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 Metastasio | ||
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 Lettere | ||
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 Lettere di Metastasio a Marianna Benti Bulgarelli 
       
 Vienna, 27 gennaio 1731 
    Ricevo questa mattina le lettere non solo 
    della presente ma anche della scorsa settimana, e mi sollevo dalla 
    malinconia che nella mancanza di quelle mi avea assalito, pel sospetto che 
    qualche anima pia si fosse impiegata a scemarmi la pena di leggerle 
    prevenendomi alla posta. Vi rendo grazie delle minute notizie che mi date di 
    coteste opere e commedie, e godo che il nostro Ciullo si sia fatto onore. 
    Spero che il posto in cui l'ha fatto impiegare Sua Santità non gli sarà 
    infruttuoso. Avvisatemene, e frattanto salutatelo a mio nome. Oggi è appunto 
    il primo giorno delle maschere, e io son qui a gelarmi. Pure mi trattengo 
    piacevolmente, figurandomi voi impiegata e divertita. In questo momento, che 
    secondo l'orologio di Roma saranno le 21 ore, comincerà la frequenza de' 
    sonagli pel Corso. Ecco il signor canonico de Magistris, che apre 
    l'antiporta. Ecco il signor abate Spinola. Ecco Stanesio. Ecco Cavanna. Ecco 
    tutti i musici di Aliberti. Chi sarà mai quella maschera che guarda tanto le 
    nostre fenestre? Fa un gran tirar di confetti, e non può star ferma.  
 
         Vienna, 12 gennaio 1732 
    Voi 
    sarete in mezzo a' divertimenti teatrali, ed io ho cominciato a seccarmi 
    intorno all'Oratorio. Divertitevi voi per me; ché vi assicuro che il piacer 
    vostro fa gran parte del mio. 
 
 
     
 
     Vienna, 21 Giugno 1732 Che sconvolgimento è mai questo di tutte le cose del mondo, così picciole che grandi? Si può immaginare accidente più funesto di quello che vi scrissi l'ordinario scorso? E si può in altro genere immaginare maggiore desolazione di quella che voi vivamente mi rappresentate nella lettera di questa mattina? In somma, dove si mischia Porpora entra per necessità la disgrazia. Guardatevi per carità di non aver mai il minimo affare in sua compagnia. È però una gran cosa, che una città intera abbia a soffrir la pena de' capricci di un solo: e che per motivi così leggieri non si abbia repugnanza di nuocere a tanti, e dispiacere a tutti. Compatisco quei che risentono il danno, perché, senza questo motivo, sento la mia repugnanza ad essere indifferente. Il padrone, dopo l'accidente funesto, tornò a Praga, dove, per quello che dicono, chiuso in una stanza senza voler vedere persona, rimase un giorno ed una notte. Il principe Eugenio fu il primo che con rispettosa violenza penetrò fino a lui, ed interruppe la sua solitudine e la profonda afflizione nella quale era immerso. Frutto della sua cura si crede universalmente l'aver permesso alla fine il padrone che per lo sconvolgimento sofferto se gli cavasse sangue, e l'essersi poi portato in Carlsbad, dove presentemente dimora e dove intraprenderà la cura già stabilita delle acque. La minore arciduchessa Marianna è stata assalita, già sei giorni sono, dal vaiuolo, notizia che accrescerà le agitazioni de’ padroni per esser così lontani da lei. È ben vero che il male non ha sintomi che minaccino pericolo ed i medici pronosticano esito felice. Intanto la maggiore arciduchessa Teresa è stata divisa dalla sorella per evitare che non le comunichi l'infermità. L'imperatrice Amalia, vedova di Giuseppe, è uscita dal suo monastero, dove vive ritirata, per assistere la suddetta arciduchessa Teresa, e coabitar seco nell'imperial Favorita finché il male dell'altra permetta che le sorelle si riuniscano. Io sto bene di salute, ma male d'animo. Tutte queste cose mi funestano, e la pubblica malinconia si comunica insensibilmente anche agl'indifferenti. Finora non si sanno le direzioni del ritorno de' padroni. Il caso avvenuto e la malattia dell'arciduchessa si crede che lo solleciterà; ma finora sono pure induzioni. Non ho cosa che mi rallegri, se non la vostra buona salute: conservatela gelosamente e credetemi il vostro N. Addio, N. M. 
 
      
 Vienna, 6 Giugno 1733 
    Ho 
    passata la metà del terzo atto della mia prima opera, onde sabato che viene 
    spero di potervi scrivere d'averla finita. Ma quando sarà che sia terminata 
    anche l'altra, alla quale non ho né pur pensato? E pure al fin d'agosto 
    bisognerebbe che fosse. Auguratemi salute e pazienza, che tutto anderà bene. 
    Con tutta la mia assidua applicazione, e la stagione ben poco favorevole, io 
    mi son quasi affatto rimesso: dico quasi, perché di quando in quando la 
    testa non vuole stare a segno, effetto senza dubbio del poco che si traspira 
    per cagione dell'aria umida e fresca che qui pertinacemente dura. Ed io, 
    quanto già in Italia provava nemico il calore, altrettanto in Germania 
    esperimento nocivo il freddo: tanto fa variar natura la variazione del 
    clima. Io non lo sento solo in questo; le pruove continue di tolleranza alle 
    quali io presentemente sto saldo, non sono certamente miei pregi naturali. 
    Conosco che la tardità di quest'aria si comunica agli spiriti e ne scema la 
    soverchia prontezza. 
 
 
     
 
       Vienna, 4 Luglio 1733 Mi volete 
    suggerire un soggetto per l'opera che ho da incominciare? sì, o no? Io sono 
    in un abisso di dubbi. Oh non ridete con dire che la malattia è nelle ossa, 
    perché la scelta di un soggetto merita bene questa agitazione e questa 
    incertezza. La fortuna mia si è che bisogna risolversi assolutamente, e non 
    vi è caso di evitarlo. Se non fosse questo, dubiterei fin al giorno del 
    giudizio, e poi sarei da capo. Leggete la terza scena dell'atto terzo del 
    mio ADRIANO: osservate il carattere che fa l'imperatore di se medesimo, e 
    vedrete il mio. Da ciò si comprende che io mi conosco; ma non per questo 
    correggomi. Questa pertinacia di un vizio, che mi tormenta senza darmi in 
    ricompensa piacere alcuno, e ch'io comprendo benissimo senza saperlo 
    deporre, mi fa riflettere qualche volta alla tirannia che esercita su 
    l'anima nostra il nostro corpo. Se discorrendo ordinatamente, e saviamente 
    riflettendo, l'anima mia è convinta che quest'eccesso di dubbiezze sono i 
    vizi incomodi, tormentosi, inutili, anzi d'impaccio all'operare, perché 
    dunque non se ne spoglia? Perché non eseguisce le risoluzioni tante volte 
    prese di non voler più dubitare? La conseguenza è chiara: perché la 
    costituzione meccanica di questa sua imperfetta abitazione le fa concepire 
    le cose con quel colore che prendono per istrada prima di giungere a lei, 
    come i raggi del sole paiono agli occhi nostri or gialli, or verdi, ora 
    vermigli secondo il colore del vetro o della tela per cui passano ad 
    illuminare il luogo dove noi siamo. E quindi è assai chiaro, che gli uomini 
    per lo più non operano per ragione, ma per impulso meccanico: adattando poi 
    con l'ingegno le ragioni alle opere, non operano a tenore delle ragioni; 
    onde chi ha più ingegno comparisce più ragionevole nell'operare. Se non 
    fosse così, tutti coloro che pensan bene opererebbero bene; e noi vediamo 
    per lo più il contrario. Chi ha mai meglio d'Aristotile esaminata la natura 
    delle virtù, e chi è stato mai più ingrato di lui? Chi ha mai meglio 
    insegnato a disprezzar la morte e chi l'ha più temuta di Seneca? Chi ha mai 
    parlato con più belle massime d'economia del nostro don Paolo Doria, e chi 
    ha mai più miseramente di lui consumato il suo patrimonio? In somma il 
    discorso è vero ed ha salde radici; ma non curiamo di vederne tutti i rami, 
    perché si va troppo in là. 
 
       
 Vienna, 18 Luglio 1733 Viva per 
    mille anni il mio augustissimo padrone, il quale ieri fece pubblicare nel 
    supremo Consiglio di Spagna un suo veramente cesareo decreto, col quale mi 
    conferì la Percettoria, o sia Tesoreria della provincia di Cosenza nel regno 
    di Napoli, ufficio che non si perde che con la vita. Questo a chi lo 
    esercita di persona rende un pingue frutto, autorità e decoro in quella 
    provincia; ma non potendosi, o non volendosi esercitare di persona, come 
    succede a me, si può sostituire un'altra; avendo l'espressa facoltà nel 
    decreto di farlo, e lasciando al sostituto ogni provento, se ne ritrae, come 
    per ragion d'affitto, una sufficiente annualità, la quale mi fanno sperare 
    che non sarà meno di mille e cinquecento fiorini per ciascun anno. Voi 
    vedete che la grazia è considerabile pel suo lucro; ma assicuratevi che 
    l'onore, qual mi produce la maniera sollecita, affettuosa e clemente con cui 
    il padrone si è degnato di conferirmela, sorpassa di gran lunga qualunque 
    utile. Si è dichiarato alla pubblica tavola con uno de' consiglieri del 
    Consiglio suddetto di voler ch'io l'avessi, ricordandosi delle mie fatiche e 
    presenti e passate, ed è arrivato a dire ch'egli pretendeva questa grazia 
    nel Consiglio per me e che per giustizia mi conveniva. Questa pubblica 
    dimostranza di parzialità dell'augustissimo a mio favore ha fatto tale 
    impressione che ieri, contro il solito, quando si pubblicò il decreto non vi 
    fu alcuno dei consiglieri che ardisse di replicare una parola; ma parte 
    dissero seccamente che si eseguisse, e parte uscirono nelle lodi della 
    giustizia che il mio padron mi rendeva. Il più bello è che non mi sono 
    prevaluto della minima raccomandazione per ottener simil grazia; onde la 
    deggio interamente al gran cuore di Cesare, che Dio faccia vivere lungamente 
    e sempre più fortunato e glorioso. Converrà adesso ch'io stringa un poco i 
    denti per le spedizioni, che credo saranno assai dispendiose; ma comincerò 
    subito a rimborsarmi. 
 
 
 
 
 
 
 L'epistolario 
      di Metastasio è stato edito in:  
       
 
       
 
 
         
 A cura di Arsace | ||
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| Ultimo aggiornamento: 17-10-21 |