippo Benizi e Rosa da Lima, nel 1675
beatificò anche Caterina da Genova.
La Settimana Santa, in particolare, fu dedicata a solenni
cerimonie e all’accoglienza ed assistenza dei pellegrini. La Regina
Cristina di Svezia, si recava presso la sede della Confraternita della
Santissima Trinità, accompagnata da altre dame della nobiltà e le
varie Compagnie organizzavano ogni giorno una solenne processione, con
macchine raffiguranti i misteri della vita del Signore, commissionate al
celebre architetto Fontana. Il Venerdì Santo, la Confraternita della
Trinità, guidata dal Cardinale Paluzzo Altieri, fornì la cena a 13.000
pellegrini.
Il vecchio Pontefice ottantacinquenne, si distinse per la
particolare cura prodigata nell’assistenza dei pellegrini. Impartì la
solenne benedizione sette volte e visitò le Sette Chiese per cinque
volte, recandosi personalmente nell’ottava della Festa della
Beatissima Vergine del Rosario ad una funzione in Santa Maria della
Minerva, ove personalmente recitò il Rosario a voce alta, con grande
edificazione dei fedeli.
Il 25 novembre 1675, il Collegio dei Cantori Pontifici ottenne
dal Pontefice il privilegio di poter lucrare l’indulgenza plenaria del
Santo Giubileo con la processione dal
Quirinale e la visita della
Basilica di San Pietro. A tale scopo, il Cardinale Protettore, intimò a
tutti i membri del Collegio, i Maestri delle Cerimonie ed i Prelati
della Cappella Pontificia di intervenire alla cerimonia, stabilendone
anche il giorno e l’ora.
La sera di martedì 24 dicembre 1675, venne celebrata in San
Pietro la funzione per la chiusura della Porta Santa. Il Vespro venne
intonato dal Cardinale Virginio Orsini, Protettore della Cappella dei
Cantori Pontifici, alla presenza del Sacro Collegio, ma non del
Pontefice, che non vi assisteva per la sua grave età. Al termine del
Vespro, tutti i cardinali in abiti sacri si recarono nella Cappella del
Santissimo Sacramento, dove venne mostrato per l’adorazione il Volto
Santo della Veronica.
Con
l’arrivo di Clemente X <<si diede principio alla Processione
verso la Porta Santa, tutti con candele accese, et essendo stato
l’ultimo N.ro Sig.re come fu il P.mo nell’aprirsi, così nel
principio della Process.ne, la S.tà Sua intonò Cum Jucunditate
vestitis>> a cui il Coro dei Cantori rispose in contrappunto
(19).
Giunti al Soglio, il Papa si assise e senza la mitra, scese per
benedire i cementi, pronunciando alcuni versetti. Durante
l’apposizione della prima pietra, il Coro cantava il Celestis Urbis
Jerusalem. Al termine, il Papa tornò a sedere nel Trono e deposta
la mitra, recitò alcuni versetti, seguiti dall’intonazione del Te
Deum, alla conclusione del quale, sempre dal Soglio nel Portico
della Basilica, diede la Benedizione con l’Indulgenza Plenaria, in
forma di Giubileo.
<<I Sig.ri Compagni tutti presenti, e v’intervenne
anche la maggior parte de Sig.ri Giubilati>> (20). Mancò solo
il soprano Giuseppe Fede, recatosi a cantare nella Basilica di Santa
Maria Maggiore, con licenza del Cardinale Altieri.
La Notte di Natale, cantò all’ora solita il Mattutino e la
Messa, il Cardinale Gastaldi, alla presenza del Sacro Collegio e tutti i
Cantori furono presenti, eccettuato Giuseppe Fede.
La mattina del giorno di Natale, vi fu Cappella Papale in
Vaticano, presente Clemente X ed il Sacro Collegio. Cantò la Messa il
Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro Collegio ed il Papa,
dalla Loggia delle Benedizioni, impartì la Benedizione con
l’Indulgenza Plenaria in forma di Giubileo. Tutti i Cantori furono
presenti, eccettuato Giuseppe Fede.
Come annota il Diario
Sistino, a causa della gran confusione di gente per l’Anno Santo,
non venne offerto ai Cantori Pontifici il solito pranzo nel Palazzo
Apostolico, ma il Santo Padre attribuì ugualmente ad ognuno di essi uno
scudo romano, come da tradizione (21).
Clemente X morì il 22 luglio del 1676 alle ore 17 del
pomeriggio, ed alle ore 20, conclusa la ricognizione canonica del
cadavere, le sue spoglie vennero condotte nel Palazzo Vaticano. Il 26
luglio, dopo il tramonto del sole, venne sepolto nei pressi della
Cappella del Santissimo Sacramento, da dove poi fu traslato, il 15
ottobre 1691, nel suo monumento funebre innalzato presso l’Altare di
Santa Petronilla.
I nove giorni delle solenni celebrazioni di suffragio, i Novendiali,
furono contrassegnati dalle Messe Pontificali di Requiem per l’anima
del defunto Pontefice, celebrate nella Cappella della Pietà in San
Pietro, alla presenza del Sacro Collegio. In queste funzioni il Collegio
dei Cantori fu intensamente impegnato, con la magistrale ed impeccabile
interpretazione delle struggenti melodie gregoriane e di alcuni brani
polifonici, che inondarono la Cappella di una profonda mestizia e vivo
raccoglimento. Dal settimo al nono giorno, le Solenni Esequie
prescrivevano anche le Assoluzioni al Catafalco, nel corso delle quali, quattro cantori
assistevano ai quattro angoli del Catafalco i cardinali vestiti
di piviale nero che impartivano le solenni assoluzioni.
Nel
Diario Sistino era
registrata giornalmente ognuna di queste cerimonie:
<<30
Giovedì. 7.a Esequie. Finita la Messa si cantorono li 5 risponsorij, e
fù incensato il Catafalco. Niuno fù assente>> (22).
Al
termine dei Novendiali in suffragio dell’anima di Clemente X, il 2
agosto 1676, il Cardinale Francesco Barberini, Decano del Sacro
Collegio, celebrò la Messa dello Spirito Santo. In questa solenne
celebrazione, il Coro intonò alcuni preziosi brani del repertorio
scritto in vari tempi dai cantori della Cappella, fra cui,
all’Offertorio, il Cantate Domino di Ruggero Giovannelli. Dopo
la Santa Messa, nella Cappella Paolina, i cardinali prestarono il
consueto giuramento per l’apertura del Conclave.
Il
21 settembre, dopo la celebrazione della Santa Messa de Pontifice
Eligendo, nella Cappella Sistina, con 20 voti e 42 nell’Accessus,
venne eletto Papa il Cardinale Benedetto Odescalchi, di Como, del titolo
di Sant’Onofrio, che assunse il nome di Innocenzo XI.
La
cerimonia della Incoronazione del nuovo Pontefice si svolse il 4 ottobre
nelle Patriarcale Basilica di San Pietro. Innocenzo XI giunse nel
vestibolo della Basilica in sedia gestatoria, mentre il Coro dei Cantori
intonava l’Ecce sacerdos magnus. L’Arciprete della Basilica,
il Capitolo ed i chierici resero quindi omaggio al Pontefice con il
bacio del piede e la consegna delle chiavi, al canto del Mottetto Tu
es Petrus. Subito dopo, il Papa faceva il suo ingresso nella Chiesa
e dopo aver adorato il Santissimo Sacramento, ascese al Trono preparato
nella Cappella di San Gregorio, dove al canto del Te Deum, il
Sacro Collegio ed i prelati gli resero omaggio. Indossati i paramenti
pontificali, il Papa si avviò verso l’Altare della Confessione.
Davanti a Innocenzo XI procedevano
due Maestri delle Cerimonie, uno portava un cuscino di seta con della
bambagia e l’altro una lunga canna d’argento con in cima un
lucignolo di bambagia. Per tre volte il corteo si fermò e ciascuna
volta un chierico bruciava un batuffolo di bambagia fermato alla canna
d’argento, mentre il Maestro delle Cerimonie cantava la celebre frase:
Pater Sancte sic transit gloria mundi!
Dopo
l’imposizione del Pallio ed il canto del Gloria e delle collette, il
Cardinale Protodiacono, accompagnato dagli Uditori di Rota e dagli
Avvocati Concistoriali, discese sotto la confessione, nella Cappella
dove sono conservate le reliquie del Principe degli Apostoli per il
canto di alcune particolari litanie.
Per
tre volte cantò il Christe audi nos, con risposta del Collegio
dei Cantori a cui seguì la preghiera: Domino nostro Innocentio a Deo
decreto Summi Pontifici et Universali Papae, vita, e le litanie alla
Santissima Vergine Maria, agli Angeli e Santi, alle quali il Coro
rispondeva Tu illum adjuva!
L’Epistola
ed il Vangelo vennero cantati in latino ed in greco, a significare la
cattolicità della Chiesa di Roma e, nell’Offertorio, il Coro dei
Cantori Pontifici intonò lo splendido mottetto di Felice Anerio In
Diademate Capitis Aaron.
Al
termine della Santa Messa, il Collegio dei Cantori si portò alla Loggia
delle Benedizioni, dove, all’arrivo del Papa, venne intonato il
Mottetto a cinque voci Corona aurea super caput ejus espressa signo
sanctitatis, gloriae et honoris del
Palestrina. Fu il Cardinale Francesco Maidalchini, come Primo Diacono a
cingere sulla testa del nuovo Papa il “Triregno”,
simbolo del triplice ministero di supremo maestro, sacerdote e re
affidato al Pontefice, dicendo Accipe Tiaram tribus coronis ornatam.
Conclusasi
con la solenne Benedizione Papale la cerimonia, il Collegio dei Cantori,
secondo una antico privilegio, venne ammesso al bacio del piede del
nuovo Pontefice.
Innocenzo
XI prese possesso della Basilica Lateranense l’8 novembre 1676.
Amante
della vita ritiratissima, schivo di applausi e nemico del nepotismo,
dignitoso nel portamento, celebre per la santità di vita ed il suo
rigore, alto di statura con fronte ampia, il naso aquilino ed il mento
sporgente, Innocenzo XI soppresse la posizione di cardinal-nepote e
diede alla Segreteria di Stato
una organizzazione più moderna conservatasi fino al XX secolo. Negli
affari religiosi pose grande attenzione nella scelta dei vescovi, curò
l’educazione del clero, l’istruzione catechistica e la predicazione
del Vangelo in forma semplice e pratica, promosse l’educazione dei
giovani e l’assistenza spirituale dei malati. Ebbe molto a cuore il
culto della Santissima Eucaristia, approvando la Comunione frequente e
quotidiana. Difensore acerrimo della integrità della dottrina
religiosa, fu energico nel riaffermare l’autorità papale, avendo per
questo lunghi contrasti con il Re di Francia Luigi XIV. Per quanto
riguarda la vita pubblica, combatté l’usura ed il gioco d’azzardo,
volle che fosse amministrata rettamente la giustizia, riformando i
tribunali, fu avversario delle recite teatrali e proibì i divertimenti
del carnevale.
Il
2 luglio 1679, nella Basilica Vaticana, all’Altare della Cattedra,
promulgò il Breve di Beatificazione di Toribio de Mogrovejo,
ecclesiastico nato in Spagna nel 1538, Arcivescovo di Lima in Perù,
evangelizzatore e protettore delle popolazioni indios.
Il
cerimoniale pontificio riserbava grande solennità ai “Concistori”,
nei quali il Sommo Pontefice conferiva il Cappello Cardinalizio ai
prelati chiamati ad assumere l’alto ufficio di Principi della Chiesa e
primi collaboratori del Papa nel Collegio Cardinalizio. In occasione di
queste cerimonie, il Collegio dei Cantori Pontifici si recava nella
Cappella di residenza del Pontefice, dove il coro dava principio ai
Mottetti a più voci, che proseguivano fino al momento in cui i nuovi
cardinali, dopo aver pregato nella Cappella, si recavano nella Sala del
Concistoro, dove il Papa imponeva il galero ai novelli porporati. Il
Collegio dei Cantori, posto dinnanzi alla porta della Sala, attendeva il
cenno del Maestro delle Cerimonie per intonare il Te Deum, che
veniva eseguito processionalmente fino all’altare della Cappella,
nella quale i Cantori si ponevano dalla parte dell’Epistola,
attendendo l’ingresso del Sacro Collegio. I nuovi cardinali si
prostravano quindi sui gradini avanti l’Altare e dopo che i maestri di
cerimonie avevano coperto loro il capo con il cappuccio delle cappe
magne, il Coro dei Cantori intonava, in “Falsobordone”,
il versetto “Te ergo quaesumus” e poi il versetto conclusivo.
Negli
anni di servizio di Don Gregorio nella Cappella Pontificia, si segnalò
il Concistoro Pubblico di Giovedì 4 settembre 1681, in cui Innocenzo XI
conferì il Cappello Cardinalizio agli Eminentissimi: Giovanni Battista
Spinola, Antonio Pignatelli, il futuro Innocenzo XII, Brancaccio, De
Luca, Visconti, Capizucchi, Lauria, Sacchetti, Ginetti e Pamphili. Come
annota il Diario Sistino, <<tutti li SS.ri Compagni
diligintissimi>> (23).
Per
la sua partecipazione alla solenne cerimonia, Don Gregorio de Giudici
ottenne un gratificazione di dieci scudi d’oro, offerta ad ogni
Cantore Pontificio dai novelli porporati.
Un
altro Concistoro Pubblico si tenne al Quirinale il 22 maggio 1687,
quando furono dato il galero agli Eminentissimi Cardinali Carlo Ciceri,
Pietro Matteo Petrucci e Francesco Maria de Medici. In quella occasione,
dal Collegio dei Cantori Pontifici <<si cantarono li soliti
Mottetti e il Te Deum>> (24).
Nello
stesso anno, seguirono altri due Concistori Pubblici al Quirinale: il 9
giugno, per il Cardinale Fortunato Caraffa ed il 7 luglio per il
Cardinale Giuseppe Maria Aguir.
Nel
dicembre del 1682, in occasione della visita di ossequio resa ad
Innocenzo XI dal nuovo Viceré spagnolo di Napoli, Don Gasparo d’Aros,
già Ambasciatore presso la Santa Sede, il Papa offrì un pranzo
ufficiale all’illustre diplomatico, nel corso del quale i Cantori
Pontifici furono chiamati ad allietare la mensa con il canto di vari
mottetti accompagnati dall’organo. Di questa prestigiosa esibizione
che onorò altamente il Collegio, resta memoria del Diario Sistino del
1682, in data del 29 dicembre:
<<Martedì
N.ro Sig.re diede da pranzo al Vice Rè di Napoli D. Gasparo d’Aros
Marchese del Carpio e Lecce Imbasciator qui in Roma del Rè Cattolico,
all’hore 19. La Santità Sua assieme col d.o Vice Rè si partì dalle
sue stanze, e venne nella Sala del Concistoro nel Palazzo del Vaticano
ove erano li soliti apparecchi per il pranzo.
Per
N.ro Sig.re era preparato in mezzo della sala sotto il Baldacchino e per
il Vice Rè da piedi nel picciolo tavolino a sedere nello sgabello; e
per li musici fatto uno steccato con li Cassabanchi in un cantone della
med.ma sala.
Finito
che hebbe di bere la prima volta la Santità Sua si cessò di leggere da
Mons.r Boldrini, e si principiò a sonar l’organo e si cantorono
diversi mottetti sino all’ultimo che si terminò la tavola>>
(25).
Fra
le principali glorie del pontificato di Innocenzo XI, brilla certamente
la sua azione in difesa della civiltà europea contro le invasioni
turche, culminata nell’alleanza fra l’Imperatore Leopoldo I ed il Re
di Polonia, Giovanni Sobieski, che propugnò la vittoria di Vienna del
12 settembre 1683, salutata dal Pontefice con l’istituzione della
Festa del Santissimo Nome di Maria, a ricordo e ringraziamento della
strepitosa vittoria di cui fu animatore il celebre francescano Padre
Marco d’Aviano.
Con
grande concorso di cardinali, prelati e fedeli, il 18 agosto 1683, ebbe
luogo a Roma una grande processione giubilare da Santa Maria della
Minerva alla Chiesa di Santa Maria dell’Anima, chiesa nazionale
tedesca, dove il Cardinale Ludovisi, in nome del Papa, malato di
podagra, compì le funzioni ecclesiastiche di tali occasioni, con
l’esposizione e la benedizione con il Santissimo Sacramento.
Il
23 settembre giunse a Roma la conferma della vittoria conseguita dalle
armate cattoliche alle porte di Vienna ed il giubilo popolare fu
irrefrenabile. Il giorno successivo, con Editto del Cardinal Vicario
venne prescritto che per due sere dopo l’Ave Maria, le campane
suonassero a festa per un’ora e venissero celebrate in tutte le chiese
della Città funzioni di ringraziamento a Dio.
Il
Papa, ascrivendo il merito dei felici avvenimenti all’intervento
divino, fece illuminare la facciata e la cupola di San Pietro, con lo
sparo di salve di gioia da parte dei cannoni di Castel Sant’Angelo ed
il 25 settembre, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, alla presenza
del Sacro Collegio, cantò un solenne Te Deum di ringraziamento.
Nel
Dario Sistino del 1683, questo fausto avvenimento e le celebrazioni
romane sono riportate nel calendario degli interventi musicali del
Collegio dei Cantori Pontifici, nella data del 25 settembre:
<<Sabbato
il giorno doppo pranzo furono cantati Litanie e Te deum a S.ta Maria
Maggiore pro gratiarum actiones per la liberatione della Città di
Vienna assediata da Turchi mediante l’Armi del Sac. Romano Imperio,
Polacche, e Collegati con l’intervento di N.S. et il Sac. Colleggio
dell’Em.mi SS. Cardinali. Tutti li SS.ri Compagni presenti>>
(26).
Il
29 settembre, durante la Santa Messa celebrata nella Cappella Paolina al
Quirinale, alla presenza di tutti gli ambasciatori ed inviati, Innocenzo
XI, ricevette dall’Abate Giovanni Casimiro Denhoff, rappresentante del
Re di Polonia Sobieski, la grande bandiera turca, che poi venne portata
a San Pietro ed appesa in segno di trionfo sulla porta principale:
<<29
Mercordì - Cappella Papale à Monte Cavallo pro gratiarum actiones cantò
messa l’Em.mo S.r Card. Ludovisi e fù detto il Te Deum, e fù
presentato lo stendardo de Turchi fù fatta l’oratione in nome del Rè
di Polonia, e poi esso stendardo fù messo à piedi di S. S.tà e poi il
Papa rispose all’oratione. Tutti li SS.ri Compagni presenti>>
(27).
Le
grandi cerimonie di giubilo continuarono nei giorni successivi, con la
distribuzione di ricche elemosine ai poveri ed una amnistia per i minori
reati civili e si conclusero con alcune speciali funzioni religiose, il
1 ottobre nella Cappella Paolina nel Palazzo del Quirinale, il 10
ottobre nella Chiesa di Santa Maria dell’Anima ed il 17 nella Chiesa
di San Stanislao, chiesa nazionale polacca. E il 1 novembre, nel corso
della Cappella Papale, venne cantato il Te Deum per festeggiare <<la
presa di Strigonia>> in Ungheria (28).
Fra
le solenni cerimonie registrate nel Diario Sistino nel mese di
ottobre 1683 si segnalava anche la Cappella Papale celebrata per
l’anniversario dell’ incoronazione del Sommo Pontefice, nella
Cappella Paolina:
<<4
lunedì. - Cappella Papale nel Quirinale per la Coronatione di N.S.
Innocenzo Undecimo. N.S. fu presente; tutti li SS.ri Compagni furono
puntuali>>
(29).
L’azione
diplomatica di Innocenzo XI fu instancabile e promosse l’adesione di
Venezia e della Russia alla Lega Santa, contribuendo largamente alla
liberazione di Buda ed alle fortunate campagne che opposero una diga
alle ricorrenti ondate dei turchi verso l’Europa. Sollecitate dalle
esortazioni di Innocenzo XI e di Padre Marco d’Aviano, le campagne
militari ripresero nel luglio 1685 e condussero le armate cattoliche
alle vittorie di Neuhausel, di Gran e di Buda il 2 settembre dell’anno
successivo.
I
successi dell’Imperatore Leopoldo I venivano solennizzati dalla Corte
romana con funzioni di ringraziamento, nel corso delle quali il Papa
intonava personalmente il Te Deum.
Alcune
importanti cerimonie commemorative sono registrate nel Diario
Sistino del 1685:
Settembre
<<2 Dom. - Si cantò messa et Te Deum nella Cappella al
Quirinale p.nte N.S. dall’Em.mo Pio per render à Dio gratie delli
buoni progressi dell’armi Cristiane et in specie la presa di Neixelle
dall’Armata Cesarea et dalla Veneta quella di Corone>> (30).
Novembre
<<18 Dom.ca - Si fece Cappella Papale nella Chiesa dell’Anima
per ordine di N.S. et si cantò il Te Deum per la vittoria dell’Armi
Cristiane contro l’Infedeli>> (31).
Come
riferisce il Diario Sistino
del 1686, la notizia della riconquista di Buda
venne celebrata a Roma con sommo splendore e con sincero fervore
religioso, nel quale il Pontefice era a tutti di esempio con la sua fede
ammirevole.
Sabato
14 settembre 1686, <<S. S.tà ordinò che la sera si facesse
allegrezza con fuochi, e lumi, & al segno dello sparo di Castel S.
Angelo furono suonate le campane per tutte le chiese di Roma, illuminata
tutta da fuochi, e lumi oltre ogni solito, si fece anche la girandola al
Castel S. Angelo, e tutto il popolo mostrò segni di giubilo, e di
allegrezza infinita; ordinò però S. S.tà che si stasse in oratione
per render gratie a Dio dei progressi fortunatissimi conceduti
all’armi Cristiane contro il Tiranno d’Oriente>> (32).
Domenica
15 settembre, nella Cappella Paolina del Quirinale, il Cardinale Carlo
Pio di Savoia celebrò la Santa Messa, seguita dal Te Deum,
intonato dal Papa, suggellando così l’impegno magnanimo di Innocenzo
XI e gli allori colti sui campi di battaglia dall’Imperatore
d’Austria:
<<Dom.a
15 - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale pro gratiarum actione per la
d.a Vittoria, cantò la Messa l’em.o Pio alla presenza del S.
Collegio. N.S. calò in cappella per la scaletta secreta, doppo il fine
della messa per intonare il Te Deum, come l’intonò, e nel med.o tempo
sparorno li cannoni al di cui segno tornarono a suonarsi tutte le
campane di Roma e continuorno per lo spatio di mezz’hora essendo tale
l’ordine di N.S. per risvegliare il popolo ad un comune rendimento di
gratie a Dio per tanto benefitio ricev.o. La sera poi si rinovarono
l’allegrezze in forma mai più veduta non essendovi angolo della città
dove non si facessero pompe di lumi e fuochi artificiali con altre
mostre bellissime>>
(33).
Nella
Cappella Cardinalizia celebrata nella chiesa nazionale tedesca di Santa
Maria dell’Anima, il 22 settembre, il rappresentante dell’Imperatore
d’Austria ottenne il raro privilegio di poter assistere alla Santa
Messa, cantata da Mons. Bottini, nel Coro dei Cantori Pontifici,
dove vennero intonate ammirevolmente le gravi e solenni armonie che
accompagnarono la celebrazione:
<<22
Dom.a - Cappella Cardinalitia alla Chiesa dell’Anima ordinata da N.S.
pro gratiarum actione della Vittoria ch’hanno havv.a li Cesarei, e
Bavari di quella gran Piazza inespugnabile di Buda. Cantò la messa l’Ill.mo
Monsig.r Bottini alla presenza del S. Collegio, tutti li Sig. Compagni
presenti. Stiede nel nostro choro il Sig. Conte de Turi P.o Gentilhoumo
di S. M.à Cesarea, che portò la vera conferma della presa di d.a
piazza,e vi dimorò sino alla fine della messa, doppo la quale fù
intonato dal celebrante il Te Deum laudamus, con il sparo de
mortaletti>>
(34).
Le
celebrazioni per la presa di Buda si conclusero con una Messa Solenne di
Requiem fatta celebrare da Innocenzo XI in suffragio di tutti i soldati
cristiani deceduti durante l’assedio della Città. Attraverso la
preghiera della Chiesa ed il grande precetto della carità cristiana, il
Pontefice volle applicare il soccorso spirituale del Sacrificio di
Cristo ed i frutti infiniti della Redenzione alle anime di coloro che
avevano combattuto eroicamente per la Fede e la Civiltà Cristiana:
<<24
Martedì - Cappella Papale nel Palazzo Quirinale ordinata da N.S. per
suffragio dell’anime di tanti cristiani che passarono all’altra vita
sotto la sud.a piazza di Buda, cantò la Messa l’Em.o Pio alla
presenza del S. Collegio senza intervento di N.S., tutti li Sig.
Compagni presenti>> (35).
Nel
luglio dello stesso anno, su esplicito mandato del Sommo Pontefice
vennero convenientemente celebrate a Roma anche le vittorie conseguite
dalle armate della Repubblica Veneta. La Santa Messa venne cantata dal
Vescovo di Corfù, Mons. Marco Antonio Barbarigo, prelato di santa vita
e di distintissime doti di carità e bontà:
<<21
Domenica. - Cappella Papale alla chiesa di San Marco ordinata da N.ro
Sig.re pro gratiarum actiones havendo N.S. fatto parare la chiesa con
gl’arazzi della Cappella Pontificia come anche mandò candelieri et
altre cose necessarie appartenenti alla detta Cappella. Cantò messa
l’Ill.mo Mons.r Barbarico vescovo di Corfù alla presenza del
Sacro Collegio senza intervento di N.S. Tutti li SS.ri Compagni furono
presenti. La detta Cappella fù ordinata da N.S. per la presa che fecero
li Venetiani di Navarino vecchio e nuovo>>
(36).
E
l’eco dei nuovi successi della campagne militari dei veneziani e delle
armate imperiali fu puntualmente registrato nel Diario
Sistino del 1687:
Agosto
<<15. Venerdì - Assuntione della B.ma Vergine Capp.a Papale in
S. Maria Maggiore, cantò Messa novella l’E.mo de Angelis alla
presenza del Sac.o Colle.o, senza l’assistenza di N.S. Doppo il post
Comm.o fù cantato il Te Deum per la Vittoria ottenuta dalla Ser.ma
Republica di Venetia contra l’Armi Ottomane nell’acquisto di Lepanto
e Patras>> (37).
Domenica
31 agosto, Cappella Papale nella Cappella Paolina al Palazzo del
Quirinale, alla presenza del Sacro Collegio, ma senza l’intervento di
N.S. Cantò la Messa il Cardinale Carlo Pio di Savoia e fu cantato il Te
Deum <<per la vittoria riportata dall’Armi Cesaree sul Ponte
di Esech>>, dove fu sconfitto l’esercito ottomano (38).
Ricco di meriti e di virtù, Innocenzo XI morì a Roma, nel
Palazzo del Quirinale il 12 agosto 1689. Il suo corpo, trasferito nella
Cappella Sistina in Vaticano, dove i Penitenzieri provvidero a
rivestirlo degli abiti pontificali, venne condotto nella Basilica
Vaticana, dove fu esposto alla pietà ed al suffragio dei fedeli nella
Cappella della Santissima Trinità, delimitata da un cancello chiuso.
L’inumazione delle sue venerate spoglie, presso la Cappella del Coro
dei Canonici, avvenne il 16 agosto, dopo il tramonto del sole.
Nel Diario Sistino del
1689 sono riportate diligentemente tutte le cerimonie funebri svoltesi
nella Basilica Vaticana in suffragio dell’anima del defunto Pontefice,
nelle quali era intervenuto il Collegio dei Cantori Pontifici. Ogni
giorno, venivano regolarmente registrate le celebrazioni dei Novendiali:
<<Seconda Esseq.e. 16 Martedì. Questa mattina in San
Pietro nella Cappella detta di sopra si sono fatte le solite Esequie
alla presenza del Sacro Collegio in numm.o 22: fù cantata la Messa
dall’Em.mo Sig.r Cardinal Lauria. Tutti li SS.ri serventi presenti con
parte de SS.ri Giubilati. Si sono ricevute le solite Cere e Pranzi>>
(39).
<<Terza Essequie. 17. Mercordì si fecero le solite
Esequie nella Basilica Vaticana presente il Sacro Collegio degli E.mi
SS.ri Cardinali, quali furono al numm.o di 21. Cantò Messa l’Em.mo
Sig.r Cardinal Capizucchi. Tutti li SS.ri Compagni serventi
diligentissimi e furono à favorirci molti de SS.ri Giubbilati. Habbiamo
ricevuto li soliti Emolumenti delle Cere e Pranzi>> (40).
Papa Innocenzo XI venne proclamato Beato da Pio XII nel 1956 ed
il suo corpo fu posto alla venerazione dei fedeli nella Basilica di San
Pietro, in un urna sotto l’altare della Cappella di San Sebastiano.
Il
23 agosto 1689, nella Cappella del Coro dei Canonici in San Pietro, il
Cardinale Altieri, Camerlengo di Santa Romana Chiesa, celebrò la Santa
Messa dello Spirito Santo e dopo il giuramento nella Cappella Paolina,
iniziarono le votazioni nella Cappella Sistina. Al termine del Conclave,
il 6 ottobre 1689, venne eletto Papa il Cardinale Pietro Vito Ottoboni,
di nobile famiglia veneziana, che assunse il nome di Alessandro VIII.
Il
nuovo Pontefice venne incoronato dal Cardinale Protodiacono Francesco
Maidalchini, con la Tiara Pontificia il 16 ottobre, nel corso della
solenne cerimonia sopra il portico della Basilica di San Pietro e prese
possesso della Basilica Lateranense il 23 ottobre.
Tutti
i particolari della solennissima funzione della Incoronazione di Papa
Alessandro VIII sono riferiti nel Diario Sistino del 1689.
Domenica 16 ottobre, alle ore 14,00 il nuovo Pontefice scese nella
Cappella Sistina e vestito di piviale rosso e mitra di tela d’oro
venne portato in Sedia Gestatoria nel Portico di San Pietro, dove si
svolsero le solite funzioni. Sotto il Baldacchino e attorniato dai
Ventagli, il Pontefice fece ingresso nella Basilica di San Pietro e dopo
aver adorato il Santissimo Sacramento, si recò nella Cappella
Clementina, dove riposa il corpo di San Gregorio Magno. Il Collegio dei
Cantori Pontifici prese posto nel Coro eretto a Cornu Epistole
della Cappella e con la sua solita maestria contribuì a rendere
solennissima la cerimonia di Incoronazione del nuovo Pontefice. Dopo il canto
di Terza, i Cantori si trasferirono nel Coro preparato vicino
all’Altare della Confessione, dove attesero il Pontefice per la
celebrazione della Santa Messa. Giunto il Papa all’Altare e concluse
alcune cerimonie, diede inizio alla Messa, incensando l’altare. Come
annota il Diario Sistino, <<Subito di ordine del Sig.r
Mastro, da noi fu dato principio all’Introito adagio assai, tenendo
similmente quest’ordine nelli Chyrie, de quali se ne cantorno molti,
ne si terminorno, se prima il Sommo Pontefice incensato l’Altare, e
ricevuto nel Trono l’obbedienza dal Sacro Collegio, ammentendolo al
bagio de sacri piedi, mano, e guancia, non lesse tutto l’Introito, il
quale compito passò all’intonazione del gloria>> (41). <<Il
Credo, da noi si cantò adagio per dar tempo che si compissero le
cerimonie. Appresso fu cantato l’offertorio in contrapunto adagio e
poi si passò al solito mottetto, quale fu replicato più volte per dar
tempo alla incenzatione degli EE.mi SS.ri Cardinali, et altre cerimonie,
che si stilano farsi in simile funtione>> (42).
Come
riferisce il Diario Sistino, a causa della grande stanchezza del
Pontefice non vi fu il tradizionale bacio del piede del Papa da parte
del Collegio dei Cantori <<quantunque dal Signor Mastro
(conforme al solito) ne fosse stata l’istanza all’Ill.mo Monsig.r
Bartoli Maestro di Camera di Sua Santità, dal quale fu però
assicurato, che tutto ciò si sarebbe riservato a’ miglior
congiuntura>> (43). Il Diario Sistino conclude la
cronaca della importante cerimonia annotando <<tutti li SS.ri
Compagni serventi presenti, con parte de SS.ri Giubbilati>>
(44).
Sabato
15 ottobre 1689, il Camerlengo del Collegio dei Cantori Pontifici
attribuì a Don Gregorio de Giudici ed a ciascuno dei Cantori a paga
intera, la somma di scudi romani 2 e bajocchi 37, quale ultima parte dei
compensi loro spettanti per i servizi prestati durante la Sede Vacante.
I Cantori a mezza paga ottennero ciascuno scudi 1 e bajocchi 18 (45).
Alessandro
VIII, appena eletto, si affrettò a beneficare con titoli e privilegi i
componenti della sua famiglia, facendo giungere a Roma suo nipote
Pietro, creato cardinale a 19 anni il 7 novembre 1689. Negli affari
religiosi, favorì le missioni in Cina e a Nanchino, istituendo due sedi
vescovili a Pechino. Fu caritatevole nel periodo della peste e della
carestia che infierirono a Roma ed arricchì la Biblioteca Vaticana,
acquistando preziosi volumi appartenuti alla Regina Cristina di Svezia.
Nel
primo anno di Pontificato di Alessandro VIII, Don Gregorio de Giudici fu
chiamato ad assumere il massimo ufficio dell’istituzione musicale
papale, quello di Maestro della Cappella Pontificia. Mostrando di
apprezzare i suoi talenti, la solerzia e la sua bontà di maniere, i
colleghi cantori gli confidarono quest’incarico, certi che egli
avrebbe dedicato alla Sistina ogni sollecitudine, adempiendo con
scrupolo e vera perizia ai suoi doveri.
Le
notizie storiche su questo periodo della vita di Don Gregorio de Giudici
contribuiscono a mettere in risalto la figura artistica e musicale di
questo benemerito Cantore alla Corte Papale.
Papa
Sisto V, nel 1586, aveva ridotto il numero dei cantori pontifici da 24 a
21, concedendo al Collegio il privilegio di eleggere, ogni anno, il
Maestro di Cappella, scegliendolo fra uno dei cantori facenti parte
dell’organico dell’istituzione stessa.
Negli
anni di servizio prestati nella Cappella Pontificia, Don Gregorio era
stato iniziato, con metodo sicuro, ai solidi princìpi dell’arte
polifonica e del canto ecclesiastico “all’uso romano”,
osservati dall’organismo musicale, alle dirette dipendenze del
Pontefice e della sua corte. Quasi venti anni di pratica quotidiana nel
Collegio, avevano contribuito grandemente alla sua completa formazione
artistico-religiosa ed all’acquisizione dell’istruzioni, regole e
consuetudini proprie della tradizione musicale sistina, che regolavano
l’opera dei cantori nelle grandi festività dell’anno liturgico e
nelle funzioni ordinarie e straordinarie.
Queste riflessioni animarono i membri del Collegio della Cappella
Musicale nella Congregazione per la nomina dei nuovi Officiali
(Maestro della Cappella Pontificia, Camerlengo e Puntatore) tenutasi la
mattina della Festa dei Santi Innocenti, il 28 dicembre 1689, nella
Cappella Paolina del Palazzo del Quirinale.
Il Cappellano Cantore Mazzoni, alle ore 16 in punto, celebrò la
Santa Messa bassa, dopo la quale ciascuno dei Cantori presenti,
esercenti e giubilati, si pose a sedere al suo posto. Con
l’invocazione dello Spirito Santo da parte del Maestro di Cappella,
iniziò la Congregazione, alla presenza di 31 cantori votanti.
Nell’ordine
della riunione, le prime votazioni per i nuovi Officiali riguardavano la
nomina del nuovo Maestro di Cappella.
Dopo
alcune votazioni infruttuose, i Cantori orientarono il loro voto su Don
Gregorio de Giudici, con l’esito pienamente favorevole, riportato
diligentemente nel Diario Sistino del 1689:
<<Fu fatto uscire il Sig.r De Giudici, al quale toccava
di essere imbussolato per Maestro di Cappella, et hebbe voti fav.li n.°
26, e disfav.li n.° 5: onde avendo vinto il partito, fù eletto Maestro
di Cappella e da tutti li SS.ri Compagni ricevé il solito osculum
Pacis>> (46).
Come
nuovo Maestro, Don Gregorio assistette ai Primi Vespri della
Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo, accanto al precedente
Maestro, il romano Giovanni Matteo Leopardi, tenore, che cessava
nell’ufficio ed entrò in carica ai Primi Vespri dell’Epifania.
Nel
suo ruolo di Maestro della Cappella Pontificia, egli guidò l’opera
dei Cantori in alcune promozioni cardinalizie, registrate nel Diario
Sistino del 1690.
La
prima si tenne nel Palazzo del Quirinale, il 16 febbraio, con il
Concistoro Pubblico durante il quale il Papa concesse il cappello
cardinalizio a nove porporati. Giunto il primo di essi nella Cappella
Paolina, Don Gregorio fece intonare i mottetti prescritti per tali
occasioni, che i Cantori Pontifici proseguirono fino alla conclusione di
questo primo momento di preghiera. Al termine della cerimonia di
imposizione del galero nella Sala del Concistoro, due soprani sotto la
guida del Maestro di Cappella, intonarono il primo versetto del Te
Deum, che fu cantato dal Coro, processionalmente, verso la Cappella
Paolina. Un altro Concistoro Pubblico si tenne, sempre al Quirinale, il
2 marzo dello stesso anno, per la promozione cardinalizia di Mons.
Giacomo Cantelmi.
Nell’Archivio
del Collegio dei Cantori Pontifici, si conservano alcune lettere
indirizzate a Don Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella
Pontificia, dal Cardinale Francesco Maidalchini, da Viterbo, creato da
Innocenzo X ed assegnato come Protettore dell’istituzione da
Alessandro VIII, il 22 ottobre 1689.
Le
prime riguardano l’ingresso, senza concorso, di due cantori in qualità
di soprannumerari, per diretta decisione del Pontefice. Il primo
cantore ammesso era il soprano Pasqualino Tiepoli, di Udine, che dopo
venticinque anni di servizio vestirà l’abito eremitico di Monte Luco
a Spoleto, con il nome di Frate Pier Clemente:
<<Il
Sig. D. Gregorio de Giudici, Maestro della Cappella Pontificia darà la
cotta a Pasqualino Tiepolo, nella parte di soprano soprannumerario,
essendo questo l’ordine di N.S.
Dal nostro Palazzo, li 11 marzo 1690
F.
card. Maidalchini>> (47).
In ossequio a questa decisione del Pontefice, Don Gregorio
fece chiamare il nuovo soprano, il quale, genuflesso davanti al Maestro
della Cappella Pontificia giurò di osservare le Costituzioni e le
consuetudini del Collegio. Subito dopo Don Gregorio gli impose la cotta
e lo ammise al bacio della pace, ufficializzando così il suo ingresso
nella prestigiosa istituzione.
L’altro cantore era il tenore romano Michele Fregiotti, morto
poi nel 1709:
<<Sig.re
D. Gregorio de Giudici Maestro della Cappella Pontificia potrà dar la
Cotta à Michele Freggiotti, romano, per Ordine di N.ro Sig.re
ammettendolo alla parte di tenore sopra numerario, con che gli corra
l’anzianità, e giubilatione dal giorno che sara ammesso etc.
Dal N.ro Palazzo, q. di 9 di 8bre 1690
F. Card. Maidalchini
Niccolò
Frediani seg.rio >>
(48).
La terza lettera riguardava il caso di Bartolomeo Monaci, ammesso
nel novembre 1689 come contralto castrato nella parte tradizionalmente
assegnata ai contralti naturali. Dopo aver constatato che tale decisione
era contraria alle consuetudini della Cappella e che, soprattutto, il
Monaci non poteva onorevolmente sostenere tale voce, troppo bassa per un
castrato, il Cardinale Protettore, con ordine del Sommo Pontefice,
decretò il passaggio del Monaci dalla voce di contralto a quella di
soprano.
<<Al Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro di
Capella, della Capella Pontificia
Sig.re D. Gregorio de Giudici M.ro della Capella Pontificia.
Essendoci stato rapresentato nell’ultima Cong.ne tenuta avanti di Noi
dal Collegio de SS.ri Cantori della Cappella Pontificia e doppo anco da
gli Officiali incaricatoci il pregiudizio grande che nasce al Serv.o di
Dio, et della Santità di N.ro Sig.re dal mettere Contralti Castrati per
il servitio della sud.a Capella conoscendosi essere impossibile che li
suddetti possino esercitare come tali il Contralto nella detta Capella,
e non essendovi stato mai tale sempio, onde per oviare il futuro à tal
pregiudizio d’ordine di N.ro Sig.re datoci a bocca fara V.S. passare
Bartolomeo Monaci da Monte Alcino al Soprano per sopranumerario,
ammettendolo con la solita Giubilatione et anzianità, conforme hanno
goduto e godono gli altri. Iddio la prosperi, dal N.ro Palazzo li 12
genn. 1690
F.
Card. Maidalchini>> (49).
Fra gli impegni che come Maestro della Cappella
Pontificia, vide confidati alla sua direzione, Don Gregorio de Giudici
curò personalmente le prove per i solenni riti della Settimana Santa,
che impegnarono tutti i cantori pontifici, con scrupoloso rigore, nei
giorni della settimana di Passione, precedente alla Domenica delle
Palme. Secondo le antiche consuetudini del Collegio, numerose
composizioni polifoniche dei grandi maestri Antifone, Responsori,
Tratti e Mottetti, erano destinate all’esclusivo uso
liturgico della Settimana Santa. Alcuni di questi brani, di purissima
melodia, ribadivano le istanze estetiche della scuola romana
post-tridentina, imponendosi per una grande serenità, solenne e
contemplativa al tempo stesso e per questo, erano unanimemente
apprezzati all’epoca.
Dopo la Cappella Papale della Domenica delle Palme, nel corso
della quale tre cappellani cantori cantarono solennemente il Passio,
il primo importante appuntamento per il Collegio dei Cantori Pontifici
fu, certamente, il Mattutino del Mercoledì Santo. Al termine di
alcune Antifone e Salmi, veniva intonata la prima Lamentazione
del Profeta Geremia, composta in canto figurato da Gregorio Allegri,
sui versetti tratti dal testo biblico, scritti dal Profeta Geremia e
deploranti la distruzione di Gerusalemme, con un acrostico sulle lettere
dell’alfabeto ebraico. Dopo la seconda e la terza Lamentazione di
Geremia in canto piano e le Lezioni del Notturno, fu cantato il Benedictus.
Ad ogni versetto del Cantico di Zaccaria, venne spenta una candela dal
candeliere triangolare posto sull’altare, creando un’atmosfera molto
intensa e suggestiva. Subito dopo il canto del Christus factus est,
il Papa lasciato il suo trono, si inginocchiò davanti all’altare e
tutti si prostrarono con lui. Appena conclusa la recita del Pater
noster segreto da parte del Pontefice, i cantori intonarono il Miserere
a due cori di Gregorio Allegri, una delle composizioni più ammirate e
celebri della Cappella Pontificia <<che rapisce l’animo di
chi l’ascolta>> (Andrea Adami) (50).
Questo
salmo in falso-bordone polifonicamente ornato e con versetti condotti in
stile monodico, affidato a due cori, uno di cinque voci e l’altro di
quattro voci, esercitava una profonda impressione sugli ascoltatori, sia
per i riti suggestivi che l’accompagnavano, sia per il geloso segreto
con cui il Collegio dei Cantori lo aveva avvolto e per gli abbellimenti
che i cantori si tramandavano dalla metà del secolo.
Tale
era l’apprezzamento generale di questa magistrale composizione, che
con espresso mandato, i pontefici proibirono la trascrizione e
l’esecuzione del Miserere di Allegri al di fuori delle
celebrazioni nella Cappella Papale.
La
liturgia degli ultimi tre giorni della Settimana Santa, il Triduo
Sacro, era pervasa da alcune ufficiature fra le più belle
dell’anno.
Al
mattino del Giovedì Santo 23 marzo 1690, la celebrazione fu consacrata
al vivo ricordo della istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio e
fra i brani più belli della Messa venne cantato il Mottetto per
l’Offertorio Fratres ego enim del Palestrina. Al termine della
Santa Messa, celebrata dal Cardinale Chigi, i cantori più novizi nelle
parti presero i libri e tutto il Collegio dei Cantori si recò fuori
dalla Cappella Sistina per la processione, nel corso della quale il
Pontefice Alessandro VIII, sorreggendo l’ostensorio, condusse il
Santissimo Sacramento verso l’altare della reposizione. Appena la
Croce uscì fuori dalla Balaustra della Cappella, Don Gregorio de
Giudici, in qualità di Maestro di Cappella, fece cenno ai cantori
contralti, i quali intonarono l’Inno Pange Lingua, che
accompagnò solennemente tutto il tragitto della processione.
Il
Venerdì Santo, la Solenne Azione Liturgica della Passione e Morte di
Nostro Signore Gesù Cristo, si svolse nella Cappella Sistina che aveva
assunto un aspetto di completa desolazione, con l’altare spoglio,
senza croce, né candelieri, né tovaglie.
Dopo
il canto del Passio, cioè della Passione secondo San Giovanni,
intonata da tre Cappellani Cantori, un soprano, un tenore ed un basso,
vennero recitate le Solenni Orazioni a cui seguì il rito
suggestivo dell’Adorazione della Santa Croce. Questo rito
traeva la sua origine nell’omaggio che i fedeli di Gerusalemme
tributavano il Venerdì Santo alla insigne reliquia della Croce, sulla
quale Nostro Signore Gesù Cristo era stato crocifisso. Il popolo
accorreva a prostrarsi davanti ad essa, baciandola con grande devozione.
Nella
liturgia latina, il solenne rito dello scoprimento e dell’adorazione
della Croce aveva inizio con l’ingresso della Croce coperta da un velo
violaceo ed accompagnata da due accoliti che recavano due candelieri
accesi. Prima veniva scoperta la sommità della Croce ed in due momenti
successivi il braccio destro e poi tutto il Santo Legno.
Ogni
volta, il Diacono del Vangelo cantava l’antifona Ecce lignum Crucis,
continuata da due tenori con le parole In quo salus mundi pependit,
a cui tutto il Coro dei Cantori rispondeva Venite adoremus.
Mentre
nel mezzo del Presbiterio il celebrante Cardinale Colloredo, tutto il
Sacro Collegio e la Prelatura si apprestavano ad adorare la Croce,
facendo tre genuflessioni e baciando i piedi del Santissimo Crocifisso,
Don Gregorio de Giudici fece intonare il canto devoto ed austero degli Improperi
a due cori del Palestrina, con cui i Cantori interpretavano la voce del
Signore, che invitava il suo popolo a ritornare a Lui, ricordandogli,
nei cosiddetti Rimproveri, i benefici innumerevoli di cui lo
aveva ricolmato attraverso i secoli, ottenendo in compenso
l’ingratitudine e le gravi offese e sofferenze della Passione.
Alcuni
versetti degli Improperi erano cantati, alternativamente dai due
cori, in greco ed in latino:
Agios
o Theos.
Sanctus
Deus.
Agios
ischiros.
Sanctus
Fortis.
Agios
athanatos, eléison imas.
Sanctus
Immortalis, miserére nobis.
Come
testimoniava Andrea Adami, gli Improperi del Palestrina venivano
intonati dai Cantori <<adagio, e con voce sommessa, perché la
loro soavissima armonia rende un’interna devozione, e compunzione>>
(51).
Al
Mattutino del Venerdì Santo, il Coro dei Cantori eseguì la Lamentazione
in canto figurato di Gregorio Allegri ed il Miserere a due Cori
dello stesso autore.
La
celebrazione della Vigilia Pasquale, svoltasi al mattino del Sabato
Santo 25 marzo, si componeva di varie parti, iniziando dal Canto dell’Exultet
iam Angelica turba caelorum, il festoso annuncio della Pasqua, il
Canto di Dodici Profezie, affidato ai Cantori Pontifici e le Litanie
Maggiori, sempre intonate dai Cantori, seguite dalla celebrazione
del Santo Sacrificio della Messa, il mistero in cui l’Agnello
pasquale, immolato sul Calvario per la salvezza del mondo e risorto dai
morti, ci ha meritato la redenzione.
Alla
Santa Messa celebrata dal Cardinale Lauria nella Cappella Sistina, fu
presente anche Papa Alessandro VIII.
Ai
Vespri, i Cantori intonarono all’inizio il Salmo Laudate Dominus
omnes gentes, in canto figurato ed al termine il Magnificat
di Luca Marenzio.
Nel
corso della Santa Messa della Domenica di Pasqua, celebrata dal
Cardinale Altieri, presente il Papa, prima del Vangelo, venne cantata la
celebre Sequenza Victime paschali laudes, testo di Vipo,
Cappellano dell’Imperatore Corrado, posta in musica dal Cantore
Pontificio Matteo Simonelli. Al termine del Canone, secondo una
antichissima consuetudine, il Coro dei Cantori non rispose Amen
alle parole del celebrante Per omnia saecula saeculorum. Tale
singolare tradizione aveva avuto inizio molti secoli prima: mentre San
Gregorio Magno celebrava in San Giovanni in Laterano, alla fine del
Canone, gli Angeli del Cielo risposero Amen, per cui in
venerazione di tale grande prodigio, le Costituzioni della Cappella
Pontificia prescrivevano tale omissione di risposta.
Ugualmente,
al Maestro di Cappella era confidata la direzione di alcuni particolari
servigi resi dal Collegio dei Cantori Pontifici, nelle solenni
cerimonie, in occasione delle quali essi erano chiamati ad allietare i
solenni conviti, offerti dal Papa nei Palazzi Apostolici, ai cardinali
che avevano assistito alle funzioni. Sotto la guida del Maestro di
Cappella, i Cantori eseguivano concerti e cantavano mottetti sacri in
latino, accompagnandosi con l’organo, il violoncello ed altri
strumenti. Anche le principali solennità dell’anno offrivano ai
musici pontifici l’occasione di far conoscere agli illustri personaggi
della Curia Romana ed agli ospiti di riguardo della Santa Sede le loro
eccelse qualità musicali.
Conclusi
i Primi Vespri di Natale, nel Palazzo Apostolico si trattenevano quei
cardinali che intendevano assistere al Mattutino ed alla Messa della
Notte di Natale, ai quali la Reverenda Camera Apostolica offriva <<una
lautissima Cena, con apparecchio nobile di varj Trionfi, che
rappresentano i fatti della Natività del nostro Redentore>>
(52). L’apparato della cena veniva prima benedetto e visitato dal
Sommo Pontefice, che ammirava le ricchissime argenterie ed i Trionfi,
preparati con i vari simboli e le decorazioni allusive del Santo Natale.
Prima
della cena, sotto la direzione del Maestro di Cappella, veniva offerto
un sacro componimento in musica con l’esecuzione di una Cantata
sopra la Natività di Nostro Signore Gesù Cristo, curata dai migliori
Cantori della Cappella Pontificia. L’esecuzione avveniva all’ora una
di notte nel salone riccamente addobbato ed illuminato della Sala Borgia
se il pontefice risiedeva in quei giorni al Vaticano o
nell’appartamento al piano del cortile se le funzioni si svolgevano al
Quirinale. Alla Cantata pastorale erano ammessi i cardinali che
intervenivano in mozzetta e ferraiolone rosso, la prelatura e la nobiltà
romana. Al termine della rappresentazione, il Maestro di Cappella, i
cantori e strumentisti partecipavano alla cena imbandita per i
cardinali.
Nel
1690, la Cantata per la Notte di Natale curata dal Maestro della
Cappella Pontificia Don Gregorio de Giudici fu “La Gioia nel seno
d’Abramo”, su testo di Silvio Stampiglia e musica di Flavio Lanciani,
Virtuoso del Cardinale Ottoboni, con la direzione dell’orchestra
affidata ad Arcangelo Corelli (53).
Ugualmente,
il giorno di Pasqua di Resurrezione, il Collegio dei Cantori Pontifici,
durante il pranzo offriva al Papa ed alla sua Corte dei virtuosi
concerti, per i quali i musici ottenevano, secondo un costume
antichissimo, le uova pasquali in marzapane, <<l’Agnello,
e le Paste della Mensa del Papa, e un Doblone di mancia>>
(54).
Il
16 ottobre 1690, giorno anniversario della Incoronazione di Papa
Alessandro VIII vi fu Cappella Papale in San Pietro in Vaticano. Cantò
la Santa Messa il Cardinale Altieri, alla presenza del Pontefice e del
Sacro Collegio. Nella stessa mattina, Alessandro VIII promulgò i
decreti di Canonizzazione dei beati spagnoli Giovanni di San Facondo
agostiniano, Pasquale Baylon francescano, Giovanni di Dio, fondatore
degli Ospitalieri, Giovanni da Capistrano OFM e Lorenzo Giustiniani.
Nel
Diario Sistino del 1690, alla data indicata, il puntatore volle
registrare tutta la solenne cerimonia della canonizzazione, al fine di
regolare anche per il futuro tutta la funzione ed i vari momenti
musicali.
I
Cantori Pontifici, sotto la guida del Maestro di Cappella, Don Gregorio
de Giudici, si ritrovarono nella Cappella Sistina in Vaticano, dove
giunto il Papa intonò l’Inno Ave Maris Stella, proseguito dai
Cantori posti all’interno della prima cancellata. Subito dopo, i
Cantori processionalmente, si recarono fino a Piazza San Pietro e poi
entrarono nella Basilica dalla Porta Maggiore, prendendo posto nel Coro
preparato per loro. Con l’arrivo del Pontefice e del Sacro Collegio
nella Basilica ebbe inizio la cerimonia della Canonizzazione, regolata
minuziosamente dai Maestri delle Cerimonie e dalle prescrizioni scritte
e distribuite a tutti i Cantori. Terminata questa <<solenne e
lunga funzione, si comincia la Messa>>, che fu cantata dal
Cardinale Altieri (55).
Come
annota il Diario Sistino <<Furno
presenti alla Funzione sudd.a tutti li Sig.ri Compagni>>,
insieme alla maggior parte dei Giubilati (56).
Mentre
concludeva il suo mandato di Maestro della Cappella Pontificia, Don
Gregorio volle curare un prezioso Liber Psalmorum in pergamena,
che dedicò al Pontefice regnante Alessandro VIII. Questo codice di
manoscritti musicali, con lettere iniziali di pagina ornate da
miniature, conservato nell’Archivio della Cappella Sistina, nel
frontespizio reca l’iscrizione:
ALESSANDRO
VIII
R.
D. GREGORIO DE IUDICIBUS
Magistro
Cappellae Pontificiae
Pro
tempore existente
Anno
MDCXCI
Jacobus
Tartanus Romanus
Scribebat
(57).
I manoscritti riguardano quattro composizioni musicali di tre
autori di inizio secolo molto apprezzati in quegli anni, utilizzate dai
Cantori della Cappella Pontificia per le solenni cerimonie
dell’Ufficio Divino:
Archangelus Crivelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet,
Octavi Toni cum 8 vocibus
Rogerii Giovanelli,
Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Sexti Toni cum 8 vocibus
Rogerii Giovanelli, Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Primi Toni cum 8 vocibus
Octavi Catalani,
Psalmus 111, Beatus vir qui timet, Septimi Toni cum 8 vocibus (58).
Alessandro
VIII morì il 1 febbraio 1691, nel Palazzo del Quirinale ed il giorno
successivo, nella prima ora della notte, il suo cadavere fu trasportato
in Vaticano, nella Cappella Sistina. Il 3 febbraio venne esposto nella
Cappella del Santissimo Sacramento ed il 5 febbraio, all’ora del
tramonto fu inumato in Basilica, presenti i cardinali che aveva creato,
il Cardinale Barberini, i nipoti e tutta la Camera Segreta.
Conclusi i Novendiali, il 12 febbraio, nella Cappella
della Pietà il Cardinale Chigi, in luogo del Cardinale Cibo, Decano del
Sacro Collegio, celebrò la Santa Messa dello Spirito Santo, alla
presenza del Sacro Collegio.
Come
riferisce il Diario Sistino,
all’Offertorio venne cantato il Mottetto a otto voci Cantate Domino
di Ruggiero Giovannelli. Terminata la Santa Messa, l’Abate
Bonanventura fiorentino tenne l’orazione De eligendo Summo
Pontifice. Conclusa l’orazione, due soprani dentro la cancellata
della Cappella intonarono l’Inno Veni Creator Spiritus <<che
fu seguitato in Canto figurato dalli S.ri Compagni>>. Finito
il primo verso, si avviò la processione
verso la sede del Conclave, nella Cappella Paolina (59).
Il
Conclave si concluse il 12 luglio 1691, con la elezione del Cardinale
Antonio Pignatelli, del Titolo di San Pancrazio, Arcivescovo di Napoli,
che assunse il nome di Innocenzo XII.
Alle
ore 13, il Cardinale Spada comparve sulla Loggia sopra il Portico di San
Pietro e diede il pubblico annuncio della elezione del nuovo Pontefice.
Il
Diario Sistino del 1691 registra, con compiacimento, che <<alle
hora 17 l’Ecc.mo Savelli gran Maresciallo del Conclave introdusse
tutti li Sig.ri Compagni dentro il Conclave prima che vi introducesse
altri.
Il
Puntatore subito fu alla stanza di S.E. Protettore al quale fu
presentato Memoriale diretto a N.S. il contenuto era che si dimandassero
le solite Vesti che suole dare ogni nuovo Pontefice, fu subito da S.E.
presentato à N.S. il quale diede buona speranza di consolar li Sig.ri
miei Compagni>> (60).
Subito
dopo, il nuovo Papa, accompagnato dal Sacro Collegio, venne
processionalmente nella Cappella Sistina, dove fu rivestito degli abiti
pontificali e, posto a sedere presso l’altare, ricevette la cosiddetta
“adorazione” da parte dei
cardinali presenti.
Alle
ore 18, due soprani Cantori intonarono <<l’Ecce Sacerdos
Magnus, in canto fermo, et fu seguitato à cantare in contrapunto,
facendo qualche volta un poco di riposo, tra un verso et l’altro, et
si fece durare fino che fu
arrivato N.S. et Sacro Coll.o al’Altar delli Apostoli in S. Pietro,
dove l’E.mo Chigi intonò il Te Deum, et fu cantato assai adagio dando
tempo che si facesse l’altra adoratione, che finita il sud.to E.mo
disse alcuni versetti, à quali fu sempre fatto risposta da’ Musici,
che detta dal med.o l’oratione, fu da N.S. dato la Benedizione, così
finì>> (61).
Con
solenne cerimonia, Innocenzo XII venne incoronato nella Basilica di San
Pietro in Vaticano il 15 luglio, dal Cardinale Urbano Sacchetti ed il 13
aprile 1692, prese possesso della Basilica Lateranense.
Si
mostrò di inesauribile carità e di costumi purissimi, dedicandosi con
grande cura al miglioramento morale e materiale dei sudditi, dando
grande sviluppo all’Ospizio di San Michele, dove erano accolti ed
istruiti i giovani poveri e destinando il Palazzo Lateranense agli
invalidi al lavoro. Riordinò l’amministrazione e ridusse le spese di
corte, riunì tutti i tribunali nel Palazzo di Montecitorio, la Curia
Innocenziana e promosse lo sviluppo delle missioni di Propaganda
Fide in America, Persia e Cina.
Nella lieta ricorrenza del venticinquesimo anno del suo ingresso
nella Cappella Pontificia, Don Gregorio fu giubilato, cioè cessò
dal servizio, conservando comunque a vita, secondo un antico privilegio
dei Cantori, l’emolumento mensile.
Il
Diario Sistino, alla data del 12 dicembre 1697, così registrava:
<<In questo giorno il S.r D. Gregorio de’ Giudici da
Ceccano compì gl’anni 25 di servitio nella Cappella Pontificia in
conformità della Bolla di Papa Sisto Quinto, essendo stato il S.r D.
Gregorio de’ Giudici puntuale nel servire la Cappella, e fece li
soliti complimenti al Collegio>>
(62).
Nelle verbalizzazioni cronologiche dei Diari Sistini sono
registrate alcune celebrazioni solenni nelle quali Don Gregorio de
Giudici ebbe un ruolo significativo fra i solisti del Collegio dei
Cantori Pontificio.
Il
15 aprile 1677, la sera di Giovedì Santo, nella Cappella Sistina in
Vaticano, presente Papa Innocenzo XI ed il Sacro Collegio, venne cantato
il Mattutino. Dopo la Prima Lamentazione del Profeta
Geremia, in Canto Figurato di Giovanni Pierluigi da Palestrina a
4 voci, Don Gregorio de Giudici, basso e Raffaele Raffaelli, soprano,
cantarono il famoso versetto Jerusalem, Jerusalem, convertere ad
Dominum Deum tuum.
Seguirono
la Seconda Lamentazione in Canto Piano e la Terza
Lamentazione in Canto Piano, interpretata dal celebre cantore
contralto Siface.
Subito
dopo, a Don Gregorio venne affidata la Prima Lezione del
Secondo Notturno, <<Protexisti me, Deus>> (IV
Lectio del Mattutino) (63).
Il
30 marzo 1684, la sera del Giovedì Santo, Cappella Papale nella
Cappella Sistina in Vaticano, il Cardinale Decio Azzolini celebrò l’Offitio
di Mattutino. Dopo la Lamentazione del Primo Notturno,
in Canto Figurato del Palestrina, la Seconda e la Terza
Lamentazione in Canto Plano, Don Gregorio cantò la Prima
Lezione del III Notturno (Lectio VII, De Epistola Beati
Pauli Apostoli ad Hebraeos “Festinemus ingredi in illam requiem”)
(64).
L’11
aprile 1686, la sera del Giovedì Santo, il Cardinale Decio Azzolini
cantò l’Officio di Mattutino, assente il Sommo
Pontefice, alla presenza del Sacro Collegio.
Prima
Lamentazione - Primo
Notturno in Canto Figurato a 4 voci
Giuseppe
Vecchi - Francesco Fabrini
Raffaele
Raffaelli - Giovanni Carlo Anatò
Ad
Hierusalem
R.
D. Gregorio de Iudicibus
Lamentationes
in Canto Plano
Raffaele
Panuntio
Giovanni
Carlo Anatò
Ad
Lectiones 2 Nocturno
Raffaele
Raffaelli
Giovanni
Battista Felici
Giovanni
Antonio Ceva
Ad
Lectiones 3 Nocturno
R.D.
Gregorio de Iudicibus
Giovanni
Matteo Leopardi
Francesco
Fabrini (65).
Nei
primi anni del suo servizio nella Cappella Pontificia, Don Gregorio, in
ossequio alle prescrizioni delle Costituzioni del Collegio dei
Cantori Pontifici, cantò solennemente le Lettioni de Morti, nei Tre
Notturni, nel Mattutino e Laude de Morti, la sera del
1 novembre di ogni anno e le Profetie la mattina del
Sabato Santo. Ognuna delle nove Lettioni de Morti e delle
dodici Profetie era affidata ad un cantore, secondo un ordine
prestabilito, iniziando dal novizio, cioè dall’ultimo entrato
a far parte del Collegio.
Ad
esempio, il 1 aprile 1684, nella Cappella Papale del Sabato Santo,
tenutasi nella Cappella Sistina, dopo il canto dell’Exultet e
la benedizione del Cero Pasquale, Don Gregorio cantò la decima Profetia,
nella quale si esalta la misericordia del Signore, operata per mezzo del
Profeta Giona, in favore del popolo della città di Ninive (66). E due
anni dopo, sempre nella Cappella Papale del Sabato Santo, a Don Gregorio
venne affidata la stessa X Profetia del Profeta Giona (67).
Alcune
interessanti notizie sugli anni di attività di Don Gregorio sono
ugualmente registrate nei Diari Sistini.
La
mattina della festività dell’Epifania del 1682, il Maestro della
Cappella Pontificia Giuseppe Toci, lesse al Collegio dei Cantori un
Memoriale di Don Gregorio de Giudici, nel quale il cantore chiedeva al
Cardinale Protettore un periodo di licenza per recarsi nella sua
cittadina natale. Il Collegio, chiamato dal Cardinale Protettore a
decidere in merito, accordò la licenza a Don Gregorio, obbligandolo però
a rientrare in servizio <<alla Capp.a della Purificatione
Capp.a importan.ma ove si và a baciar li S.ti Piedi del Sommo Pontefice
à prender la Candela Benedetta>> (68).
Don Gregorio ebbe a
soffrire alla fine del 1696 gravi problemi di salute e durante la Santa
Messa del 23 dicembre di quell’anno, fu costretto a partire <<dal
Coro dopo l’Offertorio per non poter stare in piedi per una
indisposizione di una gamba>> (69).
Dal ricchissimo repertorio del Collegio, i Cantori della Cappella
Pontificia amavano trarre con grande varietà le messe composte dai
migliori maestri, che eseguivano nel corso delle cappelle papali, a
seconda della solennità, del tempo liturgico e
della festività del giorno. Da una analisi dei Diari Sistini
emerge che la messa più amata ed eseguita dai Cantori negli anni in cui
Don Gregorio fu membro del Collegio, fu, certamente, la celeberrima Missa
Papae Marcelli di Giovanni Pierluigi da Palestrina.
A titolo di esempio, seguono alcuni dati registrati dal Diario
Sistino del 1680:
6 gennaio, sabato: Festa dell’Epifania Cappella Papale
nella Basilica di San Pietro, Santa Messa cantata dal Cardinale Cibo. I
Cantori Pontifici cantarono la Missa Papae Marcelli ed il
Mottetto Surge illuminare Hyerusalem di Palestrina.
18 gennaio, giovedì: Festa della Cattedra di San Pietro,
venne eseguita la Messa Sacerdos et Pontifex ed il Mottetto Tu
es Petrus di Palestrina.
2 febbraio, venerdì: Cappella Papale della Purificazione
della Beatissima Vergine Maria, alla presenza del Sommo Pontefice
Innocenzo XI, venne eseguita la Messa Vidi turbam magnam di
Gregorio Allegri ed il Mottetto Accepit Lumen di Palestrina (70).
Nel novero dei mottetti più amati, che ricorrono spesso nelle
esecuzioni di quegli anni, si segnalano Hodie nobis caelorum Rex
di Giovanni Maria Nanino, per la Cappella Papale di Natale e Christus
resurgens di Felice Anerio per la Cappella Papale di Pasqua.
Fra gli illustri cantori della Cappella Pontificia che furono
colleghi carissimi di Don Gregorio, ricordiamo alcuni nomi:
- Giovanni Francesco Grossi, detto Siface,
contralto, ammirato per la dolcezza e la soavità del canto, reputato
come uno dei migliori cantanti d’Europa. Nato il 12 febbraio 1653 a
Chiesina Uzzanese di Pescia, in Provincia di Pistoia, fu discepolo di
Tommaso Redi a Loreto. Nella sua prima apparizione teatrale a Roma
interpretò il ruolo di Siface nel dramma per musica Scipione
l’Africano libretto di N. Miniato e musica di Francesco Cavalli,
da cui ebbe il soprannome che lo rese celebre. Musico della Regina di
Svezia e del Cardinale Francesco Maidalchini, fu interprete di numerosi
drammi sacri nell’Oratorio del Santissimo Crocifisso di San Marcello
al Corso. Membro della Congregazione dei Musici di Santa Cecilia, il 14
ottobre 1674 entrò a far parte, insieme ad alcuni musici della Cappella
Pontificia, dell’Arciconfraternita delle SS. Stimmate di San
Francesco. Fu ammesso nella Cappella Pontificia il 10 aprile 1675, come
soprano soprannumerario su diretta concessione del Pontefice Clemente X
e fu il primo contralto ad entrare nel Collegio come soprano. Il 5
settembre 1677 rinunciò al suo posto e continuò con memorabili
successi la carriera di teatro, fino alla sua morte, avvenuta nel 1697,
per mano di due sicari che lo assassinarono crudelmente, sembra per
conto di una nobile famiglia bolognese. Dopo i funerali, venne sepolto
nella Chiesa di San Paolo a Ferrara.
- Andrea Adami, da Bolsena, soprano, ammesso nella
Cappella il 13 ottobre 1690, virtuoso del Cardinale Pietro Ottoboni,
Pastore Arcade e Beneficiato di Santa Maria Maggiore, autore di una
preziosa opera sul Collegio dei Cantori Pontifici, nella quale, a pag.
211, ricorda Don Gregorio de’ Giudici da Ceccano.
- Matteo Simonelli, romano, contralto, ammesso il 15
dicembre 1662, maestro tra gli altri di Arcangelo Corelli, autore di
molte importanti composizioni utilizzate dal Collegio, fra cui la
bellissima Sequenza cantata nel giorno di Pasqua.
- Antimo Liberati, di Foligno, contralto, ammesso il 29
novembre 1661, discepolo di Orazio Benevoli, compositore e celebre
teorico musicale.
- Don Domenico del Pane, soprano e compositore, Giuseppe
Fede da Pistoia, soprano, Raffaele Raffaelli da Montefiascone, soprano,
Giuseppe Ceccarelli da Rieti, soprano, tutti legati all’ambiente
aristocratico ed alla corte della Regina Cristina di Svezia.
Anche due ciociari entrarono in Cappella negli anni in cui Don
Gregorio fece parte del Collegio: Giovanni Battista Felici di Sora,
basso, ammesso nel 1675 e Giuseppe Antonio Jacobelli di Casalvieri,
contralto, ammesso nel 1693.
NOTE
1)
Enciclopedia Cattolica, voce Cappella Musicale Pontificia
(di Luisa Cervelli), Vol., Città del Vaticano 19, coll. 700-702;
NICCOLO’ DEL RE, Mondo Vaticano, voce Cappella Musicale
Pontificia (di M. Ilari), Libreria Editrice Vaticana, Città del
Vaticano 1995, pagg. 200-205.
2) ANDREA ADAMI, detto il Bolsena, Osservazioni per ben
regolare il Coro de i Cantori della Cappella Pontificia,
riproduzione anastatica dell’edizione stampata a Roma da Antonio de
Rossi nel 1711, a cura di Giancarlo Rostirolla, Libreria Musicale
Italiana Editrice, Lucca 1988, pag. XIV.
3)
Ibidem, pag. XVIII.
4)
GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica,
voce Cantori Pontifici, Vol. VII, in Venezia, dalla Tipografia
Emiliana, MDCCCXLI, pag. 27
5)
Ibidem, pag. 39.
6)
Ibidem, pagg. 36-37.
7)
Ibidem, pag. 27
8) ENRICO CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia
nei secoli XVII e XVIII, Fratelli Bocca Torino, 1909, pag. 83.
9)
MATTEO FORNARI Narrazione Istorica / Dell’origine, progressi, e
Privilegi / Della Pontificia Cappella / Con la Serie degl’Antichi
Maestri, e Cardinali Protettori / col Catalogo de Cantori della Medesima
/ Formato da Matteo Fornari / Cantore dell’istessa Cappella / L’Anno
1749 / sotto il glorioso Pontificato del / Regnante Sommo Pontefice
Benedetto XIV, manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di
Roma, citato da Enrico Celani, pag. 84.
10)
Idem.
11)
GAETANO MORONI, Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica,
voce Famiglia Pontificia, Vol. XXIII, in Venezia, dalla
Tipografia Emiliana, MDCCCXLIII, pag. 29.
12)
Ibidem, pag. 30
13) Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina,
Diario Sistino n. 85, anno 1668, cc. 16v. e 17r
14) Ibidem, Diario Sistino n. 88, anno 1670, cc. 14v e
15r.
15)
Ibidem, Diario Sistino n. 90, anno 1672, c. 19v. GIANCARLO ROSTIROLLA, La
musica nelle istituzioni religiose romane al tempo di Stradella, in Chigiana,
Firenze Leo S. Olschki Editore, MCMLXXXIX, pagg. 743-744.
16)
ENRICO CELANI, op. cit., pag. 64.
17)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 90,
anno 1672, cc. 19v e 20r.
18)
Ibidem, Diario Sistino n. 92, anno 1674, cc. 74-75.
19)
Ibidem, Diario Sistino n. 93, anno 1675, cc. 95-99. Sul Giubileo del
Collegio si veda c. 84.
20) Idem, c. 98.
21) Idem, c. 99.
22)
Ibidem, Diario Sistino n. 95, anno 1676, c. 19v.
23)
Ibidem, Diario Sistino n. 100, anno 1681, c. 45r. Per gli emolumenti
attribuiti a Don Gregorio in questa occasione si veda c. 45v.
24)
Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, cc. 41, 46, 53-54.
25)
Ibidem, Diario Sistino n. 101, anno 1682, cc. 54 r et v e 55 r.
26)
Ibidem, Diario Sistino n. 102, anno 1683, c.38v.
27)
Idem, cc. 38v e 39r.
28) Idem, c. 41r.
29) Idem, c. 39v.
30)
Ibidem, Diario Sistino n. 104, anno 1685, c. 29.
31)
Idem, c. 33.
32)
Ibidem, Diario Sistino n. 105, anno 1686, c. 48.
33) Idem.
34) Idem, c. 51.
35) Idem.
36) Idem, c. 37v.
37)
Ibidem, Diario Sistino n. 106, anno 1687, c. 60.
38)
Idem, c. 62.
39)
Ibidem, Diario Sistino n. 108, anno 1689, c. 138.
40) Idem, c. 140.
41) Idem, cc. 235-236.
42) Idem, c. 237.
43) Idem, cc. 239-240.
44) Idem, c. 240.
45) Idem, 229.
46)
Ibidem, c. 348.
47)
ENRICO CELANI, op. cit., pag. 72.
48)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109,
anno 1690, c. 74.
49)
Idem, cc. 72-73.
50)
ANDREA ADAMI, detto il Bolsena, op. cit., pag. 38.
51)
Ibidem, pag. 44.
52)
Ibidem, pag. 101.
53)
Ibidem, pag. 65.
54)
Biblioteca Apostolica Vaticana, Cappella Sistina, Diario Sistino n. 109,
anno 1690, cc. 50v-52v.
55)
Idem, c. 51v.
56)
Idem, c. 52v.
57)
JOSEPHUS LLORENS, Capellae Sixtinae Codices, Città del Vaticano,
Biblioteca Apostolica Vaticana, 1960, pag. 141, n. 89.
58)
Idem.
59)
Ibidem, Diario Sistino n. 110, anno 1691, cc. 31 r et v.
60)
Idem, c. 74r.
61)
Idem, c. 74v.
62) Ibidem, Diario n. 116, anno 1697, c. 129 r et v.
63)
Ibidem, Diario n. 96, anno 1677, cc. 18 r et v.
64)
Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 9v.
65)
Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 15r.
66)
Ibidem, Diario n. 103, anno 1684, c. 12r.
67)
Ibidem, Diario n. 105, anno 1686, c. 17r.
68)
Ibidem, Diario n. 101, cc. 13 r et v.
69)
Ibidem, Diario n. 115, anno 1696, cc. 211-212.
70)
Ibidem, Diario n. 99, anno 1680, cc. 1v, 4r e 6r.
IL
DIARIO SISTINO DEL 1684
SCRITTO
DA DON GREGORIO DE GIUDICI
Martedì
28 dicembre 1683, Festa dei Santi Innocenti, il Collegio dei Cantori
Pontifici tenne la consueta Congregazione per la elezione dei nuovi Officiali.
A tale scopo, i Cantori si riunirono nella Cappella Sistina in Vaticano,
nella quale, dopo l’invocazione dello Spirito Santo da parte del
Maestro di Cappella, fu dato inizio alla riunione.
Gli
Officiali dell’anno in corso, Giuseppe Vecchi, Maestro di
Cappella, Giuseppe Fede, Camerlengo e Giovanni Matteo Leopardi,
Puntatore, ringraziarono il Collegio per l’onore loro concesso di
guidare le sorti della illustre istituzione.
Nel
corso degli scrutini, a cui parteciparono 30 Cantori, venne eletto Maestro
di Cappella per il 1684 il basso Francesco Verdone e Camerlengo
Don Giuseppe Fede. Subito dopo, si passò alla votazione per la nomina
del Puntatore, che vide l’elezione di Don Gregorio de Giudici.
Quest’ultimo,
conformemente al solito, prestò giuramento nelle mani del Maestro di
Cappella di osservare e far osservare le Costituzioni e le consuetudini
del Collegio dei Cantori Pontifici.
Nel
suo ufficio di Puntatore, Don Gregorio, in qualità di segretario
del Collegio, era tenuto a verbalizzare con precisi particolari tutta
l’attività del sodalizio, nelle varie cerimonie del calendario
dell’anno liturgico, in cui era prescritto l’intervento dei Cantori
Pontifici.
Nello
stesso tempo, il Puntatore,
aveva l’incombenza di registrare le inadempienze dei Cantori che
venivano “puntate”, cioè registrate e multate secondo le severe
prescrizioni delle Costituzioni del Collegio.
In
ossequio alle disposizioni ed ai dettami delle Costituzioni, ogni
cantore aveva l’obbligo di intervenire alle cerimonie senza alcun
ritardo, con un contegno di gravità e modestia, mentre erano attribuite
precise istruzioni a riguardo del silenzio, la cura della tonsura
clericale, del vestiario, l’attenzione e la diligenza nel voltare le
carte dei codici musicali utilizzati nel canto.
In
particolare, l’assoluta perfezione richiesta nella interpretazione
delle composizioni, comportava la segnalazione di ogni minimo errore
compiuto dai cantori nell’esecuzione dei brani (come l’intonazione,
i tempi e l’ingresso delle varie voci), a cui seguiva la severa
ammenda di ognuno di essi.
Nel
caso di inosservanza di tali prescrizioni, al cantore responsabile della
violazione veniva comminata una multa espressa in bajocchi, da parte del
Puntatore, che la registrava nel Libro dei Punti o Diario
Sistino di quell’anno.
Nel
Diario Sistino, la cronaca degli avvenimenti salienti delle
cerimonie liturgiche pontificie registrava minuziosamente, “a perpetua
e futura memoria”, alcuni dati fondamentali, insieme a qualche breve
notizia di particolare rilievo sulla celebrazione stessa, il luogo in
cui essa si svolgeva e la presenza del celebrante, nella persona del
Papa, di un Cardinale o di un Vescovo Assistente al Soglio.
Queste
preziose memorie, scandivano, con assoluta regolarità, tutta la vita
della Corte Pontificia, vista attraverso il privilegiato dei Cantori
della Cappella Pontificia, il cui Collegio era inserito a pieno titolo
fra i ceti più prossimi alla sacra persona del Papa.
Il Diario Sistino del 1684, redatto da Don Gregorio de
Giudici nella sua qualità di Puntatore consta di 40 pagine ed è
molto accurato e ricco di informazioni e notizie sul rituale delle
festività dell’anno liturgico e sugli interventi musicali. Questo
volume è uno dei pochi in cui siano forniti numerosi elementi preziosi
per una conoscenza del repertorio della Cappella Pontificia e della
tradizione musicale che fu un costante punto di riferimento della Scuola
Musicale Romana nella seconda metà del XVII secolo.
Infatti nelle sue memorie, Don Gregorio precisò gli autori ed i
titoli dei brani polifonici eseguiti dai Cantori Pontifici durante
alcune celebrazioni solenni alle quali il Collegio intervenne. Per tali
motivi, come ha segnalato il Prof. Giancarlo Rostirolla, il Diario
Sistino redatto nel 1684 è ricco di molti dati interessanti e
preziosi per gli studiosi ed i cultori della Storia della Cappella
Pontificia.
Il
Diario Sistino del 1684 reca nel frontespizio la dicitura autografa:
LIBRO
DELLI
. PUNTI . DE
SIGNORI
. MUSICI
DELLA
. CAPPELLA
PONTIFICIA
DA
GREGORIO DE
GIUDICI
. REGISTRATO
NELL’ANNO
. MDCLXXXIV
Nelle prime due facciate successive, Don Gregorio riporta
l’elenco di tutti i Musici della Cappella Pontificia, con il loro nome
e cognome, seguito dai Cappellani, gli Scrittori ed il Custode della
Cappella Pontificia.
A
pagina 2 inizia la cronologia degli avvenimenti rilevanti che,
nell’anno 1684, interessarono il Collegio dei Cantori Pontifici.
Il
primo gennaio, sabato, Circoncisione di Nostro Signore Gesù Cristo,
vi fu Cappella Papale nella Cappella Sistina al Vaticano. Cantò la
Messa il Cardinale inglese Filippo Tommaso Howard di Norfolk, con
l’intervento del Sacro Collegio, ma non fu presente il Sommo Pontefice
Innocenzo XI, perché indisposto.
Prima
della Santa Messa, il Maestro di Cappella Francesco Verdoni, il
Camerlengo Don Giuseppe Fede e Don Gregorio de Giudici, Puntatore, si
recarono dal Maggiordomo Mons. Mazzei per gli auguri di buon anno e per
consegnargli il mandato delle mance per il Collegio, solite a concedersi
dal Papa in queste occasioni (c. 2r).
GENNARO
6 Giovedì festa dell’Epifania. Cappella Papale nella
Cappella di Sisto nel Vaticano cantò la messa l’Em.mo Card.le
Ottoboni con l’assistenza del Sacro Collegio, N.S. indisposto; tutti
li SS.ri Compagni presenti, nel fine della messa intimai il servitio per
il giorno seguente, e che la Domenica prossima si sarriano lette le
Costituzioni conforme al solito nella med. Cappella à hore sedici (cc. 2 r et v).
9 Domenica - radunarosi tutti li SS.ri Compagni serventi
nella solita Cappella di Sisto nel Vaticano à hore sedici furono lette
le Costituzioni … dopo lette le Costituzioni, tutti genuflessi,
rendessimo le gratie al Sig.r Iddio, et avvisai il servitio per il
giorno seguente (c.
2v).
FEBRARO
2 Mercordì - festa della Purificatione della B.V.M. Capp.
Papale nella Cappella di Sisto al Vaticano fece la beneditione et la
distributione delle Candele N.S. cominciando p.a dal sac. Collegio delli
Em.mi Card.li con l’assistenza dell’Ambasciator di Francia d’Etré,
e delli Principi del Soglio, poi susseg.nte per ordine à tutti
gl’altri, è fù fatta la processione solita per la sala Regia. N.S.
portato in sedia accompagnato dall’Ambasciatore sud.o et Prencipi del
soglio, da tutta la prelatura, e dal sac. Collegio come il solito.
L’Em.mo Card.le Carpegna cantò messa con l’assistenza
di N.S. e del sac. Collegio, tutti li nostri SS.ri Compagni diligenti (
c. 4v).
MARZO
19 Domenica di Passione - Capp. Papale nella Capp. Di
Sisto nel Palazzo Vaticano, cantò la messa Mons.r Buttini con
l’intervento del Sac. Collegio, tutti li SS.ri Compagni diligenti e
feci consapevole che si facevano le prove dell’opere che si dovevano
cantare la settimana santa, per poterle concertare per martedì futuro (cc. 7v e 8r).
21 Martedì - furono fatte le prove da cantarsi nella
settimana santa, e furono date le cotte per la festa della SS.ma
Nunziata (c.
8r).
Con
la Settimana Santa, la descrizione diviene ancora più minuziosa.
26 Domenica delle Palme, Cappella Papale celebrata nella
Cappella Sistina dal Cardinale Crescenzi, con la benedizione e
distribuzione delle Palme. Terminata la distribuzione delle Palme, vi fu
la processione che per la Sala Regia tornò in Cappella, dove venne
cantata la Santa Messa con il Passio (cc. 8 r et v).
29 Mercordì Santo - al matutino Capp. Papale nella Capp.
di Sisto, N.S. indisposto fece la funzione l’Em.mo Card. Cibo con
l’assistenza del Sac. Collegio, e fù cominciato l’officio alla p.a
Lamentazione quale si cantò in canto figurato di Gregorio Allegri.
Dopo aver precisato che la Seconda Lamentazione
venne eseguita in canto plano, il Puntatore registrò
l’esecuzione del Miserere di Gregorio Allegri a due cori (cc.
8v e 9r).
30 Giovedì Santo - cantò la messa l’Em.mo Card.le Cibo
con l’intervento del Sac. Collegio, e fece la funtione portanto il
SS.mo al sepolcro accompagnato dalli Em.mi e Sig.ri Prelati, et altri,
finita la messa fece la funtione della lavanda delli Apostoli in
mancanza di N.S. quale era indisposto, finita la fontione s’andò al
solito tinello, e nesuno si lamentarono come furono trattati; alla d.
funtione nessuno mancò delli nostri SS.ri Compagni.
Giovedì al giorno dell’offitio fece la fontione l’Em.mo
Card. Azzolini, con l’assistenza del Sac. Collegio, N.S. non calò per
l’indisposizione.
La Lamentazione del Primo Notturno, fu in canto
figurato del Palestrina.
Nel Terzo Notturno, Don Gregorio de Giudici cantò
la VII Lezione.
A conclusione, venne cantato il Miserere di Matteo
Simonelli a due cori (cc. 9r et v).
Il 31 Venerdì Santo - Cappella Papale nella Cappella
Sistina. La funzione venne celebrata dal Cardinale Azzolini che riportò
processionalmente il Santissimo Sacramento dalla Cappella Paolina alla
Cappella Sistina. Alla Profetia Il Sig.r Carlo Ant.o Anotò, e si portò
molto bene. Seguì
il canto del Passio, affidato a tre cantori e gli Improperi
a due cori.
Sempre Venerdì Santo all’Offitio, dopo le Lamentazioni
ed i Notturni venne cantato il Miserere di Felice Anerio a
due cori (cc. 10r-11r).
APRILE
1° Sabbato Santo - nella solita Cappella di Sisto al
Vaticano la funtione fù fatta senza intervento di N.S. quale era
indisposto, con l’assistenza del Sacro Collegio; principiato dal
Diacono Mons. Casali lumen Christi li nostri Compagni lesti furono nel
rispondere, e nesuno mancò in quella mattina, fu cominciato dal d.o
Diacono à cantarsi l’Exultet per la bened.no del Cereo doppo furono
cominciate le profetie cominciandosi dall’ultimo cantore, sino al
duodecimo.
La decima Profetia fu cantata da Don Gregorio de
Giudici.
Finite le profetie si cantorono le litanie de Santi e
subito finite si cominciò la Messa quale fù cantata dall’Em.mo
Card.le Lauria; ogn’uno in quella mattina si portò bene (c. 12r).
2 Domenica Pasqua di Resurrettione - Capp. Pap. al
Vaticano nella Capp. di Sisto, cantò Messa il S.r Card.le Ludovisi con
l’assistenza del Sacro Collegio, e perché N.S. era indisposto per
quest’anno il popolo non hebbe la beneditione. Il nostro Camerlengo
andò dal Maestro di Camera se N.S. voleva li soliti mottetti al pranzo
e li fù risposto ch’andassimo à pranzo che N.S. non voleva mottetti
per quella mattina et il nostro Camerlengo si trasferì da Mons.r
Magiordomo per far passare il md.to delle mancie da N.S., poi ci
n’andassimo al tinello, dove fossimo ben trattati, tornati in Cappella
dividessimo l’ove benedette, e l’altre paste di zuccaro solite darsi
da N.S. in giorno di Pasqua con l’Agnello benedetto, quale fù dato al
Sig.r Gio: Matteo Leopardi, benché sia regalia che de iure vada al S.r
Camerlengo
(c. 12v).
MAGGIO
21 Dom.ca di Pentecoste - Cappella Papale nella Chiesa di
S. Pietro, Nostro Sig.re calo in sedia Pontificalm.te accompagnato dal
sac. Collegio servito dall’Ambasciadore di Francia Principi e Prelati,
cantò messa il S.r Card. Ottoboni, tutti li SS.ri Compagni diligenti,
si doveva in q.ta matt.a andare à pranzo al solito tinello à palazzo mà
perche non era comodo à quelli che dovevano accomodare per d.o pranzo
ci venne avvisato dal nostro Camerlengo ch’andassimo à pranzo à Casa
con pigliare il solito emolum.to d’un scudo per uno del pranzo e ci fù
intimato il Vespero secreto per hore 21 à hore 22 fù cantato il
vespero secreto nella Cappelletta solita alla presenza di N.S., e tutti
quelli della Camera secreta dove che de nostri compagni non mancò
nesuno
(c. 16r).
22 Lunedì - s’andò processionalm.te da S. Pietro in S.
Spirito per conquistare il S. Giubileo concesso in quella Chiesa conf.e
l’intenzione di N.S. P. Innocenzo XI regnante (cc.
16 r et v).
27 Sabbato p.o vespero della SS.ma Trinità - capp. Papale
nella solita cappella di Sisto, fece la funtione il S.r Card. Azzolini
con l’assistenza del Sac. Collegio, N.S. absente (c. 16 v.).
28 Domenica festa della SS.ma Trinità - Capp. Papale
nella Capp. di Sisto al Vaticano, cantò messa il Card.le Azzolini con
l’assistenza di N.S. e del sac. Collegio (c. 16v).
31 Mercordì Capp. Papale p.o Vespero della Solennità del
Corpus D.ni - fece la funtione il S.r Card.le Cibo con l’assistenza
del sac. Collegio, tutti furono presenti (c. 17r).
GIUGNO
1 Giovedì festa del Corpus D.ni - capp. Papale, N.S. non
calò, e così disse messa bassa l’Em.mo Card. Cibo al quale furono
cantati li soliti mottetti da cantarsi nella messa in d.a festa. Si
cominciò la processione per ordine come il solito cominciando dalla
Cappella di Sisto dove uscì l’Em.mo Card.le Cibo con il SS.mo
Sacram.to in mano accompagnato dalli SS.ri Card.li, e Prelati con
quantità di torcie si fece il solito giro sino alla piazza di S.
Giacomo detto scossacavalli, e si ritornò per li portici sino
all’Altare maggiore di S. Pietro dove arrivato che il SS.mo e posato
sopra l’altare magiore, diede la Benedizione al popolo, poi tornassimo
a casa
(c. 17v).
28 Mercordì Vigilia di S. Pietro - calò N.S.e in sedia
Pontificale nella Chiesa di d.o Santo accompagnato dal sac. Collegio
Ambasciatori Principi; si cantò il p.o Vespero quale finito si mise di
nuovo in sedia e venne verso la porta della Chiesa, dove ricevé la
Chinea dal Principe S. Bono Ambasciatore estraordinario; tutti li nostri
compagni presenti
(c. 19r).
29 Giovedì festa di S. Pietro - calò N.S.e in sedia
pontificalm.te nella Chiesa di S. Pietro accompagnato e servito dal sac.
Collegio e dal S.r Ambasciatore di francia, e Principi, e Prelati, et
assisté pontificalm.e alla messa, la quale fu cantata dall’Em. S.r
Card.le Pio; il nostro S.r Camerlengo andò per sapere se N.S. voleva li
mottetti alla tavola, li fù risposto di no, e che N.S. voleva il
vespero a hore 22, et in cambio del pranzo avessimo il md.o di un scudo
per uno, perche in palazzo non gli era comodo dare la solita tavola,
stante che N.S. era per partire per M.te Cavallo.
Alle 23 si cominciò il Vespero Secreto nella cappelletta
solita, presente N.S. e con q.ta occasione il nostro Camerlengo diede il
md.to delle mancie al Magior Domo del Papa, è la lista del pranzo
ancora per farle passare da N.S.re
(cc. 19 r et v).
SETTEMBRE
21 Giovedì - Capp. Papale nel Quirinale per la creatione
di N.S. Innoc.o XI, cantò messa il S.r Card.le Lauria con
l’assistenza del sac. Collegio. Assistette N.S. (c. 25v).
OTTOBRE
4 Mercordi - capp. Papale nel Quirinale per la coronatione
di N.S. P. Inn. XI il mede.mo assistette. Cantò messa l’Em.mo S.r
Card.le Cibo con l’intervento del sac. Collegio dei Cardinali; tutti
li SS.ri Compagni presenti.
Doppo la messa il S.r Camerlengo ci portò avviso che N.S.
non voleva li mottetti per quella mattina, e così ci n’andassimo à
pranzo nelle nostre habitationi, non perciò ci mancò il nostro solito
scudo per ciascheduno per d.o pranzo (cc.
26v e 27r).
NOVEMBRE
1 Mercordi festa di tutti li Santi - Cappella Papale nel
Palazzo Quirinale. Cantò messa il Card.le
Ottoboni con l’intervento del sac. Collegio de Cardinali. N.S.
non calò, tutti li signori Compagni presenti, eccetto che il nostro
Sig.r M.o di Cappella amalato, et ancora il signore Giuseppe Fede. In
questo giorno è solito darsi il pranzo, e perche il nostro Pontefice,
abita à monte Cavallo, dove che non ci è luogo di poter dare il
tinello, in vece del Pranzo il nostro S.r Camerlengo deve havere il
mand.to da Mo.r Magiordomo d’un scudo per ciascuno. Dopo il pranzo si
cantò il Vespero e Matutino, e Laude de Morti e la fontione la fece il
S.r Card.le Azzolini, con l’intervento del sac. Collegio, e N.S. non
calò, e furono cantate le Lettioni de Morti dalli SS.ri Musici nostri
Compagni, incominciandosi dal novizio conforme al solito (cc.
28 r et v).
2 Giovedì comemoratio omnium fidelium defunctorum. -
Capp. Papale nel Quirinale cantò messa l’Emin.mo Card.le Azzolini con
l’assistenza del Sac. Collegio. N.S. non intervenne, tutti li nostri
SS.ri Compagni presenti
(cc. 28v e 29r).
DICEMBRE
3 Domenica prima dell’Advento - Capp. Papale nella
solita Cappella di Sisto nel Palazzo Vaticano con l’assistenza del
sac. Collegio, N.S. quale non intervenne, cantò messa Mons.r Arcani e fù
messa novella, tutti li SS.ri Compagni presenti.
Finito la messa Mons.r Arcani portò processionalm.te il
SS.mo Sacramento nella cappella solita per le quarant’ore correnti,
con grandissimo apparato accomodata, e con infinità di cera.
In questa mattina fù affissa la lista solita con li nomi
di tutti li SS.ri Compagni serventi finche ogn’uno sapesse q.do li
toccava la sua hora in questi giorni, nelli quali il Santissimo
Sacram.to stà esposto, con il consueto (c.
33r).
4 Lunedì - nessuno mancò in fare ogn’uno la sua debita
hora come in lista fù notato (c. 33v).
5 Martedì - si levarono le quarant’hore dalla Cappella,
e p.a furono cantate le litanie da due soprani, e poi fù detta la messa
bassa dal sotto sacrista et in tanto furono detti dui mottetti soliti
all’offertorio, et all’elevatione
(c. 33v).
24 Domenica Vigilia della Natività di N.S. Giesù Cristo
- Vespero Papale, nella cappella al Quirinale con la presenza del sac.
Collegio. N.S. non intervenne essendo indisposto. Il S.r Card.le Cibo
fece la funtione, mancò similmente il S.r Fabri. Al fine del magnificat
venne il S.r Franc.o Verdoni nostro Maestro di Cappella, con il quale ci
rallegrassimo tutti della ricuperata salute, e li fù concesso di poter
venire in Cappella in suo arbitrio.
La notte à hore quattro fù cominciato il matutino nella
mede.ma Cappella alla presenza del sac. Collegio de Card. N.S.
indisposto, e furono cantate le lettioni delli 3 notturni dalli nostri
sig.ri Compagni cominciandosi dal novizio, sino all’ottavo, perche la
nona lettione la canta il celebrante q.le fù il S.r Card. Ovardi
Inglese frate della Minerva.
Finito il Te deum fù cantata la messa dal mede.mo Card.,
quale finita ci n’andessimo à Casa (cc. 35 r et v).
25 Lunedì Natività di N.H. Iesù Xsti - Cappella Papale
nel Palazzo Quirinale, N.S. non intervenne. Cantò messa l’Emin.mo
Card. Ludovisi con l’assistenza del sac. Collegio, si fece la solita
comunione dalli SS.ri Card.li Diacon;; tutti li SS.ri Compagni presenti,
et in questa mattina si doveva havere il solito pranzo, ma per la
comodità mancante nel Quirinale, ò per dir meglio scomodità, in vece
di esso avessimo il solito mandato di scudi 1.
Il giorno à hore 22 fù cantato il Vesp.o secreto nella
solita cappella alla presenza di N.S.; tutti li nostri signori compagni
intervennero con ogni puntualità (cc. 35v e 36r).
26 Martedì Festa di S. Stefano Protomart.re - fù
Cappella Papale nel Palazzo del detto Quirinale, N.S. non intervenne,
cantò messa l’Emin.mo Card. Nerli con l’intervento del sac.
Collegio; tutti furono diligentissimi (c.
36r).
27 Mercordì festa di S. Giovanni - Capp. Papale nel
Quirinale cantò messa il S.r Card. D’Etré francese, fratello del
Ambasciatore presente ordinario con l’assistenza del sac. Collegio,
N.S. non calò; tutti li nostri SS.ri Compagni puntuali. Finita la messa
feci intendere alli nostri meritissimi Compagni, che il S.r Card.
Protettore aveva sodisfatione di parlare con tutti della nostra Cappella
p.a che si facesse la solita Congregatione per fare li ufficiali novelli
per l’anno entrante (cc.36
r et v).
31 Domenica Vigilia della Circoncisione
di N.S. Giesù. - Cappella Papale nel Quirinale, N.S. absente,
ufficiò il S.r Card. Crescentio alla presenza del sac. Collegio; tutti
li Sig.ri nostri Compagni mostrarono la solita loro puntualità per non
dare occasione à me per l’ultimo giorno di q.to officio di non
segnare, come diligentissimam.te hò segnato tutto questo anno con ogni
integrità, e sincerità, senza rispetto di qual si voglia, facendo
nella mia arme una bilangia, come al cognome perciò se per accidente
avessi errato preter intentionem è di qualsivoglia difetto possibile
prego la bontà di tutti li nostri SS.ri Compagni volermi condonare e
compatire dichiarandomeli ob.mo dell’honore e prego la S.D.M. multos
annos à tutti.
Laus
Deo Amen, et B.M.V. Amen (36v e 37r).
Sempre nel Diario
Sistino, vennero registrate le numerose occasioni in cui il Collegio
dei Cantori Pontifici fu chiamato ad impreziosire, con la sua arte
impareggiabile, speciali e solenni celebrazioni durante l’anno
liturgico, nelle principali basiliche e chiese romane.
GENNARO
23 Domenica - non fù servito perche molti de nostri
compagni andarono alla Messa di Spagna in S.M. Magiore
(c. 3r).
24 Lunedì - fù cantata la messa per l’anniversario
della b.m. di Marco Marezzoli come il solito ogn’anno nella Chiesa
nova di S. Filippo, è si trovarono à queste esequie tutti puntuali con
li SS.ri Giubilati ancora
(cc. 3 r et v).
29 Sabato - si andò a cantare il p.o vespero alla Chiesa
di S. Martina
(c. 3v).
MARZO
7 Martedì festa
di S. Tomaso d’Aquino - Capp. Cardinalizia nella Chiesa della Minerva,
cantò Messa Mons. Marino con l’intervento del Sacro Collegio. Tutti
li SS.ri Compagni diligenti con li giubilati ancora (c. 7r).
25 Sabbato - capp. Papale nella Chiesa della Minerva, cantò
messa l’Em.mo Card.le Ovardi, Inglese del ordine de Dominicani, con
l’assistenza del sac. Collegio N.S. indisposto; tutti li SS.ri
Compagni presenti (c.
8r).
GIUGNO
24 Sabbato - Cappella Papale nella Chiesa di S. Gio. in
Laterano per la festa della natività di d.o Santo, cantò messa l’Em.mo
Card.le Chisi Arciprete di d.a Basilica con l’assistenza del sac.
Collegio, N.S. absente; tutti li compagni diligenti (c. 19r).
LUGLIO
14 Venerdì S. Bonaventura - capp. Cardinalizia nella
Chiesa di SS. Apostoli, cantò messa Mons.r Capobianco; tutti li nostri
Compagni presenti
(c. 20v).
29 Sabbato festa di S. Marta, chiesa delli officiali di
Palazzo avendoci mons.r Maggiordomo fatto sapere che in gratia di sua
sig.ria Ill.ma fossimo andati à cantare la messa al quale nesuno replicò
bensi dissero, che ci sarebbero necessarie le carrozze per il viaggio
così caldo, quale furono mandate in più loghi per comodità delli
SS.ri Musici, fù cantata la messa sola conforme al solito (cc.
21v e 22r).
AGOSTO
15 Martedì - Capp. Papale nella Capp. di Paolo V° in
S.M. Magiore per la detta festa, cantò messa l’Emin.mo Sig.r Card.le
Nerli con l’intervento del sac. Collegio; N.S. non venne
(cc. 23v e 24r).
SETTEMBRE
8 Venerdì - Capp. Papale à S.M. del popolo per la festa
della Natività della Beata Vergine Maria, cantò la messa l’Em.mo
Card. Chisi con l’intervento del sac. Collegio de Card.li; N.S. non
venne; tutti li compagni presenti
(c. 25v).
NOVEMBRE
4 Sabbato - cappella Cardinalizia nella Chiesa di S. Carlo
al Corso per la festa di d.o Santo, cantò messa mons.r Carducci. Tutti
li nostri SS.ri Compagni presenti e diligenti come anco li SS.ri
Giubilati, eccetto quelli che sono fuori di Roma (c. 29r).
7 Martedì - Esequie per li nostri compagni defunti nella
Chiesa di S. Gregorio
(c. 30r).
Le Messe di Requiem per le esequie di illustri personalità
ecclesiastiche e diplomatiche sono puntualmente annotate nel Diario
Sistino fra le celebrazioni di prim’ordine, in cui era molto
ambito l’intervento dei Cantori Pontifici.
FEBRARO
4 Venerdì - Esequie del defunto Card.le Giacomo
Rospigliosi in S.M.Magiore, alla quale si trovarono tutti li nostri
SS.ri Compagni, et ancora li giubilati (cc. 4v e 5r).
GIUGNO
12 Lunedì - capp. Papale nella capp. di Sisto messa di
Requiem per la morte del Re di Portogallo cantò messa il Card.le d’Etré
con l’assistenza di N.S. e del sac Collegio; tutti li compagni
presenti
(c. 18r).
LUGLIO
22 Sabb.o - Capp. Papale nel Quirinale per l’esequie di
Clem. X° cantò messa l’Em.mo S.r Card.le Altieri con l’assistenza
di N.S. et del sac. Collegio; tutti furono pre.ti (c. 21r).
Don Gregorio non mancò di registrare con accenti di sincera
commozione, la scomparsa di uno dei migliori cantori di quegli anni, il
soprano Francesco Maria Fede, nativo di Pistoia, celebre virtuoso. Con
un breve elogio funebre inserito negli atti del Collegio, il Puntatore
volle rendere omaggio ad una personalità di sicuro spessore, apprezzata
negli ambienti aristocratici della Città Eterna per le sue
distintissime qualità canore. Un fratello del defunto, Giuseppe Fede,
soprano ricercatissimo, anch’egli membro del Collegio dei Cantori
Pontifici, avrebbe continuato ad onorare splendidamente, con la sua
arte, la memoria dell’illustre scomparso.
MARZO
1° - Passò da questa à megliore vita il Sig.r Franc.o
Maria Fede non voglio mancare di non registrare in questo libro ad
futuram memoriam il dispiacere che ne sentì il nostro Collegio, come
Roma tutta, mentre si vidde privo di un speciale Virtuoso Musico il di
cui nome per tutto il mondo ne volava, mentre nelle più solenni
festività di Roma ne portava sempre il vanto tra virtuosi, tanto per
l’arte, come per la voce, al di cui canto si empivano le Chiese di
homini virtuosi per sentirlo tanta era l’estimazione, et il concetto
app.o li Principi, e Cavalieri teneva speciale familiarità. Chiamavasi
per Etimologia il fedino per altro Giovine oltre le prerogative dove
s’accoppiavano quelle dell’anima di Gentilezza, Bontà, Costumi, e
Prudenza è particolari tratti tutto Cortesia, tutto affetto, tutto
Prudenza, tutta virtù (c.
6v).
3 Venerdì - furono fatte le esequie per il d.o defunto
nella d.a Chiesa di Monte Santo, dove pervennero li nostri SS.ri
Compagni, etiam Giubilati Cappellani Chierici, et Custodi della nostra
Cappella con distributione di candele di una libra con decente catafalco
bene accompagnato di torcie (c.
7r).
Nelle cronache del Diario
Sistino di Don Gregorio de Giudici traspaiono anche alcune
informazioni sulle vicende politiche europee, che rivestivano
particolare importanza agli occhi del Pontefice Innocenzo XI,
riguardanti le vittorie delle armate imperiali nella secolare lotta per
la riconquista dei territori ungheresi.
LUGLIO
16 Domenica - capp. Papale nel Quirinale per l’allegria
della presa di Vacchia contro li Turchi et altri luoghi riacquistati
dalli nostri cantò messa il S.r Card.le Pio con l’assistenza di N.S.,
e del sac. Collegio dopo il post comun. Fù cantato il te deum intonato
da N.S. con lo sparo di molti mortaretti e pezzi di M.te Cavallo e
castello S. Angelo (c.
20v).
AGOSTO
13 Domenica - capp. Papale per la rotta data alli Turchi
dal Duca di Lorena sotto Buda con haver disfatto l’esercito e pigliato
tutto il bagaglio cantò messa l’Em.mo Card.le Pio con l’assistenza
del sac. Collegio (c.
23r).
I
RAPPORTI CON LA SUA FAMIGLIA E CON CECCANO
A
causa della completa dispersione dei documenti privati di Casa Giudici
non ci era noto alcuno scritto autografo inviata da Don Gregorio ai suoi
familiari in Ceccano.
Nella
meticolosa verifica della documentazione conservata nell’Archivio
Notarile di Ceccano, l’autore della presente memoria biografica ha
avuto modo di rinvenire, il 23 dicembre 2004, una preziosa lettera
autografa di Don Gregorio al fratello Federico, inserita tra i fogli
della terza di copertina rilegata di un Protocollo notarile.
Il
testo risale al primo periodo di presenza di Don Gregorio a Roma ed è
particolarmente interessante sotto molti aspetti, poiché ci rivela la
forte personalità del giovane sacerdote e traduce bene i sentimenti, le
ansie e le difficoltà che egli viveva in quel momento.
Da
un lato traspaiono le preoccupazioni per le spese che è costretto a
sostenere a causa del suo stato, ma dall’altro si coglie, immediata e
viva, la grande forza d’animo e la notevole determinazione che lo
animavano a proseguire nella strada intrapresa, al fine di conseguire
grandi traguardi artistici nelle istituzioni musicali della Città
Eterna.
Ugualmente
emblematica si rivela la dichiarazione secondo cui egli non teme un
contrasto con il Vescovo di Ferentino, in quanto è sicuro del fatto suo
e delle proprie ragioni, convinto di riuscire, ben presto, a far
ricredere il prelato.
Il
tono nei confronti del fratello Federico è davvero affettuoso,
familiare e pieno di umanità, a riprova di un saldissimo vincolo che da
sempre li univa. E pur nelle difficoltà incontrate in questo primo
periodo di residenza a Roma, Don Gregorio non cessa di inviare a Ceccano
alcune pietanze e primizie di ortaggi, certamente non comuni nel mercato
locale.
Sempre
dalla lettera apprendiamo che per qualche tempo l’amatissimo nipote
Salvatore, figlio di Federico, fu al fianco di Don Gregorio a Roma.
<<Sig.re
fra.llo Cariss.mo
Sappia
V.S. come molti giorni sono che uscii da S. Angelo perché m’accorgeva
non so che da alcuni canonici, q.li avevano poco gusto che servisse et
io pigliai questo mezzo termine di pigliarmi licenza p.a che me fusse
data, ritrovandomi poi asciutto di borsa è senza pane, per avermi
compro un feraiolo con sottana è calzoni, che per pigliare quest’
ne fui forzato vendere un caldarello ch’haveva con un tavolino
è cinque sgabelli per fare il fatto mio che q.a carta pecora me costa
giuly trentasette è per finire il mio intento quando non sapessi altro
modo di fare voglio vendermi il letto con le camiscie che altro non hò
che sia mio. Vi mando Salvatore acciò non è habbiamo à perdere tutti
doi. V.S. veda di farmi presentare le copie dell’acclusa una à Monsig.re
e’ finale è l’altra alla parte per adesso hò data sicurta di 50
scudi avanti l’A. della C. dove me sono costituito et ho tutta Roma c.
carcere p.o. V.S. veda di farla quanto più presto pole con la referenda
del mandatario con l’autentica della Com.ta col sigillo. Parli con il
Sig.re Medico, che si facci restituire le fedi q.li gli le mandai per
difendermi avanti Monsig.re e q.do non si potessero havere ne facci fare
un’altra dal Cancelliere de Pofi che adesso voglio in ogni modo
finirla è non mi curo che il vescovo me resti inimico perche mi prenderò
d’altro maniere è ricuperarò la Cavalcata. Li mando li scafi è
piselli q.li avevo compro dal p.° mercato di quaresima. Mi compatisca
se rimando Salvatore che non ne posso far di meno che non me basta
l’animo à campare me solo che q.do ce fosse stato altro ripiego se
saria potuto stare. So che dirli solo se ricorda che li son fra.llo che
q.do non se voglia pigliare q.o impiccio lei rimandi l’hinibitione
indietro. Con che me li ricomando. Roma 5 marzo 1665
Di V.S. Molt’Ill.e
Aff.mo
fra.llo
Gregorio de Giudici>> (1).
Nella
miscellanea delle copie dei documenti notarili di Federico de Giudici,
oltre al frammento del Testamento della madre Donna Divitia Poti e ad
una lettera di Salvatore, figlio
del notaio, si conserva una lettera dello stesso Federico indirizzata a
Roma al fratello Don Gregorio e non più spedita.
La
missiva contiene alcuni particolari gustosi sui regolari invii di
pietanze ed altri beni a cui provvedeva Don Gregorio da Roma: infatti
Federico cita, con accenti davvero curiosi e un poco spiritosi <<le
dulci papaline>> e i <<doi Coppiettoni>>.
Con
lo stesso tono confidenziale, sinceramente affettuoso e non senza elogi
e ringraziamenti molto ossequiosi, Federico formula al fratello
l’ulteriore richiesta di un paio di calzoni.
Nella
parte finale, gli affetti familiari hanno di nuovo il sopravvento e
Federico, riconoscendo, con un pizzico di galanteria, che Don Gregorio
è il vero e proprio punto di riferimento per tutta Casa de Giudici,
saluta a nome dell’intera Famiglia il fratello, citando anche il
piccolo pronipote Fabio, assicurando che tutti sono in dolce attesa del
prossimo ritorno di Don Gregorio a Ceccano, previsto per l’autunno
dello stesso anno, quando, allo scadere dei venticinque anni di servizio
nella Cappella Sistina, egli sarebbe stato giubilato e posto in
pensione.
Fra
queste righe commoventi, di profondo affetto familiare e di intima
unione dei cuori, nulla lascia presagire la serie di lutti familiari che
nel giro di pochi mesi, si sarebbe abbattuta sulla Famiglia de Giudici,
con la scomparsa durante l’estate di Federico e del figlio Salvatore e
nel dicembre dello stesso Don Gregorio.
<<Al m.o Ill.re e m.o R.do Sig.re sig.r mio pro.n
Sing.mo Il Sig.r Don Gio. Gregorio de
Gregorio de Giudici Mu-
sico di Cappella
Roma
M.
Ill.re e M.o Rev.do Sig.r fr.ello Car.mo
In
no.e tuo D.ne, dicio Retia. Rendo gratie à Dio prima, è poi à V.S
come mio Benefattore. Godo assai delle cose dulci papaline mandatemi
q.le ne resto tenuto alla sua cortese natura delli doi Coppiettoni, in
Casa non s’e assaggiato, dubitando non essere in q.lli qualche
Geroglifico alla sua usanza ridicolosa; solo io sono stato il Goloso che
parte m’ho posta colla carne fresca allessa, e mi piacque per li
condimenti d’aglio Coriandoli. Il neg.o dello Spetiale, lo dirrà
meglio Salvatore à bocca à chi mi rimetto. Mi trovo sensa Calzoni, se
V.S. avesse qualche paro usati l’havvrei di bisogno. Per mezzo di
questi miei caratteri primitivi tesso la rete in nome del S. Dio, et ad
esso li dedico, e poi alla sua natura come mio sollecitatore, e bussola
nel mare della sua benevolenza. Del resto poi tutti di Casa la
riveriscono, e Fabbio suo pronepote e sua madre e ci pare a tutti
mill’anni di rivederla con salute e li bagio le mani
Ceccano 2 Giugno 1697
Di V.S. m.t’Ill.re e m.to R.da
Aff.mo fr.llo
Federico de Giudici>> (2).
Con testamento rogato dal Notaio Carlo Almerici di Ceccano il 29
giugno 1681, l’Illustrissima “Virgo” Donna Anna de
Judicibus, figlia del Capitano Salvatore, nubile, disponeva dei suoi
beni in favore dei nipoti Filippo e Salvatore, figli del fratello
Federico (3).
Innanzitutto
affidava la sua Anima come parte più nobile, alla Santissima Trinità,
alla Santissima Madre di Dio e a tutta la Curia Celeste e disponeva come
luogo di sepoltura del suo
corpo nella tomba di famiglia posta nella Cappella dedicata a San Carlo
Borromeo nella Chiesa Arcipretale di San Giovanni Battista in Ceccano.
Donna
Anna istituiva un legato di scudi dieci per la celebrazione nella
suddetta Chiesa di un Anniversario perpetuo all’anno; infine disponeva
a carico dei suoi eredi la celebrazione in suffragio della sua anima
delle Sante Messe di San
Gregorio Magno, cioè di un ciclo delle trenta Sante Messe
Gregoriane.
L’atto
venne rogato in Ceccano, nell’abitazione della Famiglia de Giudici,
sita in Piazza, dove la testatrice giaceva malata, alla presenza dei
testimoni Marco Antonio Stella, Cesare Cristofanilli, Pompeo Giovannone,
Domenico Varnesio di Firenze, Rosato Giovannone, Antonio Del Brocco
figlio di Pietro e Nicola Santarella.
L’anno
successivo, il 27 ottobre 1682, il Molto Illustre Federico de Giudici ed
il Molto Illustre e Molto Reverendo Don Gregorio de Giudici, in piena
concordia e come buoni ed affezionati fratelli, sancirono la divisione
dei beni ereditari paterni e materni, secondo quanto stabilito con una
loro nota scritta, consegnata al Notaio Carlo Almerici.
Riproducendo
nei Capitoli le prescrizioni redatte dai due fratelli, il Notaio
Almerici elencava i beni paterni, divisi in tre parti:
<<P.a Parte - La Sala della Casa sopra la loggia
della Com.tà con la Camera contigua sopra d.a loggia sino al tetto che
hà l’entrata dalla piazza publica per le scale.
2.a Parte - La Salotta detta la Cam.a dell’Apostoli con
la Camera contigua, è Camerino a mani manca nell’entrare, che
corrisponde all’uno ell’altro alla Stretta di Criscio sino al tetto
con la mede.me entrata.
3.a Parte - Camerone a basso, con il Camerino contiguo à
lato sopra la Stretta di Criscio con l’ingresso nella strada pub.a
confinante da lato con la loggia della Com.tà, e le finestre sono
corrispondente alla Stretta di Criscio, con le due Cantine di sotto d.o
Cammerone, è loggia della Com.tà>>
(4).
Federico, tanto in nome proprio, che in quello dei figli
Salvatore e Filippo (eredi universali di Donna Anna de Giudici, la
quale, come figlia del Capitan Salvatore aveva diritto alla terza parte
dei beni paterni) riceveva ed acquisiva pienamente la Prima e la Seconda
Parte della eredità paterna.
Don Gregorio a sua volta, riceveva ed accettava la Terza Parte.
Sempre a Federico venivano assegnati tutti gli altri beni
dell’eredità paterna, fra cui la Casa o Stallone in Contrada
l’Hostaria.
Per quanto riguarda l’eredità materna, a Federico erano
assegnati e consegnati i seguenti beni:
<<1 Casa e Casaleno in c.ta le Noce dorante, con un
tomolo e mezzo di terra.
2
Posess.e in c.ta la Fontana del Tufo, di cap.tà tomoli doi.
3
Posess.e in c.ta il Cerello di cap.tà di tomoli quattro
4
Posess.e in c.ta il Colle s.to Sebastiano di cap.tà di tomoli dieci
5
Posess.e in c.ta il Castellone di cap.tà tomoli dieci
6
Posess.e al Colle Cardarillo di cap.tà tomoli sei
7
Posess.e in c.ta l’Olivella di cap.tà tomoli tre
8
Posess.e in c.ta Calabretto di cap.tà di un rubbio
9
Canavina in c.ta la Riccolta di cap.tà tomolo uno e mezzo
10 Mezza
falce di Prato in c.ta Calabretto
11 Prato in
d.a c.ta di cap.tà di due falce
12 Prato di
una falce in d.a c.ta indiviso con la Sig.ra Elisabetta Poti
13 Prato di
mezza falce da capo a Calabretto
14 Posess.e
alli Caldarari di cap.tà di tre tomoli
15 Posess.e
alla Valle del Sorbo di cap.tà di un tomolo
16 Posess.e
selvata, in c.ta la Selvotta di cap.tà di doi tomoli
17 Posess.e
alli fragati cap.tà di tomoli doi
18 Posess.e
in c.ta le Mentella di cap.tà tomoli quattro
19 Posess.e
in c.ta La Valle di Rovagno di cap.tà di coppe doi
20 Posess.e
in c.ta La Vigna di Pom.o Colap.e di cap.tà tomolo mezzo
21 Colle in
c.ta le pantane di Casa Marciano di cap.tà di doi tomoli e mezzo
22 Posess.e
in c.ta la Selvotta della volta cap.tà tomolo uno
23 Posess.e in c.ta il Vado di cap.tà di doi tomoli e
mezzo (una parte di d.a posess.e fù donata al S. Federico dal q. Ab.te
Matthia Saltasbarre).
24 Posess.e
in c.ta il Vado di cap.tà tomoli uno e mezzo
25 Castagneto
in c.ta Campanaro di cap.tà mezzo tomolo
26 Posess.e
seu Rimata sop.a la Vigna che era della Corte cambiata con una poss.e di
Castagne in c.ta S. Martino
Casaleno posto dentro la Terra di Ceccano in c.ta il
Montano ...
Et
all’incontro d.o Sig.r Federico da asegna e consegna al Sig.r D.
Gregorio Giudici suo fr.ello p.nte per la donatione fatta dalla q.
Divitia loro ma.re ad titulum Patrimonii l’infra.tti beni
Arboreto in c.ta la Fontana Vecchia di cap.tà tomoli
quattro
Posess.e in c.ta la Madonna della Pace vignata e non
vignata di cap.tà tomoli tre
Casa dentro di Ceccano e proprio quella era di M.r Fabio
Poti in c.ta la Piazza di doi membri confina con li Sig.ri Saltasbarre
la strada et entrata davanti e li beni Paterni>>
(5).
Dopo aver confermato che tale divisione avveniva vicendevolmente
per amore fraterno <<ad invicem ob fraternum amorem>>,
il Notaio Almerici precisava che l’atto era stato rogato in Casa di
Don Gregorio, alla presenza dei Signori testimoni il Capitano Giovanni
Battista Angeletti e Francesco Sforza del fu Erasmo.
In
due atti notarili del Notaio Carlo Americi, alcune personalità di
Ceccano furono chiamate a rendere testimonianza sulla piena proprietà
vantata da Don Greogrio su una Selva sita in Ceccano in Contrada Le
Farneta.
Nel
primo, rogato in data 14 febbraio 1680, era comparso il Signor Carlo
Colapietro del fu Pompeo, di anni sessantacinque, chiamato a rendere la
sua testimonianza di fronte al Notaio Almerici.
Nel
testo dell’atto così esordiva il notaio: <<Ex.s fuit per me
D. Carolus q. Pompei Colapietro ad instam et requisitione per Ill.ri et
Ad.m R.D. Gregorii de Judicibus ad perpetua rei memoriam>>. E
il teste, dopo aver reso il giuramento <<de veritate>>,
depose:
<<dico
e depongo per la verità come conobbi la q.d. Divita Poti mentre fù al
mondo la quale possedeva dentro è fuori la Terra di Ceccano oltre la
sua dote di beni stabili, in particolare una Selva in c.ta le Farneta,
quale selva assieme con gli altri beni, è dopo la morte di d.a q.
d.Divitia continuò a possedere il S.re D. Gregorio de Giudici fig.o di
essa q. Divitia, il quale si ordinò in Sacris, sapendo queste cose per
essere miei Parenti, et ho veduto tanto d.a q. Divitia qu.to d.o Seg.re
D. Gregorio dopo la morte di sua madre possedere d.i. beni, e specialm.te
d.a Selva, facendo tutti quegli atti posessorii che fanno li veri Pr.oni
con andarci, starvi, tagliare arbori, ricorre frutti, et altro che
stavano in d.i beni per averlo io veduto, è per essere publica voce e
fama, e pub.o e notorio a tutti non solo delle cose sudette che d.o S.re
D. Gregorio possede dopo la morte di sua madre tra li altri beni per le
cause sudette mà d.o S.r D. Gregorio si ordinò in Sacris con d.i beni
e specialm.te con d.a Selva, del che come ne fù et è pub.a voce e fama
e pubblico, e notorio a tutti quali la conoscevano per il nostro
Paese>>
(6).
L’atto
venne rogato a Ceccano, nella casa di Federico de Giudici, alla presenza
dei testimoni Mastri Cataldo Guerrieri e Francesco Gallucci,
fabrilegnari.
Nel
secondo atto fu presente e si costituì il Signor Capitano Ambrogio
Colone del fu Pietro, di anni settantacinque, il quale, esaminato
ritualmente dal Notaio depose negli stessi termini del Colapietro,
precisando di aver conosciuto Donna Divitia Poti, sapendola
proprietaria, fra gli altri beni, di una Selva in Contrada Le Farneta.
Tale selva, assieme ad alcuni possedimenti, venne ereditata da suo
figlio Don Gregorio de Giudici <<con li quali si ordinò in
Sacris>>. Il Capitano Ambrogio Colone concludeva assicurando
che a Ceccano era pubblicamente riconosciuto da tutti che tale Selva,
appartenuta prima a Donna Divitia, attualmente faceva parte del
patrimonio di Don Gregorio suo figlio. Anche questo atto fu rogato nella
casa di Federico de Giudici, alla presenza degli stessi testimoni (7).
Con
atto del Notaio Nicola de Ambrosi di Ceccano, del 20 agosto 1682, il <<PerIll.i
et Ad.m Rev.o D.no Gregorio de Judicibus>> acquistava un
Casaleno con orto in Contrada l’Hostaria per il prezzo di scudi
quattro dal Signor Giovanni Battista Betti di Sgurgola (8). Per la
stipula di questo atto, il Signor Betti aveva inviato da Roma una
lettera circostanziata a Federico de Giudici, datata 23 luglio 1682,
nella quale assicurava di aver già ricevuto a Roma da Don Gregorio la
somma di quattro scudi e che, pertanto, suo fratello, il Signor Giovanni
Felice Betti, era autorizzato e delegato a stipulare in sua vece
l’atto di vendita. Dopo aver riportato integralmente la lettera,
l’atto notarile precisava che a Sgurgola, in Piazza San Sebastiano, il
Signor Giovanni Felice Betti, con le facoltà conferitegli, aveva
proceduto alla vendita del casaleno ed orto, alla presenza dei testimoni
Vincenzo Gentile e Horatio Rozzi di Sgurgola.
Nove
anni dopo, Don Gregorio procedeva ad un nuovo acquisto di terreno a
Ceccano, confermando così la sua viva predilezione per la cittadina
natale.
Con
atto del Notaio Federico de Giudici del 12 ottobre 1691, Ginepra, figlia
del fu Carlo Salvatori di Arnara e moglie di Salvatore Bartoli di
Giovanni Antonio, vendeva a Don Gregorio, personalmente presente, un suo
terreno dotale sito in Contrada detta il Velluccio della capacità di
due tomoli per il prezzo di scudi romani tre (9). L’atto venne rogato
in casa del Notaio Federico, alla presenza dei testimoni Mastro Giuseppe
Olmetti, Achille Britio e Pasquale Pizzuti.
Il
25 settembre 1697, con atto del Notaio Carlo Almerici, Don Gregorio,
personalmente presente, provvedeva alla estinzione di un censo di 100
scudi imposto da Federico e Salvatore (rispettivamente suo fratello e nipote)
alcuni anni prima sui loro beni, in favore del Signor Bartolomeo
Bonanome (10).
Sono
testimoni dell’atto il Rev. ed il Signor Angelo Ludovisi di San
Lorenzo. Probabilmente a causa della morte del fratello Federico e del
nipote Salvatore, avvenuta pochi giorni prima della stipula di
quest’atto, Don Gregorio dovette anticipare il suo rientro a Ceccano,
previsto per la fine dell’anno.
Negli anni successivi alla sua morte, Don Gregorio è citato in
qualche atto notarile riguardante i suoi eredi, Fabio e Federico de
Giudici.
In un documento del 4 ottobre 1703, rogato dal Notaio Giovanni
Benvenuti di Frosinone, Giovanni Pietro Capuano riconosce un Censo di
dodici scudi in favore di Don Gregorio de Giudici, imposto con atto
rogato a Roma, su una nuova vigna di proprietà del Capuano sita in
Contrada Vitoschi a Ceccano (11). Testimoni dell’atto rogato in
Ceccano, sono Lorenzo figlio di Carlo Colapietro e Giuseppe figlio di
Valerio Masi.
Dopo
la morte di Don Gregorio, il Signor Giovanni Pietro Paterni e Don
Giuseppe Paterni rivestirono le qualità legali di tutori dei suoi
pronipoti, Fabio e Federico de Giudici, minori d’età.
NOTE
1)
Archivio di Stato di Frosinone, Archivio Notarile di Ceccano, Atti del
Notaio Federico de Judicibus, Faldone 80, Prot. 200, foglio inserito
nella terza di copertina.
2) Ibidem, Faldone 77, cc. 96 r et v.
3)
Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 95, Prot. 249, cc. 80 r
et v.
4) Ibidem, c. 114 r.
5)
Ibidem, cc. 114v-116v.
6) Ibidem, c. 45r.
7) Ibidem, c. 47r.
8)
Ibidem, Atti del Notaio Nicola de Ambrosi, Faldone 99, Prot. 263, cc.
13v-15r.
9)
Ibidem, Atti del Notaio Federico de Judicibus, Faldone 81, Prot. 203, c.
36v-37r.
10)
Ibidem, Atti del Notaio Carlo Almerici, Faldone 98, Prot. 258, cc. 53r
et v.
11)
Ibidem, Atti del Notaio Giovanni Benvenuti, Faldone 101, Prot. 267, cc.
270 r et v.
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riproduzione anastatica dell’edizione stampata a Roma da Antonio de
Rossi nel 1711, a cura di Giancarlo Rostirolla, Libreria Musicale
Italiana Editrice, Lucca 1988.
MATTEO
FORNARI Narrazione Istorica / Dell’origine, progressi, e Privilegi
/ Della Pontificia Cappella / Con la Serie degl’Antichi Maestri, e
Cardinali Protettori / col Catalogo de Cantori della Medesima / Formato
da Matteo Fornari / Cantore dell’istessa Cappella / L’Anno 1749 /
sotto il glorioso Pontificato del / Regnante Sommo Pontefice Benedetto
XIV, manoscritto conservato nella Biblioteca Corsiniana di Roma.
ENRICO
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MISCHIATI, Una statistica della musica a Roma nel 1694, in
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Don
ANTONIO ALLEGRA, Mastri e Cantori nella Cappella di Santo Spirito in
Sassia (1551-1737), Tesi per Magistero in Composizione Sacra,
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Don
ANTONIO ALLEGRA, La Cappella Musicale di S. Spirito in Saxia di Roma:
appunti storici (1551-1737), in Note d’Archivio per la
Storia Musicale,Anno XVII, n. 1-2 (gennaio-aprile 1940), pagg.
26-38.
RAFFAELE
CASIMIRI, Il Sepolcro dei Cantori Pontifici nella Chiesa Nuova di
Roma, in Note d’Archivio per la Storia Musicale, Anno III,
dicembre 1926, n. 4, pagg. 221-232.
GALLIANO
CILIBERTI, Antonio Maria Abbatini e la musica del suo tempo,
Perugia, Gestias, Quaderni della Regione Umbra, 1980, pagg. 553 e 596.
A.
GABRIELLI, Riassunto delle conversazioni sulla storia delle Cappelle
Musicali Romane, Roma 1940.
RINGRAZIAMENTI
Sig. Carlo Cristofanilli, storico di Ceccano
Prof. Giancarlo Rostirolla, Musicologo, Roma
Dottoressa Annalisa Bini, dell’Accademia Nazionale di
Santa Cecilia in Roma
Sig. Danilo Ambrosetti, giornalista
Conte Marcello Falletti di Villafalletto, Scandicci (Fi).
Il personale di sala dell’Archivio di Stato di Frosinone

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